I soggetti più vulnerabili nelle maglie larghe del sistema formativo
Giunto alla 53ª edizione, il Rapporto Censis interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese nella fase di eccezionale trasformazione che stiamo vivendo da un decennio, che ora volge al termine.
Il 53° rapporto offre, tra l’altro, un quadro sintetico del sistema educativo italiano, una fotografica che conferma i precedenti rapporti, nazionali e internazionali: pochi laureati, frequenti abbandoni scolastici, bassi livelli di istruzione e di competenze tra i giovani e tra gli adulti.
Questi solo alcuni dei fattori di criticità cui il sistema educativo italiano è chiamato a dare risposta.
Secondo il Centro Studi Investimenti Sociali (Censis), con riferimento alla capacità del nostro sistema educativo di attrarre e coinvolgere le fasce di popolazione più deboli e meno attrezzate culturalmente ed economicamente, emergono alcune tendenze che destano preoccupazione.
Una debole partecipazione alla formazione
L’aumento della scolarità superiore sta riducendo, ma in maniera insufficiente, il gap che ci separa dal resto dell’Europa e la quota di popolazione che si è fermata al solo primo ciclo d’istruzione è notevolmente più elevata non solo tra le classi d’età più anziane, ma anche tra le giovani generazioni. Se, infatti, per più della metà i 60-64enni italiani si sono fermati alla licenza media (il 52,1% a fronte del 31,6% nell’Unione europea a 28 Paesi), anche tra i 25-39enni ben il 26,4% non ha conseguito un titolo di studio superiore (un valore che nella media Ue si ferma al 16,3%).
Nella classe d’età 18-24 anni, immediatamente successiva a quella tipica del conseguimento del diploma di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale iniziale, nel 2018 il 14,5% (quasi 600.000 persone) non possiede né il diploma, né la qualifica, e non sta frequentando alcun percorso formativo. Un fenomeno, quello della precoce fuoriuscita dai circuiti formativi, che riguarda soprattutto i maschi (16,5%), i residenti nelle regioni meridionali (18,8%) e gli stranieri (37,6%).
Sono pochissime, nel corso della vita, le opportunità per aumentare le proprie conoscenze e competenze e farne manutenzione e ciò soprattutto per coloro che possiedono bassi titoli di studio: nel 2018 ha partecipato ad attività di apprendimento permanente appena l’8,1% della popolazione 25-64enne, valore che però scende a un irrilevante 2,0% tra coloro che hanno al massimo la licenza media, mentre raggiunge quota 18,7% tra i laureati.
I livelli di competenza della popolazione scolastica (e adulta)
Non raggiungono livelli di competenza alfabetica sufficienti il 34,4% degli studenti dell’ultimo anno delle scuole secondarie di primo grado e il 34,6% di quelli dell’ultimo anno delle scuole secondarie di secondo grado.
L’insufficiente comprensione della lingua inglese parlata riguarda il 40,1% degli studenti dell’ultimo anno delle scuole secondarie di primo grado e il 64,3% di quelli dell’ultimo anno delle scuole secondarie di secondo grado.
Il 68% della popolazione italiana adulta, infine, non possiede sufficienti conoscenze finanziarie di base che permettano loro di prendere decisioni consapevoli, ad esempio, in merito alla sicurezza finanziaria personale.
Il divario con l’Europa
Italia | UE 28 | |
---|---|---|
Popolazione di 25-64 anni con al più la licenza media | 38,3 | 21,8 |
Popolazione di 25-39 anni con al più la licenza media | 26,4 | 16,3 |
Giovani di 18-24 anni che abbandonano prematuramente gli studi (Elet) | 14,5 | 10,6 |
Popolazione di 25-64 anni che partecipa all’apprendimento permanente | 8,8 | 11,1 |
Popolazione di 25-64 anni con al massimo la licenza media che partecipa all’apprendimento permanente | 2,0 | 4,3 |
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Eurostat
La sostenibilità a scuola: i Dirigenti Scolastici intervistati dal Censis
Il 73,9% dei 1.012 dirigenti scolastici intervistati dal Censis nel corso dell’anno pensa che l’etica ambientalista degli studenti sia cresciuta grazie all’«effetto Greta» e il 60,9% ritiene che i propri alunni siano molto sensibili e partecipi delle esperienze che la scuola propone al riguardo.
Secondo le rilevazioni dell’istituto Censis, nell’87,9% degli istituti si è optato per una ottimizzazione dei materiali di consumo e nell’85,3% per la riduzione, il riutilizzo e il riciclo dei rifiuti.
La salute e la corretta alimentazione degli alunni hanno rappresentato gli ambiti di intervento nel 66% delle scuole, dove sono stati aboliti cibi preconfezionati (snack, merendine, bibite gassate, ecc.) dai distributori automatici installati nei plessi scolastici (42,5%) o sono stati addirittura rimossi i distributori automatici, introducendo snack e merende preparate a scuola con cibi sani e prodotti locali (23,6%).
Vi sono poi molti progetti finalizzati all’abolizione dell’uso della plastica a scuola, con la fornitura di borracce o l’installazione di distributori per l’acqua, grazie al contributo e alla collaborazione con gli enti locali.
