La ricerca di Save the children
L’avvio dell’anno scolastico è stato accompagnato dalla pubblicazione di un interessante rapporto di ricerca da parte di Save the children,“ Il miglior inizio – Disuguaglianze e opportunità nei primi anni di vita” i cui risultati e i cui suggerimenti dovrebbero seriamente essere presi in considerazione dai decisori politici e da tutti quei soggetti che, a vario titolo, si occupano della scuola.
La sua pubblicazione è stata accompagnata da un vivace dibattito, anche sui media[1], su tre questioni fondamentali, per altro non nuove, ma che ogni qualvolta che vengono resi noti dati di rilevazioni o ricerche sulla scuola, ritornano al centro dell’attenzione:
- L’Italia è un paese con forti differenze territoriali rispetto alle opportunità educative;
- diversamente da altri paesi europei c’è una debole mobilità sociale;
- la scuola non funziona come ascensore sociale, non riesce, cioè a ridurre le differenze dovute all’origine sociale.
L’origine delle disuguaglianze
In generale questi ragionamenti sono affrontati a partire da dati di tipo macro sulla popolazione, sulla distribuzione dei titoli di studio in relazione alla collocazione territoriale e alla classe socio-economica di origine quali, ad esempio, quelli delle rilevazioni ISTAT[2]; in questo caso si tratta, invece, di una ricerca pilota che rileva come il gap territoriale e sociale si definisca fin dai primi anni di vita dei bambini e delle bambine, prima ancora che entrino nel sistema scolastico, cioè prima della scuola primaria. Inoltre la ricerca conferma che la presenza di disuguali opportunità di accesso ai servizi educativi nella prima infanzia, dovute sia alla collocazione territoriale che allo status socio economico della famiglia, determina già a partire dalla scuola dell’infanzia un diverso sviluppo delle competenze cognitive nell’area del linguaggio, della matematica e dello sviluppo psico-motorio e socio-relazionale. In altre parole l’insorgere e il cristallizzarsi delle disuguaglianze si definisce prima dell’entrata nella scuola l’infanzia, mentre di contro, la frequenza dell’asilo nido può avere un potenziale effetto “egualizzante”.
Come valutare lo sviluppo e l’apprendimento?
La ricerca, che si definisce come un vero e proprio studio pilota è stata realizzata da Save the Children, in collaborazione con il Centro per la Salute del Bambino, nel 2019, su un campione di 653 bambini di età compresa tra 3 anni e 6 mesi e 4 anni e 6 mesi e sui loro genitori, che frequentano scuole dell’infanzia pubbliche o private paritarie di 10 città e province italiane – Brindisi, Macerata, Milano, Napoli, Palermo, Prato, Reggio Emilia, Roma, Salerno e Trieste.[3]
Per svolgere l’indagine è stato utilizzato lo strumento IDELA (International Development and Early Learning Assessment), sviluppato da Save the Children International, che attraverso un questionario stimolo rivolto ai bambini consente di osservare lo sviluppo cognitivo ed emozionatale prima dell’entrata nella scuola primaria. L’attività è accompagnata da interviste rivolta ai genitori degli stessi per raccogliere dati relativa al titolo di studio, alla professione ma anche alle abitudini nella relazione educativa quali leggere insieme, ascoltare musica o andare al teatro e svolgere attività all’aria aperta. Lo strumento utilizzato non aveva l’obiettivo di misurare lo sviluppo del singolo bambino, quanto piuttosto di quello di osservare alcune tendenze sulla popolazione di riferimento, ed in particolare, l’emergere di disuguaglianze nello sviluppo.
Non mi soffermo sulla parte introduttiva del rapporto nel quale vengono messi in evidenza dati strutturali ed aspetti normativi, confrontati anche con dati europei, quanto piuttosto sugli esiti innovativi della ricerca sul campo.[4]
I benefici dei percorsi educativi precoci
Come precisato nel Rapporto “l’indagine IDELA è un primo esperimento pilota di carattere esplorativo, i cui risultati non possono essere considerati, per le caratteristiche non casuali e la limitata numerosità del campione, necessariamente rappresentativi dell’insieme dei bambini che vivono e frequentano i servizi per l’infanzia in Italia”. Tuttaviai risultati presentano una forte convergenza con altre indagini internazionali su campioni rappresentativi più ampi e forniscono indicazioni precise sul fatto che l’inserimento precoce in un percorso strutturato di cura ed educazione della prima infanzia (nido a tempo pieno o parziale) concorre significativamente a ridurre l’incidenza negativa del contesto socio economico di provenienza nello sviluppo delle competenze cognitive e psico-relazionali.
