Proponiamo alcune riflessioni per accompagnare il lavoro dei collegi docenti in vista dell’ormai prossimo esame di Stato 2019 al termine del primo ciclo, alla luce di una interessante ricerca condotta dall’USR Lombardia e in sintonia con le recenti indicazioni del Miur (nota 5772 del 4 aprile 2019).
Il colloquio orale nell’esame di Stato primo ciclo
Concepire la valutazione conclusiva come momento di apprendimento significativo, in coerenza con le Indicazioni nazionali per il curricolo (DM 254/2012) e con il D.Lgs. 62/2017. E dunque: descrivere competenze e non valutare conoscenze, favorire il protagonismo attivo dei candidati senza azzerare il ruolo della commissione, tenere alta l’asticella senza cedere alla tentazione di trasformare il colloquio in un’interrogazione a più voci, proporre un’esperienza significativa che consenta anche ai docenti (e al dirigente scolastico – presidente di commissione) di apprendere, di verificare e di verificarsi. Queste in sintesi le sfide che si trovano ad affrontare le scuole del primo ciclo al momento di progettare il colloquio d’esame.
Impostare il colloquio
Nella pratica comune, l’impostazione del colloquio può essere ricondotta a cinque modalità ricorrenti:
- interrogazione frammentata sulle discipline, con domande poste in sequenza dai componenti della commissione nell’ambito degli argomenti svolti durante l’anno scolastico;
- scelta di argomento iniziale da parte del candidato e, successivamente, domande dei commissari d’esame (o avvio del colloquio a partire da un prodotto materiale realizzato spesso nell’ambito delle discipline Arte e immagine o Tecnologia);
- presentazione di una “tesina” scritta;
- presentazione da parte del candidato di un percorso trasversale tramite l’uso di un supporto visivo (ad esempio una mappa concettuale, cartacea o digitale);
- sviluppo da parte del candidato di un macro-tema proposto dalla commissione o concordato tra docenti e studente. Per macro-tema intendiamo qui un argomento più o meno ampio, che possa essere sviluppato in una logica trasversale rispetto alle competenze e alle conoscenze messe in campo, più che alle suddivisioni disciplinari.
Il protagonismo dell’allievo e quello dei docenti
Queste modalità si possono collocare su una linea immaginaria, che va da un colloquio interpretato come momento centrato sulla commissione d’esame a un’impostazione in cui si punta sul protagonismo dei candidati. Nel primo caso sono i docenti che conducono, svolgendo un’interrogazione sulle diverse discipline per la totalità o per buona parte del tempo a disposizione. Nel secondo è il candidato a guidare l’interlocuzione, con i commissari che intervengono per commentare, chiedere puntualizzazioni, sollecitare approfondimenti, proporre domande connesse a quanto via via esposto dal candidato.
La scelta di lasciare la conduzione in mano ai docenti rende la prova, a prima vista, più sfidante: i candidati sanno infatti che potrebbe esser chiesto loro qualsiasi argomento sviluppato durante l’anno scolastico nelle diverse discipline. Si vorrebbe così imporre una preparazione ampia e un livello di difficoltà del colloquio potenzialmente anche molto elevato. Nelle scuole in cui si sceglie invece di privilegiare il protagonismo dei candidati, si osserva talvolta il rischio opposto: i colloqui cioè si risolvono non di rado in una sfilata di argomenti predeterminati (e spesso ripetitivi), con i candidati che sanno già in partenza cosa dovranno presentare alla commissione, quindi con uno sviluppo della prova poco sfidante e piuttosto noioso.
Un possibile punto di equilibro: la prova macro-tematica
Si va infine diffondendo una modalità di gestione del colloquio che risulta interessante, perché rappresenta un punto di equilibrio tra necessità di proporre una prova impegnativa e opportunità di non ripetere in sede di esame il modello tradizionale dell’interrogazione orale, moltiplicata per il numero dei commissari: questa modalità è caratterizzata dall’assegnazione da parte della commissione di un macro-tema, che il candidato è chiamato a sviluppare in autonomia. Il macro-tema viene consegnato al candidato con un certo anticipo, affinché questi abbia la possibilità di prepararsi: al variare delle modalità di assegnazione varia anche la natura della prestazione richiesta, e muta in parte la focalizzazione sulle competenze che saranno oggetto di valutazione.
