Coding per tutti: la mozione della Camera

Il coding appassiona i Deputati

Martedì 12 marzo scorso la Camera ha approvato (all’unanimità!) alcune mozioni, dal contenuto molto simile, proposte da parlamentari di diverse appartenenze politiche (le deputate Aprea ed Ascani sono forse i nomi più noti tra i proponenti), che impegnano il Governo ad adottare nei prossimi anni iniziative per la diffusione del coding nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo di istruzione.

Si è parlato di “obbligatorietà” entro il 2022 e di progressiva modifica dei curricoli in questa prospettiva.

Tenendo sempre conto che non siamo ancora di fronte a provvedimenti legislativi veri e propri, è piuttosto interessante la lettura delle premesse e delle motivazioni per le quali diversi gruppi parlamentari sono giunti alle medesime conclusioni, ovvero che sia oggi necessario introdurre (potenziare, diffondere) le competenze digitali (che però non sono mai nominate esplicitamente nel testo) e soprattutto, come indicato al primo punto (al massimo al secondo) di ogni mozione, il coding.

Le (buone) ragioni del coding

Le motivazioni sono le più varie, a partire da questioni legate all’occupabilità: il presente e il futuro sono visti come tempi caratterizzati dalla pervasività delle tecnologie, con le temute conseguenze sul mercato del lavoro e relative nuove necessità in termini di competenze (il coding sarebbe una chiave di volta, in questo senso). Altre ragioni sono più vicine al discorso culturale (ma il “pensiero critico” ricorre una sola volta nel testo), attraverso i confronti con altri Paesi nei quali l’insegnamento del coding sarebbe obbligatorio (viene citata la Gran Bretagna, nella quale non si insegna il coding, ma esiste la disciplina “computer science” fin dal primo anno della scuola primaria), fino a qualche affermazione dal sapore tra il semplicistico e il sensazionalistico (“il coding, cioè la programmazione informatica, è diventata negli ultimi anni una nuova lingua”, “la programmazione informatica (coding) agevola l’uso dei mezzi informatici”).

Non mancano i richiami alla necessità di implementare nuovi ambienti di apprendimento e rinnovare le dotazioni tecnologiche, e una citazione la guadagnano anche i metodi unplugged, per avvicinare i bambini più piccoli al pensiero computazionale attraverso giochi o comunque attività non basate su dispositivi informatici.

Il digitale: disciplinare o trasversale?

L’approvazione delle mozioni ha avuto larga eco mediatica; sui social si sono già sviluppate inevitabili discussioni: era necessario? Davvero si tratta di una novità?

Intanto va ricordato che le mozioni si innestano nel percorso tracciato dal Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) del 2015, il quale prevedeva già un’azione specifica. L’azione #17 (“Portare il pensiero logico-computazionale a tutta la scuola primaria”) aveva come obiettivo permettere “a ogni studente della scuola primaria di svolgere un corpus di 10 ore annuali di logica e pensiero computazionale”.

La questione che è sempre più spesso sollevata, tuttavia, è legata proprio agli aspetti curricolari ed epistemologici. Cosa è realmente necessario insegnare, soprattutto nella scuola del primo ciclo? Il coding ritorna ora al centro dell’attenzione, ma lo merita realmente? L’informatica, il digitale, sono discipline o competenze trasversali? Chi dovrebbe insegnarle, chi dovrebbe occuparsene, nella scuola?

L’informatica nel primo ciclo

Il dibattito è acceso: c’è chi vede nel coding una sorta di scorciatoia, una semplificazione che non consentirebbe di affrontare in modo più ampio “un serio insegnamento dell’informatica fin dalle elementari” (Enrico Nardelli su Agendadigitale.eu, nel settembre 2018).

In effetti ci sarebbe da chiedersi: che fine ha fatto l’informatica? Nel lessico dominante di questi anni,  nella letteratura scolastica ufficiale, il termine non è molto utilizzato. Ricompare ora nelle mozioni sul coding solo come aggettivo, utilizzato per fornire una sorta di traduzione del termine (coding = programmazione informatica).

È sufficiente sfogliare uno dei curricoli dei Paesi europei che dispongono dell’informatica come disciplina a sé stante per rendersi conto che il coding è senz’altro previsto, ma non ricopre un ruolo di così grande evidenza.

Può sembrare una disputa accademica (coding o informatica?) ma in effetti non lo è: la scuola italiana, a dispetto della vulgata che la vuole costantemente arretrata sulle questioni tecnologiche, ha infatti una lunga storia nel campo digitale. Tanti progetti, negli anni, ma con in comune la scarsa capacità di incidere realmente sugli ordinamenti. Il digitale, ma anche l’educazione ai media, sono stati vissuti (e in buona parte ancora lo sono) come un mondo a parte: progetti, non vero curricolo. Il ritardo quindi, eventualmente, è di tipo sistemico-organizzativo.

Verso un curriculum nazionale

In particolare la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione, le cui Indicazioni Nazionali (2012) sono basate sulle Competenze chiave europee per l’apprendimento permanente (2006), recentemente aggiornate con la Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 (nella quale la competenza digitale è inserita tra quelle di base), sono oggi nella necessità di certificare anche la competenza digitale, ma non possono ancora contare su un quadro di riferimento nazionale, peraltro  a sua volta previsto dallo stesso PNSD all’azione #14.

Sarebbe pertanto probabilmente necessaria un’integrazione ufficiale delle Indicazioni Nazionali, magari nel solco del Curriculum di Educazione Civica Digitale proposto dal Miur nel 2018 e realizzato con il contributo di una vasta platea di esperti.

Per quest’obiettivo si potrebbe attingere agli eccellenti framework sviluppati a livello europeo: DigComp, recentemente aggiornato alla versione 2.1, per il quale l’AGID fornisce la traduzione completa, e DigCompEdu, specifico per il settore educativo ed in particolare per gli insegnanti.

Il digitale (o l’informatica? Certamente qualcosa in più del coding) deve entrare nel curricolo scolastico in modo pieno: non può essere una parte consigliata (pur caldamente), ma deve diventare un settore riconosciuto (e soprattutto praticato) del curricolo nazionale.

Le condizioni per ripartire

Non va sottovalutato un dettaglio, forse poco enfatizzato: la nuova formulazione del profilo professionale del docente, formulata dall’art. 27 del CCNL 2016-2018, include ora anche le competenze informatiche.

Insomma tutto sembra quadrare: i nuovi docenti (ma anche quelli già in servizio, attraverso le numerose e ricorrenti iniziative di formazione) saranno dotati di competenze digitali: pronti (davvero pronti?) a insegnare anche il coding?

Si può concludere che  la mozione del coding, tra qualche chiaroscuro, contiene non pochi aspetti positivi, a partire dall’unanimità con la quale è stata approvata: su questo argomento la volontà politica sembra forte e trasversale.

Non è poco, dal momento che qualche preoccupazione si stava addensando circa il futuro del PNSD, e già si paventava il rischio che un certo “movimento”, creatosi nelle scuole negli ultimi anni, potesse restare privo di una seria prospettiva di sviluppo.

La mozione può quindi essere un punto di (ri)partenza per la scuola in generale. Senza aggettivo, meno che mai “digitale”. La “scuola digitale” non esiste: c’è la scuola che opera in una società sempre più digitalizzata. Di questo (banale) stato di fatto bisognerà pur tenere conto, una volta per tutte, in modo sistemico.