Una percezione diffusa di marginalità
Una percezione diffusa è che la scuola sia vissuta sempre meno come un’istituzione fondamentale della nostra società, e che il suo prestigio sociale e la sua autorevolezza istituzionale si siano, per così dire, opacizzati e indeboliti progressivamente. Di conseguenza si incrina anche la fiducia dei cittadini verso le figure di più immediato riferimento, come i docenti e i dirigenti scolastici. Tali figure sembrano, tra l’altro, aver perso per strada l’orgoglio professionale che ne ha diffusamente caratterizzato funzioni e ruoli negli anni precedenti.
Qualcuno ne vede segnali nelle aggressioni a dirigenti scolastici e docenti – che si ripetono incessanti da un po’ di tempo anche da parte di genitori – e nella difficoltà a superare una visione impiegatizia del lavoro docente, ma anche nel senso di frustrazione e demotivazione diffuso tra il personale. Occorre poi aggiungere la lettura spesso superficiale e stereotipata del lavoro a scuola da parte degli organi di informazione (per i quali fa notizia soprattutto il fatto eclatante e l’evento eccezionale, e ci si ferma lì).
La scomparsa di fatto della scuola nella discussione per la formazione del nuovo governo M5S-Lega avvalora ancora di più la percezione che la scuola abbia perso rilevanza sociale e non sia più vissuta come strumento di un rinnovamento che conti.
Recuperare consapevolezza e prestigio
Certamente questa caduta di prestigio e di autorevolezza non nasce oggi, e può essere collegata a cause di vario tipo e diverso peso, alcune remote, altre prossime.
Qui però si intendono portare in primo piano le percezioni e le evidenze più urgenti che attraversano i nostri Istituti, con l’obiettivo di riprendere una riflessione che recuperi – sulla scuola e i suoi operatori – alcune consapevolezze che sembrano entrate nel dimenticatoio. Prima tra queste, appunto, la rilevanza sociale dei ruoli e delle funzioni istituzionali del lavoro scolastico.
Come si risponde, allora, agli interrogativi e problemi che derivano da questa perdita di autorevolezza o, se si preferisce, dalla messa in discussione del suo senso?
Una prima possibile risposta va scongiurata, almeno in questa fase, da chi ha responsabilità di governo: correre dietro a nuove riforme globali… per passare alla storia.
E puntare invece a costruire fiducia dei cittadini verso le loro scuole, ma anche fiducia delle scuole (cioè di chi ci lavora) verso l’Istituzione di cui sono parte essenziale.
È innegabile che il peso e il prestigio sociale che si riconoscono a una istituzione pubblica sono proporzionali alla fiducia che si riceve (da parte di studenti, famiglie, territorio) e che si offre (essere all’altezza del proprio compito…).
La responsabilità di chi governa la scuola
È innegabile altresì che il prestigio sociale si alimenta – è opportuno sottolinearlo – del rispetto e dell’attenzione con cui le istituzioni pubbliche, nelle loro espressioni più alte (governi, ministeri), trattano il proprio.
Per chiarirsi, se ce ne fosse bisogno: la formazione del precariato denota una mancanza di rispetto verso studenti e famiglie, ma anche verso i docenti; lo stesso dicasi per le reggenze.
E ancora, a proposito di precariato, l’autorevolezza delle istituzioni si fonda anche su modalità di assunzione del personale secondo norme giuste, che non cambiano a seconda dei governi. Così lo si evita – il precariato – e si crea fiducia nelle norme e in chi deve applicarle.
Va qui aggiunto che non rafforzano certo la scuola e il suo prestigio le sanatorie arbitrarie.
Le priorità sul tappeto
Su cosa e chi interrogare per costruire questa fiducia? È la domanda.
Rispetto alle aree di intervento che preliminarmente si impongono (perché pesano come macigni sulla vita delle scuole e minano fiducia nell’istituzione), è opinione abbastanza condivisa che le prime due a cui porre mano, perché immediatamente apprezzabili e urgenti, sono quelle sopra citate: il precariato e le reggenze; la terza è certamente la sicurezza degli edifici scolastici, assieme al decoro e alla funzionalità degli ambienti di apprendimento delle molte scuole che ne sono ancora sprovviste.
Va riconosciuto che soprattutto nella scorsa legislatura non sono mancati interventi al riguardo, ma l’urgenza e la drammaticità di tali questioni rimane. Ed è tale da richiedere una mobilitazione permanente finché non siano visibili soluzioni certe e temporalmente definite.
La parte del Miur, ma anche (e soprattutto) la parte della scuola
Un altro gruppo di questioni, le cui soluzioni favorirebbero il rilancio delle nostre scuole – migliorandone il funzionamento e accrescendone il prestigio – è quello centrato su aspetti della vita scolastica di cui si parla molto ma si sperimenta ancora poco. Mi riferisco soprattutto a quelli che più incidono – e mi sembra anche questa un’indicazione diffusamente condivisa – sulla qualità del lavoro a scuola, come soprattutto:
- lo sviluppo professionale – attraverso formazione, aggiornamento, sperimentazione – che renda possibile la costituzione, dentro le scuole, di comunità di pratiche condivise, attraverso percorsi da mettere a fuoco nel prossimo Piano Triennale di Formazione (PNF);
- la ridefinizione – col prossimo imminente contratto, si spera – di un diverso orario di lavoro, che sia risposta ai complessi problemi di funzionamento organizzativo e ai diversificati bisogni formativi degli studenti, ma anche alla gestione di efficaci ambienti di apprendimento e alla domanda di sviluppo professionale mirato e “situato” del personale docente, attraverso modelli orari diversificati (standard e potenziati) e coerenti con il piano formativo della scuola;
- una riconsiderazione della scuola come organizzazione complessa, in cui sia centrale la valorizzazione delle diverse figure di collaborazione, sottraendole all’attuale condizione di indefinitezza amministrativa e organizzativa;
- la valorizzazione del merito, su cui si impone una considerazione critica per com’è stata realizzata (bonus e procedure della L. 107/2015, rivelatesi controproducenti nella vita degli istituti), e a cui si accompagni comunque la ricerca, l’individuazione condivisa e la sperimentazione di dispositivi che valorizzino le professionalità esperte e collaborative, evitando lacerazioni e sospetti tra i docenti (per esempio, attraverso un sistema di crediti che favorisca triennalmente la progressione economica e posizioni organizzative più avanzate).