Sig.ra Vice Ministra, in tutte le stagioni della politica il rapporto tra il mondo della scuola e chi Governa non è stato dei più facili: forse si sono accumulate troppe speranze, ma anche molte disillusioni. Sembrano molto distanti le aspettative dei docenti (che reclamano una loro maggiore considerazione nella società) e le concrete scelte legislative. È solo un problema di risorse e di stipendi o c’è dell’altro?
Il problema degli stipendi degli insegnanti è innegabile. Per onestà intellettuale, mi sento di ricordare che purtroppo la questione salariale in Italia riguarda la maggior parte dei lavoratori nel settore pubblico e privato. In particolare, però, è intollerabile che gli affidatari di una missione fondamentale per la società e delicatissima – l’educazione – siano pagati così poco. I docenti hanno una responsabilità grande. E il loro impegno va riconosciuto professionalmente ed economicamente. L’incontro con un insegnante cambia veramente la vita di ciascuno di noi, lo sappiamo per essere stati studenti tutti. Certo è che le finanze pubbliche del nostro Paese lasciano purtroppo pochi margini di manovra. A maggior ragione è importantissimo che per i governi la scuola sia una priorità assoluta: ciò è fondamentale sia per le conseguenze pratiche, sia per il clima di fiducia che ne conseguirebbe. Secondo me un altro aspetto fondamentale riguarda il fatto che quasi tutti i governi, purtroppo, tendono a lavorare in un’ottica di breve respiro e quindi cercano di piantare alcune “bandierine” sui vari temi, inclusa la scuola. A intestarsi novità o provvedimenti senza guardare alla reale qualità del sistema in termini di ricaduta permanente sui giovani e sulla società in generale. Penso non ci sia nulla di più sbagliato. In questo modo, il mondo della scuola si sente alla mercé di cambiamenti continui, che si ripercuotono sulle vite di chi concretamente lavora nei nostri istituti. Penso quindi che sia molto importante per un governo avere una prospettiva di lungo respiro. E mettersi a servizio, effettivamente, delle istituzioni scolastiche, intervenendo per migliorare il sistema. È per questo che ci stiamo battendo per trovare risorse adeguate per i settori di nostra competenza in legge di bilancio: avremo soldi per i contratti degli insegnanti, misure importanti per i dirigenti scolastici, gli asili nido gratuiti. Dobbiamo fare di più sul diritto allo studio. In Italia studiare costa ancora troppo. Su questo dobbiamo intervenire e ci stiamo dando da fare. Negli ultimi anni il rapporto tra politica e mondo della scuola non è stato facile, è vero, e questo a causa di infinite promesse puntualmente disattese. Noi abbiamo e continueremo ad avere un atteggiamento diverso.
Ad ogni cambio di Governo, comunque, una scintilla si riaccende, qualche speranza si rianima. È la cosiddetta “luna di miele”. Come non sprecare questa occasione? Quali sono alcune priorità concrete che possono ispirare i prossimi passi della politica scolastica?
Penso che il primo passo, il più urgente, sia già stato compiuto in queste iniziali settimane di lavoro: abbiamo sbloccato l’accesso alla docenza di ruolo, dando il via libera a due nuovi concorsi, uno straordinario per i precari che abbiano almeno 3 anni di servizio e uno ordinario. Qualcuno l’ha definito il “decreto precari”, io penso sia più opportuno definirlo il “decreto scuola”, perché la stabilizzazione degli insegnanti è funzionale alla qualità della didattica. L’inazione del governo gialloverde sulla scuola e Quota 100 hanno causato un inizio di anno scolastico da dimenticare e mai più ripetere, a causa dell’elevatissimo numero di cattedre sguarnite. Noi abbiamo imboccato una strada chiara con lo sblocco dei concorsi, una strada che deve essere la normalità: l’accesso all’insegnamento di ruolo non può avere percorsi e tempi sempre diversi. Il principio deve essere semplice e riconosciuto da tutti: si entra per merito, quindi per concorso, e di conseguenza i concorsi devono essere banditi su base regolare e periodicamente. Coerentemente con le esigenze del sistema e delle scuole. Ma sono diverse le priorità alle quali stiamo lavorando già concretamente. Penso all’edilizia scolastica: abbiamo riunito l’Osservatorio dedicato al MIUR e istituito una task force che sarà attiva sia a livello centrale che locale e metterà a disposizione dei territori tecnici ed esperti per accompagnarli nelle varie procedure e nella progettazione degli interventi. Abbiamo stanziato nuove risorse per interventi negli istituti che ne hanno bisogno, oltre 65 milioni per le verifiche diagnostiche dei solai e dei controsoffitti e 120 milioni per le