Come faccio a scrivere di Antonio, sapendo che non c’è più?
Se oggi fossi stato uno studente mi sarei sottratto convintamente ad una interrogazione inaspettata, una “i” sul registro oppure un rimbrotto del professore mi avrebbero, in ogni caso, evitato il problema di non riuscire a mettere insieme quattro parole su un argomento ostico ed inaccettabile.
Ma come si fa quando l’argomento è la scomparsa di Antonio, il mio amico, il nostro amico Antonio?
Come posso provare a mettere ordine nei mille pensieri scomposti che l’idea della sua dipartita mi provoca, in un misto di incredulità, dispiacere e smarrimento?
Mi sto facendo troppe domande ed a lui non sarebbe piaciuto. Certo, ma non me lo avrebbe detto, garbato e signorile come naturalmente era. Con una battuta sagace avrebbe smorzato l’aria pesante e mi avrebbe invitato ad andare avanti, da buon navigante qual era, guardando la prua e reggendo il timone, con sguardo pacato ma lungimirante e con mano ferma ma rilassata.
Così si guida una barca, così si trasportano persone verso arcipelaghi fatti di sogni, che diventano realtà, quando li raggiungi e provi il conforto di avercela fatta.
Ecco, ho trovato ancora una volta, l’unica soluzione possibile, quella che ho già dovuto mettere in atto molte volte, quando una persona cara ti lascia e provi a rifugiarti nei ricordi belli, per smorzare il senso di vuoto e di rabbia, che attenui in scomposto, apparente e fugace contegno.
Parlavo del mare e delle barche, della naturale propensione di Antonio nel condurle, della maestria con la quale, da vero capitano, ti conduceva tra le onde, con pari destrezza, sia per arrivare ad un approdo sia per mostrare la direzione idonea a realizzare un progetto.
Il fascino della leggerezza, questo il suo vero dono, indispensabile per chi ha giuste ambizioni, non solo per sé ma anche per gli altri. E questo dono è capace anche di trasformare il contesto, di cambiare gli atteggiamenti delle persone, di condurre i gruppi ad incontrarsi in maniera generativa, coerente, pacifica.
Non gli mancava di certo l’esperienza ma non la faceva pesare come un macigno che schiaccia gli altri, piuttosto come un modo per arricchirli per contribuire al loro vissuto.
Antonio ti parlava con la naturalezza di un adolescente ma con la saggezza di un centenario; di fronte a questo garbo naturale, a questa rara capacità di comunicare, senza stressare chi ascolta, senza porgli dubbi ma regalando certezze, ogni indugio si attenua e si trasforma in poderosa forza di volontà.
E poi, da napoletano davvero verace, Antonio non mi ha mai consentito di essere io ad offrire il caffè.
Questo proprio no!
C’era sempre un motivo per il quale doveva essere lui ad offrire quella aromatica crema che, per noi di Napoli, è perfino troppo densa ma soprattutto di significati e di simboli.
Vedete, questa generosità proviene da un codice di antica nobiltà e di arcani valori, quasi incomprensibili a chi non li tiene incarnati. Per chi condivide questi codici, mai esplicitati ma vivi e vigenti, l’amicizia di Antonio Crusco è stata un libro aperto, scritto con lettere di lealtà, di vera prossimità e di genuina e solida fiducia.
Alfabeti di altri tempi, vissuti nel tempo di oggi, che è stato tanto più prezioso, avendo la fortuna di viverlo insieme ad un amico speciale, un editore coraggioso e illuminato, un uomo garbato, gentile e generoso.
Mi mancherà anche lui, insieme ad altre splendide persone che già mancano tanto, a me ed alla grande famiglia della Tecnodid.
Mi consola sapere che Umberto e Giancarlo, oggi insieme ad Antonio, rimarranno, per tanti, i punti cardinali per dirigere la prua, con mano ferma e sguardo lungimirante, proprio come il “capitano” Antonio Crusco.