Ritorna il latino nella “scuola media”

Aiuterà veramente a migliorare la qualità dell’apprendimento?

Oggi, è opinione diffusa che la maggior parte dei giovani sia incapace di parlare e scrivere correttamente. Molti attribuiscono la responsabilità ai tempi che stiamo vivendo. Si sostiene, infatti, che le nuove tecnologie, i social, l’uso dei whatsapp abbiano semplificato progressivamente il modo di comunicare, favorendo il primato dell’intuitività rapida, delle immagini a scapito della discorsività delle parole e della riflessività del pensiero complesso. Da ciò sarebbero scaturiti l’impoverimento del lessico e la scarsa competenza argomentativa.

A questa riflessione si aggiunge la convinzione di molti che l’abolizione dello studio del latino nella scuola secondaria di primo grado abbia notevolmente contribuito alla degenerazione linguistica della popolazione italiana. È su questa linea il documento delle Nuove Indicazioni 2025 per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, la cui bozza è stata pubblicata l’11 marzo scorso. Infatti, il documento, attualmente in fase di consultazione, mira a ripristinare la conoscenza della lingua e della cultura latina come opzione negli ultimi due anni della scuola secondaria di primo grado.

La Carta d’identità del LEL

Un nuovo acronimo caratterizzerà il curricolo delle classi seconde e terze della scuola secondaria di primo grado a partire dall’anno scolastico 2026/2027: è il LEL, cioè il “Latino per l’Educazione Linguistica”.

L’intento dei decisori politici di ripristinare l’insegnamento del Latino persegue diverse finalità:

  • favorire la conoscenza più approfondita della nostra lingua, sia in una prospettiva storica che in una logica di raccordo culturale italiano e europeo;
  • mirare ad innalzare la qualità espressiva degli studenti;
  • incoraggiare, in una virtuosa dinamica, la conoscenza del passato come opportunità per comprendere il presente e prepararsi al futuro;
  • semplificare il confronto con altre tradizioni, lingue e culture.

Tutto ciò presuppone un esame comparativo del lessico in una dimensione storica e diacronica, l’accoglimento delle sollecitazioni tecnologiche, attraverso un dialogo costante con le discipline STEM, e un riferimento costante ai valori della Costituzione appresi tramite l’Educazione Civica.

Gli intenti e le obiezioni

Inoltre, l’introduzione del LEL lascia percepire l’intenzione di ritornare al passato e alle tradizioni per rafforzare la conoscenza delle radici della nostra cultura nazionale. È una scelta che non sorprende poiché le Indicazioni 2025 sono state proposte da una Commissione composta da sostenitori del valore dell’identità italiana e, quindi, dell’importanza che tale valore venga insegnato prioritariamente a scuola fin dalle prime classi.

Sembra abbastanza diffusa l’idea che l’insegnamento del latino possa produrre esiti importanti, ma restano, però, alcune obiezioni. Molti ravvisano, per esempio, che tale insegnamento possa annoiare gli studenti più giovani perché incapaci di carpirne l’essenza, che non sia funzionale alle scelte successive perché solo gli studenti che sceglieranno alcuni licei avranno la possibilità di approfondirlo.

Quindi, nonostante siano trascorsi molti decenni dall’intensa discussione parlamentare che ha condizionato la nascita della scuola media unica (1962), le posizioni tra favorevoli e contrari sono sempre le stesse. All’epoca, però, si trattò di una scelta frutto di un compromesso politico; oggi, sarebbe invece opportuno riuscire a condividere le motivazioni sul piano culturale per arrivare alla migliore delle soluzioni possibili. La collocazione del Latino all’interno del curricolo generale permetterà veramente agli studenti di comprenderne il senso e di migliorare l’apprendimento dell’italiano, come prevede il documento delle Indicazioni 2025?  Oppure potrà precludere la possibilità di fare esperienze di altra natura più immediate per acquisire nuove conoscenze e nuove consapevolezze? Sappiamo che le scelte sbagliate sono quelle che condizioneranno per sempre la vita futura; a volte le scelte sono dettate dal pregiudizio, ma anche da una inadeguata considerazione di ciò a cui si rinuncia. Non va però dimenticato che è la qualità dell’insegnamento a determinare negli alunni noia o passione.  A fare la differenza sono il ruolo e la leadership educativa esercitata dal docente sugli studenti: non parva res est pro successu coepti!

