Le “prediche” sulla lingua
Nella Storia linguistica dell’Italia repubblicana. Dal 1946 ai nostri giorni (2014), ideale prosecuzione della Storia del 1963, Tullio De Mauro ha evidenziato le “fratture e disparità” esistenti ancora oggi sul piano delle condizioni linguistiche di tutta la popolazione, e ha suggerito la strada, unica possibile, per migliorare tali condizioni: “Un innalzamento quantitativo e qualitativo dei livelli di istruzione delle giovani generazioni e degli adulti, la promozione della lettura e del bisogno di leggere e di informarsi in modo non effimero, lo sviluppo di stili di vita che favoriscano il bisogno e l’apprezzamento della cultura intellettuale, dei saperi, delle scienze: sono questi gli efficaci percorsi che altre società in Europa e nel mondo hanno imboccato e stanno seguendo per superare quegli ostacoli e quelle fratture. Ciò può diventare possibile anche in Italia”.
Fine conoscitore della classe intellettuale italiana, degli autentici uomini di cultura ma anche dei sedicenti tali a cui i media concedono ampio spazio, De Mauro mette in guardia dai lamenti e dalle prediche “contro questo o quel malvezzo linguistico”, asserendo che per far crescere e consolidare davvero le competenze linguistiche degli italiani occorre molto più delle recriminazioni: serve un impegno forte, lungo e faticoso.
E, invece, di prediche e lamenti ne abbiamo ascoltati e letti tanti negli ultimi mesi. È stata presa di mira la scuola, e in particolare l’attenzione si è concentrata sulle gravi carenze linguistiche degli allievi. C’è stato chi ha messo sotto accusa gli insegnanti del primo ciclo e le Indicazioni nazionali, chi ha invocato la bocciatura come rimedio a tutti i mali, chi ha puntato il dito contro i presunti responsabili dei disastri scolastici odierni, e cioè i colpevoli per eccesso di democrazia e di egualitarismo.
La lingua non è un’opinione
È difficile comprendere come noti intellettuali, a cui prestigiose testate giornalistiche offrono ampio spazio, possano scrivere di cose di scuola senza analizzare in modo approfondito i problemi, senza interrogarsi sulle cause reali, senza supportare le affermazioni con dati, senza ascoltare la voce di esperti… Dai loro articoli si intravede soltanto un obiettivo: dire che i ragazzi vanno male e sparare a zero sulla scuola. In realtà dimostrano, così facendo, che di scuola non si vogliono occupare sul serio.
I problemi esistono, sono seri e necessiterebbero di un approfondito dibattito a più voci. Gli opinionisti di turno, invece, li banalizzano, con proposte di soluzioni frutto di personali interpretazioni. Ad esempio nessuno dice quanto influisca negativamente l’analfabetismo degli adulti, e nessuno si esprime su come aiutare i docenti a cercare le strade più adeguate perché nessun allievo, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, sia escluso. Emerge invece la vecchia idea di ritornare alla scuola di pochi, e quindi alla scuola che seleziona chi non ce la fa. Una soluzione che provoca molta amarezza e rabbia ma che, nel contempo, innesca una forte voglia di continuare a lavorare in nome dei valori in cui si crede, e di farlo con impegno.
Maestri di ieri e di oggi
“Chiamo uomo chi è padrone della sua lingua” (Don Milani), “Tutti gli usi della parola a tutti” (Gianni Rodari): non si tratta di semplici slogan ma di saldi principi che hanno segnato per anni la vita professionale di centinaia e centinaia di insegnanti, ancor prima che un’importante affermazione trovasse posto in un documento ufficiale (Indicazione nazionali 2012): lo sviluppo delle competenze linguistiche è “… una condizione indispensabile per la crescita della persona e per l’esercizio pieno della cittadinanza, per l’accesso critico a tutti gli ambiti culturali e per il raggiungimento del successo scolastico in ogni settore di studio”.
Le parole delle Indicazioni ne richiamano alla mente altre: “lo sviluppo e l’esercizio delle capacità linguistiche non vanno mai proposti e perseguiti come fini a se stessi, ma come strumenti di più ricca partecipazione alla vita sociale e intellettuale”. Circa quarant’anni prima delle Indicazioni nazionali, il concetto veniva espresso nell’ottava delle Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica del GISCEL, il Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica costituitosi all’interno della Società di Linguistica italiana nel 1975. Il discorso ci riporta nuovamente a De Mauro, che delle Dieci Tesi è stato l’estensore nel 1974; il documento, poi discusso all’interno del GISCEL, è diventato il testo fondativo dell’associazione.
La “lezione” di Tullio De Mauro
“La scuola italiana deve molto a Tullio De Mauro e credo che il modo migliore per ricordarlo sia farlo conoscere il più possibile alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi”. Sono le parole di Valeria Fedeli, ministra dell’istruzione, che nello scorso febbraio, a un mese dalla scomparsa di De Mauro, ha avviato una serie di iniziative nelle scuole “affinché la sua passione e il suo impegno non vengano mai dispersi”. A ciò si è aggiunta, in collaborazione con Rai Radio3, la promozione di una giornata radiofonica il 31 marzo, interamente dedicata alla figura e al valore dell’insegnamento del linguista. Le iniziative volte a ricordare e capire appieno la “lezione di De Mauro” sono state, e continuano a essere, molteplici: dalla commemorazione avvenuta a Montecitorio il 5 aprile scorso ai numerosi convegni in varie parti d’Italia organizzati da associazioni e case editrici, ai gruppi itineranti che nelle librerie d’Italia o nelle varie scuole effettuano letture dei testi demauriani, tutti di grandissima attualità.
Nell’ambito delle varie iniziative assume importanza il seminario di studio che il GISCEL ha organizzato a Roma per la fine di maggio. Il nostro ‘Intervento e Studio’. Dopo Tullio, con Tullio[1] è il titolo dell’evento, e tale titolo assume particolare significato se lo si collega al nome stesso dell’associazione che, come già detto, è Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica. L’associazione, attraverso le Dieci tesi, si èda sempre prefissa l’obiettivo di un’educazione linguistica mirante all’inclusione, al «non uno di meno». E lo ha fatto supportando le proposte operative con i dati di specifiche ricerche in campo linguistico. Studio da una parte e intervento sul campo dall’altra hanno costituito i due elementi di un binomio di particolare efficacia. Alberto Sobrero, attuale segretario nazionale dell’associazione, usa in proposito l’immagine di un viaggio di continua andata e ritorno fra riflessione ‘rivoluzionaria’ sulla lingua e verifica sul campo di ipotesi di intervento nella scuola militante.
Il convegno del GISCEL
L’appuntamento di Roma costituirà l’occasione per avviare una riflessione approfondita sull’azione GISCEL: uno sguardo al passato, un interrogativo sul presente e una proiezione sul futuro dell’educazione linguistica, in coerenza con i bisogni inclusivi, partecipativi e democratici della scuola e della società odierna. Quell’educazione linguistica a cui Tullio De Mauro e il GISCEL si sono da sempre ostinati ad aggiungere l’aggettivo “democratica”, in nome dell’art. 3 della Costituzione. Anche se quest’aggettivo a qualcuno non piace.
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[1] La locandina al seguente link: http://www.giscel.it/sites/default/files/comunicazioni/2017/Seminario%2027%20maggio.pdf.