La centralità della scuola nella formazione
Con il nuovo Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (CCNI) sulla formazione in servizio, stipulato il 19-11-2019, cambiano alcune condizioni per la realizzazione delle iniziative di formazione. Ne abbiamo già parlato su scuola7.it ed altre riflessioni seguiranno nei prossimi numeri della newsletter. Segnaliamo fin da ora un commento articolato della recente nota MIUR 49062 del 28-11-2019 (che precisa alcune caratteristiche della “nuova formazione”, che ho curato in questi giorni e che è in fase di stampa nel nuovo numero di “Notizie della Scuola”, il quindicinale edito da Tecnodid. L’articolo si conclude prefigurando un possibile PIANO DI FORMAZIONE DI ISTITUTO, nelle sue fonti, nei suoi contenuti, nei suoi impegni. Qui anticipiamo solo alcune considerazioni che vogliono focalizzare le nuove responsabilità della scuola nella formazione in servizio. Se lo spostamento verso la formazione di ambito territoriale (prevista nel Piano 2016-2019) fosse stata interpretata come un alibi per non partecipare alla formazione (…i corsi proposti dall’ambito non rispondono alle esigenze della nostra scuola…), oggi questa pregiudiziale viene a cadere, perché ogni scuola dispone di un proprio fondo dedicato alla formazione. Si tratta certamente di una cifra insufficiente (a fatica si raggiungeranno i 2.000 euro), perché è il frutto di un investimento ridotto del legislatore (40 milioni tutto compreso) che viene ripartito per molte esigenze (nazionali e territoriali) e tra oltre 8.000 scuola, a fronte ad esempio degli oltre 360 milioni della stessa legge 107/2015, che costituiscono la “dote” annuale della CARD per la formazione di 500 euro per oltre i 700.000 docenti italiani. Se questa dote fosse spesa all’interno della propria scuola da tutti i docenti (la cosa si può fare…), il budget si eleverebbe ad oltre 50.000 euro per ogni istituzione scolastica…insomma, sarebbe tutta un’altra musica.
L’obbligo di dotarsi di un piano di formazione di istituto
In attesa di una mossa così coraggiosa, occorre ripartire dal nuovo CCNI 2019-2022 che trova un punto di equilibrio tra attività formative promosse dalle scuole, cui va il 60% delle risorse, e attività formative di ambito, cui va il restante 40%. Il ruolo del Collegio dei docenti diventa centrale (ma lo è sempre stato), anche se si considerano le previsioni del Contratto di Lavoro (CCNL 2006-2009) che certamente parla solo di “diritto-dovere” della formazione, ma è molto esplicito nel richiedere che ogni Collegio dei docenti formuli un Piano di azioni formative per i propri operatori (art. 66). Questa previsione si trasforma nell’obbligo di inserire all’interno del PTOF le proposte formative coerenti con l’autovalutazione di istituto (RAV), i piani di miglioramento (PdM), la progettazione strategica di istituto. Al di là delle sigle, la questione è di sostanza: come in ogni luogo di lavoro (nelle aziende, nella sanità, nei servizi), la formazione del personale rappresenta uno dei punti indispensabili per far fronte alle innovazioni e alle esigenze organizzative. Sarebbe assai strano (e indifendibile sul piano sociale) che il mondo della scuola – che per mestiere si occupa di formazione – si sottraesse a questo necessario impegno. E non sarà sufficiente adottare una delibera “striminzita” che si limiti a decidere qualche corso di formazione, più o meno gradito, lasciato poi alla benevolenza dei partecipanti interessati. Occorre dotarsi di una vera e propria strategia di cura della professionalità per tutti gli operatori e in primo luogo per i docenti. Questo è anche quanto richiede la normativa ai dirigenti scolastici (comma 93 della legge 107/2015) che pone la valorizzazione del personale come uno dei criteri forti per la valutazione dell’azione dei Dirigenti Scolastici. Occuparsi di “risorse umane” non significa solo predisporre corsi di aggiornamento, ma anche organizzare il lavoro (gruppi funzionali, ecc.), presidiare le funzioni fondamentali di una scuola (attraverso staff, referenti, figure di sistema), distribuire incentivi in un’ottica non divisiva ma collaborativa. La formazione permanente è però alla base della dimensione culturale e progettuale dell’insegnamento.
Dal corso di aggiornamento alla formazione “personalizzata”
Il Collegio dei docenti, dunque, è chiamato a deliberare il Piano di formazione, che dovrà comprendere diverse azioni, che potranno rivolgersi a gruppi differenziati di docenti:
- i corsi organizzati direttamente dalla scuola (anche nella modalità “autoformazione strutturata”);
- i corsi che la scuola intende promuovere in rete con altre;
- la partecipazione alle iniziative di ambito (riferite alle priorità nazionali);
- la partecipazione libera dei docenti a corsi pre-pagati con la CARD.
Una scelta equilibrata potrebbe prevedere che una quota della formazione (il 50%) rispondesse ai bisogni della scuola, ma fosse personalizzata per gruppi, singoli, aree disciplinari e coinvolgesse tutti i docenti dell’istituto; una seconda quota (l’altro 50%) potrebbe essere lasciata alla libera decisione degli insegnanti, ma dovrebbe essere attestata, riconosciuta ed inserita nel curriculum professionale.
Se non ci sono le condizioni per rendere obbligatoria la formazione, almeno si individuino tutte quelle forme che lo possono rendere attraente e conveniente: esoneri e semi-esoneri dal servizio, incentivi economici, certificazione delle attività e – un domani – effetti tangibili sul trattamento economico e giuridico di carriera.
E’ però evidente che questo tipo di “forzatura” è legittimato solo dalla qualità possibile della formazione cui si è invitati a partecipare. Non bastano i corsi di aggiornamento intesi come conferenze di esperti su svariate tematiche, più o meno pertinenti al curricolo scolastico, ma servono metodologie più interattive (gruppi di lavoro, laboratorio adulto, simulazioni, osservazioni in classe, sperimentazioni didattiche, studio personale). Si dice questo anche nel CCNI del 19-11-2019, ma occorre organizzare l’autoapprendimento in forme strutturate, con regole, tempi, metodi, prodotti attesi, verifiche, diffusione degli esiti.
Piccoli segnali positivi da cogliere
La speranza, dunque, è che la stagione che si apre con queste nuove linee guida per la formazione siano capaci di stimolare una ripresa di attenzione e di qualità dei percorsi di aggiornamento. Vanno in questa direzione anche le indicazioni recentemente fornite per i docenti di sostegno privi di titolo di specializzazione, che riceveranno supporto formativo dai colleghi di sostegno esperti, in veste di tutor (nota MIUR 2215 del 26-11-2019) e le metodologie individuate per la formazione dei dirigenti scolastici neo-assunti (nota MIUR 48961 del 27-11-2019), dove si fanno apprezzare – al di là del ritardo dell’uscita del Decreto Ministeriale – il ruolo del dirigente esperto che accompagna in veste di tutor il dirigente novizio (con attenzione ai passaggi strategici del crono programma delle scadenze operative) e la formazione per piccoli gruppi di colleghi neo-assunti, per favorire un effettivo scambio di buone pratiche su temi qualificanti della leadership educativa.
Sono piccoli segnali da incoraggiare per riscoprire il senso ed il valore della formazione in servizio.