Autovalutazione e inciampi “mediatici”
Ci risiamo, sarebbe il caso di dire commentando a caldo la vicenda che ruota attorno alle parole con cui l’lstituto comprensivo di via Trionfale a Roma ha descritto nelle pagine on line del proprio sito, tipologia sociale collocazione della popolazione scolastica nelle diverse sedi della scuola. Un già visto rispetto alla vicenda pressoché simile riportata dalla stampa nazionale giusto due anni orsono (ne parlammo nel febbraio 2018 su Scuola7 n.78 “Il Rav come strumento di rendicontazione pubblica”). Allora furono alcune frasi estrapolate dai Rapporti di Autovalutazione di alcune scuole superiori, oggi è la comunicazione sul sito istituzionale della scuola a causare un “inciampo” in termini mediatici.
Dalla descrizione del contesto al progetto di miglioramento
Stavolta però, a fronte di un attacco immediato agli strumenti di valutazione della scuola, leggendo il RAV dell’I.C. di Via Trionfale, non solo ci troviamo di fronte ad una descrizione sintetica e veritiera del contesto, caratterizzato da una disomogeneità di fondo dovuta alla dislocazione dei diversi plessi e alle caratteristiche socioeconomiche della popolazione di riferimento, ma la c’è la consapevolezza di dovere governare la missione sociale dell’istruzione in un contesto di multiformità sociale delle famiglie – infelicemente descritta nel testo incriminato – di disomogeneità delle risorse materiali e della situazione edilizia, senza voler rifuggire dal proprio compito di inclusione sociale. L’indicatore principe di questa situazione, la variabilità dei risultati fra le classi, è talmente sentito come problema che la comunità professionale dell’I.C. di via Trionfale la considera una priorità imprescindibile nella direzione del miglioramento della propria offerta formativa.
Dal dato alla comunicazione: maneggiare con cura
Il cortocircuito scatta, semmai, nel passaggio dallo strumento strutturato che incanala dati, indicatori, cifre e percentuali in una visione strutturata di insieme, cioè dal RAV (Rapporto di autovalutazione) che presenta informazioni scientifiche (ESCS, variabilità fra classi scolastiche), attraverso dati misurabili e misurati (che aiutano la scuola a mettere a fuoco le proprie criticità per attivare strategie migliorative), al piano della comunicazione meramente espositiva e descrittiva, magari strizzando l’occhio, più o meno consapevolmente, alle famiglie in tempi di iscrizioni (non pare sia il caso in questione, dal momento che il testo era on line da diversi mesi).
D’altra parte occorre ricordare come il Rapporto di Autovalutazione sia nato quale strumento cardine di un processo interno di miglioramento e che, solo successivamente, si è reso disponibile in Scuola in chiaro; ciò ha determinato un cambiamento di prospettiva che ha attivato significati e aspettative esplicite e implicite nel passaggio ad una dimensione di accountability inizialmente non prevista (si vedano, fra l’altro, le Conclusioni della ricerca, RAV e dintorni: verso il consolidamento del sistema nazionale di valutazione, a c. di Poliandri-Freddano-Molinari, INVALSI, 2019)
“Preferisco la classifica” (a proposito di Eduscopio)
A dimostrazione che gestire la complessità e la raffinatezza dei dati in una dimensione comunicativa da parte delle scuole non è un’operazione semplice, vi è una situazione paradossale sotto il profilo mediatico che riguarda le scuole superiori italiane. Ogni anno – nel momento in cui la Fondazione Agnelli pubblica i dati della ricerca “Eduscopio” che, sostanzialmente presenta una classifica delle scuole secondarie di secondo grado sulla base dei risultati conseguiti dagli studenti nei primi anni dell’università – assistiamo ad un proliferare di interviste, articoli più o meno celebrativi sulle pagine dei giornali locali e nazionali rispetto ad un’informazione molto più spendibile a livello mediatico, perché esplicitamente rivolta ad informare le famiglie sulla base di un unico criterio (che en passant non tiene conto della composizione sociale della popolazione scolastica) cioè profitto e velocità negli studi universitari.
Viene da chiedersi perché mai le scuole vedano e “vendano” la classifica di Eduscopio, ma non i dati messi a disposizione, per la medesima area dei risultati a distanza, dal Sistema Nazionale di Valutazione e relativi alla posizione virtuosa dei propri studenti anche in relazione a scuole con ESCS simile e ad un effetto scuola decisamente positivo che manifesta il valore aggiunto prodotto dalla scuola rispetto alle situazioni di contesto.
Lavorare sulla rendicontazione pubblica
Cosa ci dice questo paradosso: che nell’area della comunicazione le Istituzione scolastiche molto hanno da apprendere sulla via della rendicontazione pubblica, fosse solamente per una mera funzione descrittiva, e che la fotografia pre-confezionata, ma parziale offerta da Eduscopio- che si rivolge esplicitamente alle famiglie per aiutarle nelle scelte delle scuole superiori – è più immediatamente, mediaticamente, spendibile rispetto alla gestione della complessità di dati e informazioni messi a disposizione dal Sistema nazionale di valutazione, dall’ISTAT ma anche da altre fonti e agenzia di ricerca come OCSE-PISA.
La questione di (s)fondo: effetto classe e valore aggiunto
La vicenda dell’I.C. Trionfale di Roma ci dice che, ancora una volta, la cronaca interpella la scuola italiana su questioni che vanno ben oltre l’inciampo mediatico in una pagina on-line. Sino a che punto la scuola riesce a garantire pari opportunità educative e formative per tutti e per ciascuno? Quanto l’effetto scuola riesce ad imporsi sulle condizioni del contesto? Quanto è governabile attraverso l’effetto classe (le modalità e i criteri di formazione delle classi, ne parlammo su Scuola7, n.50 “Cosa fa la differenza …fra le classi”, la disomogeneità del contesto sovente amplificata dalle scelte delle famiglie? Sino a che punto l’effetto classe e il valore aggiunto prodotto dalla scuola, possano scardinare la composizione sociale di una sede scolastica, – nel cui assemblaggio incidono fattori non direttamente governabili dalla scuola (mercato del lavoro, mercato immobiliare, collegamenti, logistica…)- per rimodulare la variabilità interna degli esiti di apprendimento?
In questo senso pare proprio di poter dire che il problema non stia nel Sistema Nazionale di Valutazione che si sta “faticosamente” costruendo, o nelle forme “ingenue” di rendicontazione dell’offerta formativa delle scuole, ma nella possibilità stessa del sistema scolastico italiano di scardinare, riassemblandolo in forma di pari opportunità formative, il sistema della disuguaglianza sociale (tra gli altri Franco De Anna, “La scuola è ancora di classe”, www.aspera_adastra.com e, mentre scriviamo queste note, l’intervista alla presidente dell’Invalsi A.M. Ajello, “La scuola italiana non è classista ma non attiva più l’ascensore sociale”, (La Repubblica, 18 gennaio 2020).