scuole che si trovano nelle aree colpite dal terremoto in Centro Italia. Ci occuperemo del sistema integrato per l’educazione 0/6, un punto qualificante della legge 107 del 2015 che ci permette di dare strumenti di crescita sana ed eguale a ogni bambino già dalla più tenera età. E ancora, siamo già al lavoro per i dirigenti scolastici: hanno un ruolo prezioso, dobbiamo liberarli da carichi burocratici inutili e metterli nelle condizioni di operare al meglio. Per loro già in legge di bilancio stiamo intervenendo sul Fondo Unico Nazionale (FUN), vogliamo che abbiano a disposizione risorse adeguate al loro organico reale. E porteremo avanti una battaglia sul decreto legislativo 81/2008 che riguarda la sicurezza sui luoghi di lavoro, c’è già una legge della quale sono prima firmataria depositata in Parlamento. Mi chiede qual è il modo per far durare “l’effetto luna di miele”. Credo che la risposta sia una: non prendere in giro. Non fare promesse inutili. Mantenere viva la fiamma, lavorando sul serio, nel rispetto di tutti. Agendo per il bene delle scuole e dei ragazzi.
Sarebbe necessario un nuovo “patto” tra la società e la sua scuola. Offro risorse (e riconoscimenti), in cambio chiedo…. Quali dovrebbero essere i contenuti di questo “contratto sociale”?
In generale, secondo me serve un nuovo patto col mondo della scuola che superi le dicotomie di un dibattito purtroppo un po’ irrigidito. A volte si tende a rivendicare che la scuola deve essere prima di tutto degli studenti e delle famiglie, come a sottintendere che chi lavora nella scuola metta i propri interessi di categoria sopra al bene degli studenti. Questo è evidentemente un punto di vista sbagliato: gli insegnanti non sono una categoria da punire, bensì da valorizzare affinché la scuola sia la migliore possibile per tutti. In questo senso, per esempio, la formazione dei docenti non va né brandita né percepita come una punizione: andrebbe bensì vissuta come un’opportunità culturale e professionale. Se questo è l’atteggiamento del governo, penso si possano ammorbidire molte diffidenze di chi lavora nella scuola. Poi, se devo dirla tutta, penso che non dovremmo parlare neanche in termini di patto tra scuola e società. Perché la scuola è società. Non va bene pensare in termini di do ut des. Proprio perché è società dovremmo occuparcene tutti, ciascuno per la parte di propria competenza. Dobbiamo promuovere un’apertura ai territori. Rafforzare l’autonomia dei nostri istituti: conoscono le specificità dei contesti in cui operano e le esigenze della comunità scolastica. Possono essere e devono essere centri dinamici.
Quando si parla di valorizzare la professionalità dei docenti (e di tutte le altre figure), spesso di addensano i nuvoloni grigi del rinnovo dei contratti, del precariato irrisolto, dei grandi numeri del pubblico impiego. Politiche del merito sono difficilissime (e dire che il rapporto insegnanti-alunni si basa sul riconoscimento del merito). Quale potrebbe essere una strategia condivisa per riconoscere meriti e impegni degli insegnanti? Costruire una carriera docente? Riconoscere figure “intermedie” stabili? Diffondere incentivi contrattuali? Ci si sta pensando?
Troppo a lungo siamo stati abituati a pensare agli insegnanti come a una categoria da sistemare con un posto fisso. Una distorsione dovuta all’endemico precariato diffuso. Come se l’unico interesse effettivo fosse quello. Credo che dobbiamo promuovere un cambiamento di prospettiva e introdurre il concetto di “cura professionale”. Che vuol dire riconoscere il diritto a una formazione professionale permanente, che poi abbia spazi di valorizzazione. Le sfide che la nostra società ci mette davanti sono sempre più complesse, gli insegnanti devono avere la possibilità di aggiornare le proprie competenze e conoscenze per stare al passo con i tempi e guidare al meglio gli studenti a fare lo stesso nel corso della loro vita. Ci stiamo battendo, anche nell’ambito della legge di bilancio, per assicurare risorse per la card del docente e per il bonus del merito, misure introdotte dalla cosiddetta “Buona Scuola” che gli insegnanti hanno apprezzato e ritenuto utili per la loro formazione. Inoltre, ritengo sia indispensabile riconoscere una progressione di carriera, differenziando le figure sia in ambito organizzativo che didattico. Non è possibile che per il momento la carriera del docente sia piatta: il principio dell’anzianità esclude qualsiasi tipo di riconoscimento dell’apporto professionale dell’insegnante. Occorre cambiare paradigma: non si deve trattare più di occupare un posto, dobbiamo qualificare una professione. Stiamo lavorando per quello.
