Intervista ad Antonello Giannelli, Presidente dell’ANP – Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola.
È di questi giorni il via libera della Camera dei deputati al Decreto Concretezza, che tra le misure per il personale pubblico prevede la rilevazione biometrica della presenza dei dirigenti scolastici nelle scuole attraverso la lettura delle impronte digitali. L’ANP si è da subito dichiarata contraria: può illustrarcene le ragioni?
Ci sono tre motivi distinti, tutti accomunati dal fatto che non ci sarà alcun miglioramento della qualità dei servizi pubblici se il “decreto concretezza” sarà approvato in questa forma.
Innanzitutto siamo contrari all’introduzione del controllo biometrico generalizzato per tutto il personale pubblico. Questa misura nasce dall’intento – per noi condivisibile – di combattere il fenomeno dei cosiddetti “furbetti del cartellino”, ma lo fa in modo del tutto sproporzionato. Vorrei che fosse ben chiaro che, a mio avviso, chi timbra il cartellino (o il badge elettronico) in maniera fraudolenta va licenziato, come prevede l’articolo 55-quater del d.lgs. 165/2001. Si tratta di persone disoneste che derubano la collettività, visto che i loro stipendi sono pagati grazie alle tasse di tutti, e non si deve avere alcuna indulgenza nei loro confronti.
Questo problema, però, va analizzato nelle sue reali dimensioni: quanti sono questi “furbetti”? Centinaia? Migliaia? Ammettiamo che il loro numero sia stimabile addirittura attorno a 30.000, cifra davvero spropositata: si tratterebbe dell’1% di tutti i dipendenti pubblici, che sono circa 3.000.000. E cosa prevede il decreto? Anziché dotare i dirigenti di efficaci strumenti di intervento, obbliga tutti – quindi anche quel 99% di dipendenti ligi al proprio dovere – a sottoporsi a controlli particolarmente invasivi come la registrazione dell’impronta digitale. Insomma, per recuperare l’1% di presenza sul posto di lavoro si impone un controllo biometrico a tutti. La vera questione che interessa ai cittadini, e cioè l’incremento di produttività degli uffici pubblici, non si ottiene certo sostituendo i tradizionali lettori di cartellino elettronico con i lettori di impronte digitali. Si tratta, quindi, di un provvedimento inutile e molto sproporzionato, che viola il divieto di trattamento generalizzato dei dati biometrici previsto dal codice privacy, come peraltro già evidenziato dal Garante.
In secondo luogo, per quanto riguarda i dirigenti – tutti i dirigenti e non solo quelli scolastici – voglio ricordare che il loro contratto di lavoro non prevede alcun obbligo orario. Il dirigente assenteista non esiste per definizione. L’obbligo di lavoro di qualsiasi dirigente (anche di quelli del settore privato) consiste infatti nel raggiungimento di determinati obiettivi, con previsione di licenziamento in caso contrario, e non nello stare in ufficio un certo numero di ore, parametro del tutto irrilevante nella valutazione della sua attività. Credo che si possa addirittura convenire sul fatto che, a parità di risultati ottenuti, è più “bravo” un dirigente che trascorre meno ore in ufficio. Quindi l’esigenza di conoscere questo numero di ore ha il carattere della curiosità e nulla più. Perché registrare dati biometrici di una persona in queste condizioni? Quale miglioramento ci attendiamo? Siamo, anche qui, in presenza di una palese violazione della privacy, aggravata dall’evidente manifestazione di sfiducia verso la dirigenza. Questa infatti è – o dovrebbe essere – in particolare rapporto di fiducia nei confronti del datore di lavoro, pubblico o privato che sia. Crediamo davvero che i dirigenti si impegnerebbero al massimo per conseguire gli obiettivi loro assegnati, se si sentissero considerati alla stregua di potenziali truffaldini e furbetti?
In terzo luogo, passando a considerare la dirigenza delle scuole, alle argomentazioni già esposte ne va aggiunta un’altra, di enorme impatto: è la prima volta, nella storia del lavoro organizzato, che il soggetto responsabile di una struttura deve sottostare a controlli che non sono invece previsti per un’ampia parte del personale che da lui dipende. Già, perché il “decreto concretezza”, nella versione licenziata dalla Camera, prevede per i docenti una specifica deroga. Si tratta di una novità assoluta, del tutto incoerente con i fondamenti del lavoro subordinato.