Alcune buone ragioni per l’insegnamento del latino

Il latino, lingua madre dell’italiano, conserva tanto il codice genetico della nostra cultura linguistica, morale ed intellettuale, quanto il “sistema immunitario” per contrastare la deriva comunicativa provocata dagli idiomi dettati dal “progresso”.

Anche se in molti credono che sia una lingua morta e, pertanto, non serva più nella sua funzione veicolare, il latino può invece aiutare ancora gli alunni a sviluppare la logica e a ragionare fuori dagli schemi linguistici semplificati del linguaggio odierno. Infatti, la complessa sintassi sfida l’intelligenza e allena le capacità di sintesi, di ricerca, di astrazione perché nel tradurre ogni frase occorre considerare tanto l’interezza del periodo quanto il collegamento relazionale di tutti gli elementi della frase. Pertanto, il latino sviluppa la capacità di gestire le informazioni complesse, l’attitudine al problem solving, lo spirito critico e l’attenzione al minimo dettaglio ovvero fa maturare competenze trasversali, spendibili in qualsiasi contesto professionale. Del resto, le cosiddette “soft skill” sono aspetti considerati importanti nelle selezioni di nuovo personale: l’uso di un linguaggio disinvolto, basato su parole appropriate, sicuramente incide su un risultato positivo!

Inoltre, molti termini tecnici, così come la maggior parte delle parole italiane di uso quotidiano, derivano dal latino. Quindi, questo insegnamento consente di possedere il significato delle parole in maniera più profonda e corretta, di comprendere e memorizzare più consapevolmente i vocaboli e, di riflesso, di utilizzarli in modo più pertinente nei diversi contesti comunicativi ed espressivi. Va aggiunto che lo studio del latino può allargare gli orizzonti linguistici ed aprire nuove prospettive essendo la base comune delle lingue romanze le quali, infatti, presentano tra loro alcune similarità a livello grammaticale, sintattico e lessicale.

In tale orizzonte è evidente che il latino potrebbe conservare la linfa vitale utile agli studenti per maturare un potenziale linguistico che, nel futuro, potrebbe servire per gli studi successivi, ma anche per il lavoro e per la vita di ogni giorno.

Lo studio del latino può responsabilizzare i giovani?

Negli ultimi tempi si è parlato tanto dell’importanza di rimodulare la scuola per riportarla alla sua funzione originaria e per restituirle la capacità di responsabilizzare i giovani sempre più disorientati nell’era dell’intelligenza artificiale, delle pseudo relazioni virtuali e delle fake news.

In particolare lo sviluppo dell’I.A. richiede ai cittadini del terzo millennio la capacità fondamentale di dominare le tecnologie per migliorare il futuro, per restituire coscienza civile, per dare senso all’esistenza e ai rapporti umani. Il timore percepito è quello che l’uomo possa giungere ad affidarsi troppo all’intelligenza artificiale tanto da perdere la propria autonomia, diminuire la capacità di pensare in modo critico e di risolvere i problemi in modo indipendente. Il rischio estremo è che l’I.A. potrebbe controllare le stesse decisioni umane causando gravi danni per la sopravvivenza della nostra specie. In tale prospettiva, responsabilizzare i giovani ad una nuova coscienza etica, tecnica e sociale diventa un imperativo categorico.