Colloquio finale e Indicazioni nazionali
È interessante richiamare la coerenza di fondo tra l’impostazione per macro-temi e il profilo finale dello studente tracciato nelle Indicazioni nazionali, e indicato dal D.Lgs. 62/2017 come orizzonte di riferimento del colloquio. Le Indicazioni infatti descrivono uno studente in grado di «affrontare in autonomia e con responsabilità le situazioni di vita tipiche della propria età», padrone della lingua italiana in misura tale da saper «esprimere le proprie idee» e «adottare un registro linguistico appropriato alle diverse situazioni». Inoltre lo studente del profilo finale «possiede un patrimonio di conoscenze e di nozioni di base ed è allo stesso tempo capace di ricercare e di procurarsi velocemente nuove informazioni», anche attraverso un uso consapevole delle nuove tecnologie, è in grado di «analizzare dati e fatti della realtà e di verificare l’attendibilità delle analisi quantitative e statistiche proposte da altri» e ha «consapevolezza dei limiti delle affermazioni che riguardano questioni complesse che non si prestano a spiegazioni univoche». Infine egli «dimostra originalità e spirito di iniziativa».
Ecco che il colloquio, conclusione di un percorso lungo dagli otto agli undici anni, può diventare un momento impegnativo nel quale lo studente sia chiamato a dimostrare non il possesso di conoscenze ormai ampiamente testate, quanto la padronanza più o meno salda delle competenze descritte nel profilo finale dello studente.
La questione della valutazione
Il D.M. 741/2017 indica alla commissione la necessità di porre «particolare attenzione alle capacità di argomentazione, di risoluzione di problemi, di pensiero critico e riflessivo, di collegamento organico e significativo tra le varie discipline di studio». Se ne potrebbe ipotizzare una griglia di valutazione del colloquio, a patto di prendere sul serio tutte le voci di questo sintetico elenco fin dalla progettazione del colloquio e dall’accompagnamento degli studenti nella preparazione.
Si parla infatti di capacità di argomentazione e di collegamento organico e significativo: non sarà quindi sufficiente immaginare un orale nel quale il candidato debba giustapporre una serie di contenuti, magari collegati in maniera meccanica (e quindi non significativa). Ad esempio, una sequenza del tipo “rivoluzione industriale – Prima guerra mondiale – Giuseppe Ungaretti” presenta senza dubbio una qualche coerenza interna, ma nei fatti rischia di non sviluppare un’argomentazione e risolversi nel transitare da una materia all’altra in virtù di collegamenti superficiali. Diverso il caso in cui, adottando l’impostazione per macro-argomenti, si sviluppi un tema trasversale – ad esempio la guerra – proponendo approfondimenti mirati, nei quali potranno essere presenti tanto contenuti appresi a scuola quanto altri elementi frutto di approfondimento o esperienza personali: in questo caso la commissione potrà valutare la capacità del candidato di proporre contenuti e riflessioni organiche con l’argomento, sufficientemente approfondite nel merito, motivando in maniera adeguata la scelta operata.
Il colloquio orale come problema
Per integrare nella valutazione la dimensione della risoluzione di problemi sarà necessario in primo luogo intendersi sulla definizione di “problema”. La proposta è che si intenda con “problema” qualunque compito che per essere portato a termine richieda un certo impegno cognitivo. Fondamentale sarà richiedere a ciascun candidato di sviluppare un macro-argomento in grado di sollecitarne la curiosità e collocato, con senso della misura, in quella che vygotskijanamente individueremo come zona di sviluppo prossimale: ogni candidato, cioè, dovrà essere messo di fronte a una richiesta che ne solleciti l’impegno, ma allo stesso tempo rientri in quel perimetro di competenze sulla cui piena acquisizione egli sta lavorando.
La commissione potrà quindi valutare in sede di colloquio la misura in cui, posto di fronte a un macro-tema/problema considerato adeguato al livello di competenza raggiunto, il candidato ha saputo coglierne la complessità, svilupparne i contenuti da prospettive differenti, integrando conoscenze apprese a scuola ad altre diversamente acquisite, proporne letture sulla base di dati, riflessioni, connessioni più o meno ricche.
Cittadinanza e Costituzione?
Un ultimo accenno merita la questione di Cittadinanza e Costituzione. Il D.M. 741/2017 vi si riferisce al comma 3 dell’art. 10: «Il colloquio tiene conto anche dei livelli di padronanza delle competenze connesse all’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione». Si tratta tuttavia, occorre dirlo francamente, di uno scivolone: il D.Lgs. 62/2017, infatti, testo gerarchicamente sovraordinato al D.M. 741/2017, parlava più opportunamente di «padronanza delle competenze di cittadinanza», tutt’altra cosa rispetto al riferimento ad una specifica disciplina scolastica, peraltro dai contorni piuttosto nebulosi. Nessun obbligo quindi di testare i candidati sulla loro conoscenza della Costituzione o dei diritti universali dell’uomo: si tratterà invece per la commissione di prestare attenzione alla padronanza nelle competenze chiave di cittadinanza, cosa non sempre semplice ma certamente necessaria (almeno come traguardo cui tendere).
Come di consueto, Notizie della scuola dedicherà all’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione un numero monografico contenente tutte la normativa di riferimento e un ampio servizio redazionale illustrativo.