Alcune riforme recenti attendono di essere portate a compimento: il sistema integrato “zerosei” (che non è solo nidi gratis per tutti), l’alternanza scuola-lavoro (che non è precoce addestramento), gli ITS (istruzione tecnica superiore, di cui tutti dicono un gran bene…), l’educazione civica (con le sue scarne 33 ore). Ci sarà la forza per farle progredire?
Deve esserci. E siamo qui per questo. I cittadini ci hanno eletto per un motivo ben preciso. E noi non abbiamo alcuna intenzione di risparmiarci. Vogliamo fare andare avanti il percorso di riforme qualificanti e di progetti utili al mondo della scuola inspiegabilmente bloccati dalla non-gestione Bussetti. Come dicevo prima, lo 0/6 è una delle priorità della nostra azione di governo: è fondamentale offrire strumenti educativi per la definizione di un progetto educativo e pedagogico coerente per questa fascia di età. Perché è così che si riducono le distanze, i divari. E noi vogliamo una scuola che non perda nessuno dei suoi bambini e ragazzi, così come la intendeva Don Milani. Come vogliamo anche un sistema di istruzione che prepari effettivamente al futuro. Fornendo agli studenti quelle competenze trasversali che serviranno per affrontare il mondo del lavoro: in questo senso trovo assurdo che l’ex Alternanza Scuola-Lavoro, adesso “Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”, abbia subito una battuta d’arresto, proprio mentre entrava a regime. Il taglio a ore e fondi deciso dal precedente governo è stato un errore. Diciamolo pure: è servito a far cassa. Ma questo nelle comunità scolastiche e tra le aziende ha prodotto smarrimento. È vero, nella maggioranza ci sono posizioni diverse. Ma io penso che la questione sia da riconsiderare almeno per gli istituti tecnici e professionali. E indubbiamente dobbiamo supportare di più e meglio, anche attraverso una formazione mirata, presidi e docenti. Inoltre, occorre ricreare un rapporto stabile e duraturo tra scuole, territori e tessuto imprenditoriale. E da questo punto di vista gli Istituti tecnici superiori sono un’esperienza di eccellenza, che va valorizzata. Ci impegneremo, insieme al MISE e al Ministero del Lavoro, per farli decollare. Nel mio territorio, l’Umbria, i diplomati ITS sono molto ricercati da parte delle aziende locali. Dobbiamo potenziare questo tipo di formazione. E superare una volta per tutte i pregiudizi ideologici: scuola e mondo del lavoro non possono viaggiare su binari separati. Per quanto riguarda, invece, l’Educazione civica, stiamo riprendendo in mano una situazione gestita in maniera quantomeno goffa dal precedente esecutivo: come sapete si tratta di una disciplina fondamentale per la crescita dei nostri giovani e sull’approvazione del provvedimento che la reintroduce rendendola obbligatoria nel percorso di studi c’è stata ampia convergenza in Parlamento. Ma non si può pensare di caricare le scuole di una novità senza dare strumenti per calarla all’interno della vita scolastica. Ci sono delle linee guida che sono al vaglio del Consiglio superiore della pubblica istruzione che contengono informazioni dettagliate sull’insegnamento della disciplina. Ecco, la linea di questo governo è quella di rendere operativo tutto ciò che è stato insabbiato. Rafforzare le fondamenta del sistema di istruzione e dare ali ai nostri studenti. È attraverso una formazione di qualità che possono dare forma ai loro sogni.
