Il banco di prova del sistema integrato 0-6 anni
Il Garante per l’infanzia e l’adolescenza si preoccupa dei LEP (livelli essenziali di prestazione)
In occasione del trentennale della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, l’Autorità garante per infanzia e adolescenza (Agia) ha pubblicato una proposta che individua quattro livelli essenziali delle prestazioni (Lep) per i diritti di bambini e ragazzi.
Per la consultazione del testo vedi al link: https://www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/lep-web.pdf
In Italia, come è noto, l’accesso ai servizi per l’infanzia presenta differenze molto marcate a livello di aree territoriali regionali e locali. La definizione esplicita di livelli minimi essenziali di prestazione costituirebbe un elemento di perequazione e di garanzia su tutto il territorio nazionale.
La proposta dell’Aigia rappresenta un tentativo in questa direzione e sarà inviata al Governo, Parlamento e altri soggetti interessati. «Definire un livello essenziale significa rendere effettive le prestazioni su tutto il territorio nazionale e garantire la presenza uniforme di servizi che rispondono alle esigenze primarie dei minorenni, in attuazione del principio di pari opportunità previsto dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, significa rendere effettive le prestazioni su tutto il territorio nazionale e garantire la presenza uniforme di servizi che rispondono alle esigenze primarie dei minorenni.”
Quattro aree per i livelli essenziali delle prestazioni nell’istruzione
Sono quattro le aree tematiche prese in esame dall’Autorità garante e 4 le proposte corrispondenti:
1) Una mensa scolastica di qualità in tutte le scuole, dai poli per l’infanzia alla primaria.
In Italia delle scuole per l’infanzia statali invece solo il 38% è dotato di mensa, con grandi differenze tra regioni. Si va dal 13,5% della Sicilia e dal 16,8% della Campania al 95% del Friuli Venezia Giulia.
2) Un numero di posti in nidi o micronidi pari almeno ad un terzo dei bambini tra 0 e 36 mesi residenti nelle diverse aree territoriali di ogni regione.
L’Italia ad oggi è ancora lontana dal raggiungimento dell’obiettivo del 33% di copertura definito dal Consiglio europeo a Barcellona nel 2002, in quanto le 13 mila strutture che offrono servizi per la prima infanzia mettono a disposizione in media il 23% dei posti, pari a 357 mila posti su un milione e mezzo di bambini tra zero e due anni.
3) Spazi gioco pubblici per i minorenni da 0 a 14 anni ogni 10-15 km nelle aree urbane e ogni 20-25 km in quelle rurali, con caratteristiche di accessibilità e co-progettati con i residenti (bambini e familiari).
4) Una banca dati sulla disabilità a livello nazionale,con dati distinti per la fascia di età 0-6 anni.
La legge istitutiva ha attribuito all’Autorità garante il compito di formulare osservazioni e proposte per l’individuazione dei Lep. Si tratta di un’attività avviata nel 2015 con la realizzazione di un primo documento. La proposta realizzata in collaborazione con Irs (Istituto di ricerca sociale) è stata presentata alle amministrazioni, ai rappresentanti sindacali e dell’associazionismo, che sono stati coinvolti, nella sua definizione: vari Ministeri (Lavoro e politiche sociali, Interni, Giustizia, Salute, Miur, Mibact e Mef), Dipartimenti per le pari opportunità e per le politiche della famiglia, dei rappresentanti di Anci, Istat e sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil), membri della Consulta nazionale delle associazioni e delle organizzazioni dell’Agia, nonché i referenti della rete di associazioni “Batti il 5!”.
La difficile gestione dei LEP
Per quanto risulti apprezzabile e meritoria la proposta avanzata occorre però segnalare che il tema dei Lep relativi ai servizi educativi per la prima infanzia (ma forse anche in parte alle mense scolastiche) resta da approfondire sul piano della programmazione a livello operativo, perché anche i parametri quantitativi indicati debbono poi trovare declinazioni efficaci e in tempi ragionevoli sul territorio locale. Questo risulta frammentato in circa 8.100 comuni, con diversi andamenti demografici e conseguenti differenti possibilità di risposta efficace sul piano delle modalità gestionali; ma prima ancora con diverse possibilità di aggregazione significativa della domanda potenziale sul piano organizzativo.
Sembra perciò necessario accompagnare la riflessione sui Lep (già previsti nel testo della legge 107/2015 e poi accantonati per carenza di risorse e strumenti di programmazione efficaci) con una analisi strutturale dei bisogni di sostegno effettivo alla genitorialità emergenti su scala locale, non escludendo a priori la possibilità di risposte funzionali anche diversificate (piuttosto che sponsorizzare un unico modello di servizio educativo: nido o micronido). I servizi dovrebbero essere equivalenti sul piano della qualità, ma adeguati alle caratteristiche specifiche del territorio sul piano organizzativo, così come sul piano della cultura locale diffusa in materia di lavoro, emancipazione femminile e condivisione sociale delle responsabilità educative e genitoriali.