Aggiungo che, per quanto riguarda le sole scuole, una stima estremamente prudenziale dei costi di acquisto e installazione dei lettori di impronte digitali fa ipotizzare un esborso di almeno cento milioni di euro. Siamo sicuri che non sia preferibile utilizzarli per finanziare, almeno in parte, la sempre più urgente esigenza di manutenzione dei solai e dei controsoffitti delle aule? Gli eventi di crollo – dal più innocuo al più temibile – si stanno ripetendo con una frequenza superiore ad uno a settimana su base nazionale. È ragionevole differire la manutenzione pur di installare lettori di impronte digitali in ognuno degli oltre 40.000 edifici scolastici del nostro Paese? Ritengo proprio di no!
Qual è la motivazione che secondo lei ha portato ad escludere dal testo del Decreto il personale docente, mentre si è deciso di mantenere tale rilevazione per i dirigenti scolastici? Sono forse più assenteisti o forse i tempi di lavoro sono particolarmente ridotti?
Premesso che, come ho già affermato, questo controllo non dovrebbe essere adottato nei confronti di nessuno, e quindi nemmeno dei docenti, credo che la vera ragione dell’esclusione sia rinvenibile in un interesse di natura elettoralistica. Le elezioni europee sono alle porte e la politica, memore della sconfitta subita dal governo renziano in occasione del referendum costituzionale del 2016, ha probabilmente voluto compiacere la consistente moltitudine del corpo docente (circa 800.000 persone), sperando di trarne a breve un vantaggio. Sottolineo, per onestà intellettuale, che questo approccio accomuna tutti gli esecutivi che si sono succeduti almeno negli ultimi trent’anni. Speravo che il “Governo del cambiamento” volesse cambiare davvero qualcosa. Sono ancora ottimista e fiducioso.
Che ricaduta avrebbe nel mondo della scuola e nell’opinione pubblica l’applicazione della rilevazione biometrica della presenza a scuola dei dirigenti scolastici, se il Decreto ricevesse l’approvazione definitiva in Senato?
Nel mondo della scuola, come ho evidenziato prima, temo uno svilimento della funzione dirigenziale, sottoposta ad un inutile – data l’inesistenza di un obbligo orario – ed invasivo controllo di presenza, specie alla luce del fatto che i docenti ne sono esclusi.
L’opinione pubblica non potrebbe fare a meno di pensare che i dirigenti delle scuole debbano registrare le loro impronte digitali perché tendenzialmente assenteisti.
Insomma, a mio avviso, un vero disastro. E, sottolineo il paradosso, senza che questo produca alcun effetto di miglioramento del servizio.
I dirigenti scolastici e molta parte dell’opinione pubblica sottolineano gli enormi costi da sostenere per la rilevazione delle impronte digitali, mentre gli assenteisti sarebbero da cercare altrove. Secondo lei il mondo della scuola saprà esprimersi in maniera compatta sulla questione o questa rischia di diventare una “battaglia” dei soli dirigenti?
Indubbiamente l’aver esonerato i docenti elimina dalla controversia un enorme contingente di potenziali nostri alleati in questa “battaglia”. Ma noi non temiamo certo il confronto e sapremo esporre con forza e chiarezza il nostro punto di vista.
Per concludere può dirci se l’ANP prevede azioni specifiche per contrastare l’iter di approvazione in Senato di tale misura?
Abbiamo già esternato in più occasioni il nostro punto di vista e continueremo a farlo con estrema determinazione. Credo che si tratti di un’importante occasione di confronto democratico, e quindi rappresenteremo le nostre ragioni a numerosi parlamentari e all’opinione pubblica. In questa fase, proprio per rispetto delle regole del dibattito civile, non ritengo opportuno mettere in atto vere e proprie forme di lotta sindacale, iniziative che però non esiteremo a realizzare in caso di approvazione del decreto in questa versione. Potremmo considerare anche la possibilità di un’azione giudiziaria volta a sollevare una questione di legittimità costituzionale.