Ci sono molti “boatos” attorno all’INVALSI, il nostro istituto di valutazione. Si parla di ridimensionamento, di accorpamento, ecc. La scuola sembra temere la valutazione, quasi come una invasione di campo del grande fratello orwelliano…. Se però si entra nel concreto (es. i programmi di autovalutazione delle scuole) molte ansie si smontano e si comprende il valore formativo di una buona valutazione (per il sistema, le scuole, il personale, gli allievi). Si andrà in questa direzione?
Che la scuola tema la valutazione mi sembra più un refrain “ideologico” da addetti ai lavori. Per la mia esperienza, dirigenti scolastici, insegnanti sono ben disposti nei confronti di strumenti valutativi. Perché sanno bene che non hanno un valore punitivo. Dobbiamo cercare di eliminare a tutti i livelli del dibattito sulla valutazione l’accezione divisiva che viene data al termine. I test Invalsi, tanto vituperati, sono in realtà un mezzo conoscitivo, sicuramente migliorabile, importante. Che supporta le scuole nella loro azione. Quest’anno per la prima volta, per esempio, attraverso queste prove abbiamo ottenuto informazioni sulla cosiddetta dispersione scolastica implicita, ovvero abbiamo scoperto che ci sono studenti che completano l’iter scolastico e nonostante questo dimostrano di avere competenze ben al di sotto degli standard previsti. La valutazione del sistema di istruzione è necessaria, per capire cosa non va e come intervenire per migliorare. E quindi sì, rivediamo i test se così come sono non funzionano al meglio, ma cerchiamo di assicurarci che la percentuale di adesione delle scuole aumenti e che partecipino soprattutto gli istituti che si trovano nelle aree a rischio o svantaggiate. Non ci interessano le classifiche, né dividere il Paese in bravi e meno bravi. Vogliamo che uno studente che frequenta le nostre scuole abbia la possibilità di sviluppare tutte le competenze e conoscenze necessarie a essere protagonista della vita della comunità di cui è parte.
Lo stato di salute dei nostri edifici scolastici non è rassicurante, sia per i problemi di sicurezza (segnalati in questi giorni con insistenza dai dirigenti scolastici), sia per la qualità degli ambienti di apprendimento (necessari per una didattica più efficace). Si riuscirà a fare di più e a mettere ordine nella giungla dei finanziamenti e delle competenze (lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, l’INAIL, i fondi europei…) per rinnovare il nostro patrimonio scolastico?
Come anticipato prima, lo stiamo già facendo. Ci siamo da subito attivati, all’interno dell’Osservatorio per l’edilizia scolastica al MIUR, per definire un piano strategico di azione. L’obiettivo è non perdere tempo e permettere a chi ne ha bisogno di poter usufruire dei fondi disponibili. Per capirci, appena qualche giorno fa Cittadinanzattiva ha presentato il suo report annuale: viene fuori che in Italia si registra un crollo ogni 3 giorni all’interno di una scuola. È evidente che qualcosa va fatto. E prima che sia troppo tardi. Dobbiamo essere in prima linea nei casi di emergenza. Ma soprattutto evitare che queste situazioni si verifichino. Questo vuol dire che dobbiamo mettere sul tavolo risorse, e risorse sufficienti, dobbiamo sburocratizzare il sistema, eliminando le procedure che rallentano l’assegnazione dei fondi, e agire in maniera mirata, dopo verifiche e sulla base delle effettive esigenze. E soprattutto fare squadra con gli enti locali proprietari delle scuole, in prima battuta. Ma anche con tutti gli altri soggetti coinvolti. La task force che abbiamo costituito sarà fondamentale non solo in termini di coordinamento con i territori, ma anche come affiancamento nella progettazione degli interventi. Alle scuole non serve un governo che convochi una conferenza stampa ogni due giorni per fare annunci vani. Servono risorse facilmente spendibili. Servono cantieri. Servono interventi rapidi per mettere in sicurezza gli edifici. Non è ammissibile che un bambino non si senta protetto a scuola o che un genitore debba preoccuparsi dell’incolumità del figlio. Vogliamo per i nostri bambini e ragazzi scuole sicure, belle e sostenibili perché anche l’ambiente concorre alla qualità dell’apprendimento. L’edilizia scolastica è stata la prima delega che il Ministro Fioramonti mi ha assegnato. E non c’è stato un solo giorno da allora in cui non mi sia occupata di questo. Sarà una priorità. E porteremo a casa importanti risultati. Per il bene dei nostri giovani.