Attraverso la lettura delle grandi opere del passato, il latino aiuta ad ampliare gli orizzonti relazionali, a recuperare i veri valori che danno senso all’esistenza ovvero a costruire un senso che sembra ignoto agli studenti nell’attuale generazione. È innegabile che le relazioni si costruiscono attraverso il linguaggio ed è da questi rapporti che la nostra vita viene condizionata. Emblematica è l’espressione di Ludwig Wittengestein: “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. Non è dunque un caso che chi domina la propria lingua trasmette l’idea di possedere una marcia in più così come chi possiede valori sani è più responsabile e agisce correttamente, in modo solidale e giusto.

Quindi, la letteratura latina è una scienza immensa che apre la mente e consolida le capacità espressive e, soprattutto, sviluppa senso di appartenenza ad un unico e vero principio di identità, cioè quella umana!

Il latino come simbolo di una scuola di élite?

Nonostante il suo alto valore formativo, il latino ha pagato lo scotto del momento di censura tra la concezione di una scuola elitaria e quella di una scuola di massa; infatti, interpretato come un criterio selezionante a favore solo dei figli di una determinata classe sociale, è stato destinato obbligatoriamente solo per alcuni licei e per la cultura universitaria.

Prima della Legge 1859 del 31 dicembre 1962, la scuola media era riservata a coloro che avrebbero proseguito gli studi mentre per gli altri si profilava, alla fine dell’istruzione elementare, la scelta delle scuole di avviamento al lavoro (scuola professionale, industriale o commerciale). Pertanto, l’istituzione della scuola media unica ha costituito un impulso decisivo alla scolarizzazione di massa, rispondente tanto al progressivo sviluppo industriale dell’economia dell’epoca, che reclamava un maggior numero di lavoratori qualificati, quanto al dettato Costituzionale che prevedeva l’istruzione obbligatoria e gratuita per almeno otto anni. In tal modo, si poteva garantire l’equità educativa, l’uguaglianza delle opportunità di accesso anche agli studenti provenienti da classi sociali meno abbienti e, quindi, l’obbligo scolastico fino al quattordicesimo anno d’età.

L’insegnamento del latino per tutti

Tale scelta si è rivelata un grande risultato per quel determinato periodo storico: nel decennio 1963-1973, il tasso dei quattordicenni in possesso del diploma di licenza media passò dal 46% ad oltre l’82%.

Per la nostra epoca probabilmente dovremmo fare qualche osservazione diversa; i tempi sono ormai maturi per innalzare la qualità dell’istruzione di massa, per uscire dall’appiattimento e dal livellamento generale che sembra essere giustificato solo da una rincorsa frenetica ed estenuante verso il raggiungimento dei benchmark europei.

Alle sue origini, la scolarizzazione di massa si prefiggeva soprattutto di contrastare l’analfabetismo dei ceti meno abbienti. Di fatto, la riforma entrata in vigore il 1° ottobre 1963 aveva introdotto per questo anche le classi differenziali e le classi di aggiornamento.

Oggi l’emergenza ha un altro sapore: rinsaldare il potenziale di apprendimento, l’imparare ad imparare durante tutto l’arco della vita. Anche se, più o meno celati, permangono ancora i background stratificati, è pur vero però che l’esperienza docimologica e gli strumenti di personalizzazione sono in crescente via di sviluppo.

L’esperienza metodologica maturata con le Indicazioni Nazionali 2012, i progetti del PNRR e le nuove metodologie legate alla transizione digitale offrono nuovi orizzonti per facilitare l’uguaglianza sostanziale. Non va, inoltre, sottovalutato che i giovani, figli dei ceti meno abbienti, hanno maggiori ambizioni di ascesa sociale rispetto agli altri studenti. Se colleghiamo tutto ciò pure alla considerazione che il latino potrebbe risultare un insegnamento importante per raggiungere la consapevolezza del proprio ruolo all’interno delle strutture sociali, si possono aprire altri spunti che vadano nell’ottica della qualità e del superamento delle disuguaglianze. Perché precludere a priori questa esperienza di studio classica? È pur vero che, se si lascia il latino ancora in modalità opzionale, il rischio che tale insegnamento possa finire nelle “retrovie” della progettazione didattica, è molto reale: e allora, a cosa serve?