Principali risultati sulle risposte al questionario
L’aspetto, a mio avviso, più rilevante della ricerca riguarda infatti la relazione fra le risposte fornite dai bambini per ciascuna area e l’aver frequentato il nido: “i bambini che hanno frequentato il nido (tempo pieno o parziale in nidi tradizionali, micro nidi, nidi aziendali, classi primavera) hanno, infatti, portato a termine in modo appropriato il 46,9% degli esercizi proposti, a fronte del 41,6% di coloro i quali hanno frequentato servizi integrativi (centri bambini-genitori, spazi gioco, servizi educativi domiciliari, etc.) o sono andati in anticipo alla scuola dell’infanzia o sono rimasti a casa e non hanno quindi usufruito di alcun servizio”
Il dato diventa ancora più significativo se si guarda ai bambini provenienti da famiglie in svantaggio socio-economico: “coloro i quali hanno frequentato un asilo nido hanno risposto in modo appropriato al 44% delle domande dell’indagine IDELA. La percentuale scende al 38% per i bambini che hanno frequentato un servizio integrativo o sono andati anticipatamente alla scuola dell’infanzia o non hanno usufruito di alcun servizio”. Inoltre “la durata della frequenza al nido dell’infanzia, calcolata in termini di numero di mesi, è risultata essere un fattore determinante, particolarmente per i bambini svantaggiati dal punto di vista socio-economico, nell’acquisizione delle competenze in ciascun ambito IDELA. I bambini provenienti da famiglie in svantaggio socio-economico che hanno frequentato il nido dell’infanzia per 36 mesi, hanno risposto in modo appropriato al 50% delle domande dell’indagine IDELA, a fronte del 42,5% per i bambini la cui frequenza è stata tra 12 e 24 mesi, e del 38% per un solo anno o meno.”
L’incidenza del contesto socio-culturale
Mi pare, inoltre, utile riportate alcune considerazioni di sintesi del Rapporto a proposito dell’emergere delle prime forme di disuguaglianza: “i bambini con almeno un genitore che non ha conseguito alcun titolo di studio rispondono in modo appropriato al 38,4% delle domande dell’indagine IDELA, quindi largamente sotto la media dei bambini che hanno partecipato (44,6%). Una percentuale molto simile si riscontra per i bambini con almeno un genitore con licenza elementare o media, 40,4%. Tale percentuale aumenta invece sostanzialmente quando almeno uno dei genitori possiede un titolo o diploma di istruzione secondaria superiore, 45,7%, e un diploma universitario, 52,4%. Tali differenze sono marcate anche considerando ciascuno degli ambiti dell’indagine IDELA. In matematica, ad esempio, il gap tra i bambini con un genitore con licenza elementare/ media o nessun titolo di studio e quelli con genitori con diploma universitario è di 14 punti percentuali (pp), in lettura e scrittura di circa 12 pp, in sviluppo fisico e motorio di circa 8 pp, mentre di 14 pp in quello socio-emozionale”. Se poi si guarda più in particolare al lavoro svolto dalla madre, si osserva che “i bambini con madre disoccupata, rispondono, rispettivamente, in modo appropriato al 38,4% e 43,1% delle domande dell’indagine IDELA. Una percentuale significativamente inferiore rispetto a quella dei bambini che hanno la madre che svolge un lavoro manuale, 48%, un lavoro impiegatizio 51%, o di servizio (dirigente, imprenditrice o libero professionista), 54,9%”.
Equità delle opportunità
Se dunque è vero che le disuguaglianze si strutturano, come hanno dimostrato ricerche internazionali e come conferma anche la ricerca di Save the children, nei primissimi anni di vita a seguito dell’influenza del contesto socio-economico e culturale della famiglia, appare sempre più cogente l’estensione dei servizi educativi per la prima e primissima infanzia. Una scuola di qualità a partire dal nido e dalla scuola dell’infanzia a cui possano accedere tutti i bambini e le bambine, a prescindere dal luogo e dalla famiglia in cui sono nati/e, è una condizione imprescindibile per ristabilire equità di opportunità in tutto il sistema educativo e di istruzione.
Pertanto affinché la scuola possa funzionare da equilibratore delle differenze sociali, non è sufficiente garantire l’accesso all’istruzione a partire dall’obbligo ma bisogna effettivamente agire sul segmento 0-6 come segmento educativo fondante per garantire il successo formativo a tutti.
Se ancora una volta i risultati INVALSI[5] ci confermano che esiste una forte correlazione fra livello delle competenze in Italiano e Matematica, la collocazione territoriale e il contesto socio-economico della famiglia, probabilmente per migliorare tali risultati sarebbe opportuno intervenire prima, molto prima, fin dall’asilo nido.
[1] Trasmissioni e dibattiti su Rai-Radio tre; alle stesse tematiche sono stati dedicati articoli su L’Espresso n.37 dell’8 settembre 2019
[2] Istat, Report – Livelli di istruzione e ritorni occupazionali, luglio 2019
[3] Il report completo della ricerca è disponibile sul sito www.savethechildren.it
[4] Per approfondimenti sui dati di sistema, sugli aspetti normativi, sullo stato dell’arte per l’attuazione del percorso 0-6 in Italia, si rimanda ai contributi di G. Cerini su Scuola7 e in particolare al n.151, settembre 2019
[5] Distribuzione degli alunni nei livelli si competenza per fasce di ECS e macro area – Approfondimenti disponibili su: https://invalsi-areaprove.cineca.it/index.php?get=static&pag=materiale_approfondimento