Il 68,7% dei dirigenti scolastici di scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di I grado, e il 24,3% di quelli delle scuole secondarie di II grado hanno attivato l’esperienza degli orti scolastici, mentre nel 49,2% delle scuole gli studenti sono coinvolti in attività di giardinaggio e manutenzione del verde scolastico.
Quando la scuola è inclusiva
L’aumento impetuoso degli alunni di cittadinanza non italiana nelle scuole sembra arrestarsi. Nell’anno scolastico 2018-2019 gli alunni stranieri sono stati 857.729, con un incremento dell’1,9% rispetto all’anno precedente (+15.628 alunni) e costituiscono il 10% del totale.
Tra il 2003 e il 2007 la scuola italiana ha accolto ogni anno tra i 67.000 e i 72.000 nuovi studenti non italiani. Il 63% di questi è rappresentato dalle seconde generazioni. Gli strumenti e le strategie messi in campo per rispondere ai bisogni di formazione e inclusione della nuova utenza stanno avendo esiti positivi, con un lento ma progressivo miglioramento dei tassi di scolarità, di irregolarità negli studi e di successo formativo.
Più del 90% dei dirigenti scolastici (DS) interpellati dal Censis valuta soddisfacente il livello di integrazione a scuola degli alunni di origine immigrata, in particolare di quelli nati in Italia.
E mentre il 71% dei DS negli ultimi tre anni non ha riscontrato situazioni problematiche, 45,5% ha segnalato la realizzazione di interventi mirati nelle classi interessate da episodi di intolleranza o discriminazione in collaborazione con il corpo docente e d’intesa con le famiglie.
I candidati preferiti dalle imprese: non solo semplici diplomati.
La domanda di capitale umano espressa dalle imprese privilegia ancora i diplomati di scuola secondaria di II grado. Nel 2018 su 4.554.000 ingressi programmati da imprese dell’industria e dei servizi, i diplomati erano circa 1.600.000, il 35% del totale.
I diplomati continuano a prevalere sui laureati, destinati a ricoprire il 12,1% dei posti di lavoro programmati, pari a 550.000. Il restante 52,9% di contratti di lavoro riguarda individui con più bassi livelli di scolarizzazione.
Una impresa su quattro (il 26,2%, dato che nel Nord-Est sale al 30,4%), però, fatica a reperire diplomati, perché troppo pochi o per la loro inadeguatezza. Il 25% delle imprese cerca giovani che abbiano completato un percorso ITS o IeFTS (per alcuni indirizzi di studio viene superata la soglia del 30%).
Con riferimento ai 139 corsi dell’Istruzione tecnica superiore conclusi nel 2017, l’80% dei diplomati ha trovato lavoro (di cui il 90% in un’area coerente con il proprio percorso formativo).
Resta però ancora sottodimensionata la capacità di offerta: 2.601 diplomati ITS nel 2017 a fronte di un bisogno di circa 400.000 (la quota di copertura dell’ITS si attesta dunque su livelli inferiori all’1%).
Giovani senza confini
Nel 2017 il 31,1% degli emigrati italiani con almeno 25 anni era in possesso di un titolo di studio di livello universitario e il 53,7% aveva tra i 18 e i 39 anni (età media di 33 anni per gli uomini e di 30 per le donne). Tra il 2013 e il 2017 è aumentato molto non solo il numero di laureati trasferiti all’estero (+41,8%), ma anche quello dei diplomati (+32,9%).
Tra il 2008 e il 2017 i saldi con l’estero di giovani 20-34enni con titoli di studio medio-alti sono negativi in tutte le regioni italiane. Quelle con il numero più elevato di giovani qualificati trasferiti all’estero sono Lombardia (-24.000), Sicilia (-13.000), Veneto (-12.000), Lazio (-11.000) e Campania (-10.000). Il Centro-Nord, soprattutto Lombardia ed Emilia Romagna, ha compensato tali perdite con il drenaggio di risorse umane dal Sud.
Lo tsunami demografico e l’esodo dal Sud
Rimpicciolita, invecchiata, con pochi giovani e pochissime nascite: così appare l’Italia vista attraverso la lente degli indicatori demografici, che restituiscono il ritratto di un Paese in forte declino demografico. Al 1° gennaio 2019 la popolazione italiana è pari a 60.359.546 residenti: 124.427 in meno rispetto all’anno precedente.
Alimentano i movimenti dal Sud verso il Centro-Nord anche le migrazioni per motivi di studio, con tanti giovani originari del Mezzogiorno (oltre 200.000 negli ultimi due anni accademici) che decidono di trasferirsi nelle regioni centrali e settentrionali.
Il declino demografico, pertanto, non è uniforme e generalizzato. In soli quattro anni, dal 2015 al 2019, il Mezzogiorno nel suo insieme ha perso complessivamente quasi 310.000 abitanti (-1,5%), l’equivalente della popolazione della città di Catania, contro un calo della popolazione dello 0,6% nell’Italia centrale, dello 0,3% nel Nord-Ovest, appena dello 0,1% nel Nord-Est e dello 0,7% a livello nazionale.
Ciò, si sta traducendo inevitabilmente, in una lena e costante contrazione e perdita di classi, di docenti e di organici (docenti, ATA e dirigenti scolastici) che costringe tanto personale della scuola a trasferirsi dalle regioni del Sud a quelle del nord.
L’ultimo concorso per dirigenti scolastici, del resto, docet!