La sfida si gioca infatti su un doppio binario programmatico: garantire l’efficacia sul piano gestionale in modo tempestivo, ma anche dinamico, cioè perseguendo contestualmente iniziative di promozione, evolutive sul piano culturale e sociale.
Spesa storica e fabbisogni standard
Il tema dei fabbisogni standard è indicato nel testo del Dlgs 65/2017 sul sistema educativo integrato dalla nascita ai sei anni (“zerosei”), ma resta da definire un quadro di indicatori significativi di carattere dinamico e processuale, per evitare di ricadere nella pratica (del tutto fuorviante sul piano della programmazione) dell’utilizzo del solo criterio della spesa storica.
A questo scopo ci limitiamo in questa sede a suggerire ad es. che il numero delle domande di iscrizione inevase potrebbe costituire un indicatore significativo e che laddove le amministrazioni locali fossero interessate a censire i bisogni, si potrebbe perfino pensare alla emanazione di bandi ad hoc anche in assenza di posti disponibili in via di fatto.
Si tratta comunque di non considerare la indicazione di parametri quantitativi inerenti i livelli essenziali delle prestazioni un punto di arrivo, ma piuttosto di partenza, posto che si tratta certo di un grado più preciso di determinazione degli obiettivi, ma ancora astratto rispetto alla realtà dei contesti di vita delle persone e alle concrete possibilità di gestione delle risposte ai bisogni sociali a livello locale.
Fondi per l’infanzia: alla ricerca di una cornice e di un metodo
Il piano nazionale di sviluppo del sistema di educazione e istruzione per i bambini da 0 a 6 anni sta arrivando al suo terzo anno di attuazione con l’imminente approvazione in sede di Conferenza unificata del Piano di riparto dei fondi previsti sull’ esercizio 2019.
La Cabina di regia prevista nel D.lgs. 65/2017 per il monitoraggio del Piano e la Commissione tecnica istituita con appposito DM del 2018, per la redazione delle Linee guida per la continuità educativa per i bambini da 0 a 6 anni, hanno subito le evoluzioni e i ritardi determinati dai tre cambi di governo intervenuti dal 2018 ad oggi.
In compenso nel testo della legge finanziaria per il 2020 all’esame del Parlamento, il nuovo governo ha introdotto misure significative in materia di sostegno ai redditi delle famiglie con bambini piccoli (istituzione – differita – del Fondo per l’assegno unico per le famiglie, con il superamento di tutte le varietà di bonus ad oggi esistenti) e un intervento rilevante per la riduzione dei costi per le famiglie relativi alla frequenza dei servizi educativi per la prima infanzia (348 milioni di euro per il 2020 gestiti dall’Inps).
E’ per altro evidente che l’erogazione delle risorse ai comuni (e per loro tramite a tutti i soggetti gestori di servizi educativi autorizzati e/o accreditati secondo le norme regionali vigenti) previste nell’ambito del Fondo relativo al Piano nazionale 0-6, data l’entità complessiva (249 milioni di euro per il 2019) non possano prevedere altre destinazioni se non il sostegno e la qualificazione del sistema di offerta di servizi educativi già esistenti.
Altra cosa è immaginare lo sviluppo del panorama dei servizi esistenti per corrispondere agli obiettivi di carattere generale indicati in prospettiva pluriennale nel D.lgs. 65/2017 (il 33% di copertura della domanda potenziale su scala nazionale, rispetto all’attuale 23,5%).
Un Piano straordinario per l’ampliamento quantitativo dei servizi educativi da 0 a 3 anni
A questo proposito occorre segnalare un ritardo oggettivo in ordine a risorse già individuate a questo scopo da ben due anni. Ci si riferisce qui alla mancata attivazione del Fondo nazionale per la costruzione di nuovi poli per l’infanzia 0-6 (150 milioni di euro). Il fondo fu istituito con apposito DM nel 2017 e ripartito per regioni secondo una previsione variabile da 1 a 3 progetti finanziabili in ogni regione.
Parrebbe che la procedura di verifica preventiva del Miur sui progetti presentati dalle regioni presenti qualche difficoltà su aspetti specifici di dettaglio di natura amministrativa in ordine alla definizione dei costi per unità di progetto e per tipologie di costo. In sostanza siamo ancora in alto mare sul piano operativo.
Nella legge finanziaria 2020, invece, è prevista la istituzione di un “Fondo investimenti degli enti territoriali” destinato al rilancio degli investimenti per lo sviluppo sostenibile e infrastrutturale. In questo ambito presso il ministero degli interni è prevista una dotazione specifica per la costruzione e /o la ristrutturazione di edifici di proprietà comunale destinati a nidi e/o scuole d’infanzia con una dotazione di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni nel periodo 2021-2023 e poi di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2034. La programmazione degli interventi sarà a carico del sistema delle autonomie (regioni ed enti locali).