Le scadenze del decreto legislativo 62/2017
Gli otto decreti legislativi approvati dal Governo nella primavera scorsa, in attuazione della legge 107/2015, sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 16 maggio 2017 e sono pienamente vigenti, ma richiedono ulteriori provvedimenti normativi (decreti, linee guida, direttiva) per produrre effetti giuridici concreti nella vita della scuola. Il quadro di rifermento complessivo è delineato nel testo curato da G. Cerini e M. Spinosi, Una bussola per le deleghe, Tecnodid, 2017, al cui interno un capitolo è proprio dedicato alla ricognizione degli oltre 40 provvedimenti necessari all’implementazione dei decreti legislativi. Tra l’altro, si tratta di scadenze differenziate e diluite nel tempo.
Si consideri, ad esempio, il d.lgs 62/2017 relativo alla valutazione: le nuove modalità per lo svolgimento dell’esame di Stato al termine del secondo ciclo entrano in vigore dall’anno scolastico 2018-19, mentre per l’esame di Stato del primo ciclo (la vecchia “terza media”) le novità decorrono dal prossimo a.s. 2017-18. È dunque comprensibile che il Miur stia “accelerando” per poter onorare le scadenze prefissate dal legislatore, anche se questa fretta potrebbe andare a scapito di una maggiore “ponderazione” e “condivisione” dei provvedimenti da emanare. È comunque atteso anche un parere del CSPI (Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione), che in materia di organizzazione didattica ha tradizionalmente voce in capitolo.
Due decreti per innovare le certificazioni e gli esami
Rimanendo per il momento ancorati al primo ciclo, il D.lgs 62/2017 prevede l’emanazione di due distinti decreti ministeriali:
- Un primo decreto è relativo ai criteri e alle modalità di svolgimento degli esami di fine primo ciclo, che vedranno la scomparsa delle prove nazionali Invalsi (di matematica e italiano) ed una semplificazione della struttura dell’esame, riconfermato tuttavia nella successione delle sue classiche prove scritte e orali. La delega, tuttavia, chiede di ispirare le prove – in particolare quella orale – a criteri di effettiva unitarietà (per mettere in evidenza le capacità di argomentazione, di pensiero critico e riflessivo, di soluzione dei problemi e collegamento tra le conoscenze, di padronanza delle competenze di cittadinanza). Le ultime linee guida in materia di esami di licenza media risalgono al lontano 1981 e non paiono aver prodotto risultanze significative, considerando le stanche routine che contrassegnano questa scadenza. Questo per ricordare che non basterà rinnovare le procedure amministrative per ridare un “senso” ad un esame alla ricerca di una sua identità.
- Un secondo decreto si riferisce alle modalità di certificazione delle competenze, sulla base di quanto è stato positivamente sperimentato in questi ultimi tre anni scolastici (CM 3/2015). L’art. 9 del d.lgs 62/2017 è già abbastanza esplicito circa i criteri e le caratteristiche che dovranno contrassegnare le certificazioni da rilasciare al termine della scuola primaria e della scuola secondaria di I grado, desunti in larga parte proprio dalla sperimentazione in atto. La novità, semmai, potrà riguardare le modalità con cui recepire nella certificazione la “descrizione” dei livelli di apprendimento rilevati nelle prove Invalsi.
I nuovi modelli di certificazione
L’aspettativa è che i modelli di certificazione diffusi dal Miur con la nota 2000 del 23 febbraio 2017, a seguito dei primi riscontri della sperimentazione, siano quelli da generalizzare e rendere obbligatori dal prossimo anno scolastico. In effetti, dagli esiti del monitoraggio comunicati nell’ottobre 2016 e dalle prevedibili conferme che si avranno a seguito del nuovo monitoraggio per il 2016-17 (nota 6945 del 16-6-2017), da poco conclusosi ed in fase di rielaborazione al Miur, dovrebbero essere confermati:
- il riferimento alle 8 competenze-chiave europee (2006), di cui gli enunciati contenuti nei profili di uscita delle Indicazioni/2012 rappresentano descrittori esplicativi;
- l’utilizzo di una scala a livelli (per ora 4) sostitutivi del voto in decimi, perché considerati meglio corrispondenti alle finalità descrittive di una certificazione di competenze;
- l’assenza di livelli esplicitamente negativi, in ossequio alla valorizzazione delle sia pur minime competenze iniziali (per stimolare il senso di autoefficacia e di riuscita: non dimentichiamo che siamo all’interno di una scuola di base);
- la possibilità di usare uno spazio aperto per descrivere particolari competenze, talenti, attitudini, maturati anche in contesti non prettamente scolastici (il concetto di competenza fa perno anche su saperi formali e informali).
Tra standard e personalizzazione: una questione aperta
Resta da precisare la questione della certificazione degli allievi che hanno diritto ad un loro piano educativo individualizzato (alunni disabili certificati) o un progetto didattico personalizzato (per alunni con bisogni educativi speciali). Da un lato la certificazione avrebbe bisogno di un saldo punto di riferimento (in forma di standard rispetto ai quali parametrare i livelli di competenza che si intendono certificare), d’altra parte sta il valore della scuola inclusiva che non può incrinarsi di fronte alle ruvide esigenze della valutazione “sommativa”. Sarà possibile adattare il modello-base alle esigenze di personalizzazione degli allievi, sia apportando modifiche e integrazioni all’impianto del documento, sia adottando le interpretazioni più appropriate degli indicatori. La chiarezza informativa aumenterebbe se tali modifiche fossero accompagnate da apposite rubriche descrittive delle effettive competenze cui fare riferimento. Un principio che potrebbe valere per tutti gli alunni. Infatti una certificazione assume un forte valore sociale e pubblico, quando è accompagnata da una descrizione accreditata e condivisa dei livelli di apprendimento e di competenza.
Poiché siamo nell’ambito del ciclo di base, è comunque da privilegiare un approccio formativo, piuttosto che rigidamente classificatorio, per dar conto di competenze in fase di prima acquisizione, rimandando la certificazione con valore legale al termine dell’obbligo scolastico, per altro prevista dal DM 9/2010. Sarebbe stato opportuno derubricare la certificazione a semplice attestazione, pur in presenza dei vincoli comunitari di cui al D.lgs 13/2013 circa il rilascio di titoli di studio ancorati a livelli competenze comparabili.
La novità delle “certificazioni” Invalsi
In materia di certificazione la novità più eclatante è certamente legata alla scomparsa delle prove nazionali Invalsi dal corpo dell’esame di Stato conclusivo del ciclo, e quindi del loro peso legale sulla valutazione finale dei singoli allievi. Questa scelta è legata all’attribuzione alle prove Invalsi del carattere di “misure di sistema” piuttosto che legate ai singoli allievi.
Tuttavia, per evitare la totale marginalità di prove svolte in corso d’anno e non incidenti sulla valutazione finale, il legislatore ha previsto che si dia informazione ai genitori degli esiti delle prove, utilizzando appunto lo strumento della certificazione, con un apposito spazio aggiuntivo. La scelta ha già fatto discutere parecchio. Vedremo le realizzazioni pratiche, a partire da come Invalsi intende ottemperare all’impegno di dar conto dei risultati attraverso una opportuna descrizione dei diversi risultati di apprendimento.
Dal testo del decreto 62/2017 e dalle prime anticipazioni di ambiente Invalsi, sembra che la “descrizione” dei livelli di apprendimento potrebbe avvenire tramite la distribuzione in cinque fasce di competenza (come per altro già opera l’Invalsi nel restituire alle scuole il dato sulla distribuzione dei risultati). Dunque la scala pentenaria a 5 livelli, che nel decreto 62/2017 non è riuscita a prendere il posto del voto in decimi, potrebbe avere un inaspettato ritorno di fiamma in sede di valutazione strutturata degli apprendimenti (5 livelli sembrano bastare per descrivere una gamma di risultati).
Ma c’è di più: è probabile che ogni livello sia descritto in termini positivi, anche quello iniziale e più debole (ovviamente con indicazione delle competenze effettivamente acquisite). Un bel segnale che confermerebbe il valore informativo/formativo della certificazione, così come prevedeva la legge-madre, 107/2015.
Allineamento degli strumenti di valutazione
Da quanto prospettato, il quadro in materia di valutazione degli allievi, nel primo ciclo, si presenta in tutta la sua complessità (ma quando mai non è stato così?). Per la valutazione degli apprendimenti nelle discipline si continuerà ad utilizzare la scala di decimi (ripristinata nel 2008), anche se erano circolate, fin nei pareri delle commissioni parlamentari, idee diverse per evidenziare maggiormente il valore formativo, di conoscenza e descrizione in progress degli apprendimenti, piuttosto che il giudizio classificatorio frutto a volte di pure medie aritmetiche. Si chiede però al collegio dei docenti di definire criteri comuni di valutazione (intendendosi, ad esempio, rubriche descrittive), in modo da superare criteri spesso del tutto soggettivi e intuitivi. Per il comportamento, tuttavia, le valutazioni saranno espresse non con un codice numerico (il famigerato voto in condotta!), ma con un giudizio sintetico-descrittivo. C’è poi la certificazione delle competenze (competenze chiave e di cittadinanza), che usufruisce di un proprio strumento differenziato, basato su scale di livelli espressi da lettere (questo, almeno, era il modello sperimentale). Si aggiunge, ora, la descrizione strutturata delle prove Invalsi, da inserire in calce al documento di certificazione.
Riuscirà la nostra “casalinga di Voghera”, immaginaria mamma destinataria delle valutazioni delle scuole, a metabolizzare una pluralità simile di strumenti di comunicazione sugli esiti scolastici del proprio pargolo? I dubbi sono leciti, anche se il voto nelle “materie” è pur sempre un codice assai nazional-popolare, e la certificazione è stata comunque semplificata, proprio pensando all’utente finale. L’importante è che la valutazione possa continuare a rappresentare (o diventare) un canale di dialogo aperto sul valore dell’istruzione, tra insegnanti, genitori e allievi.