Valutare il comportamento

È solo una questione di voto in decimi e di bocciature?

Da qualche settimana è scoccata “l’ora x†indicata dal Ministero quale momento di avvio di cambiamenti sulla valutazione del comportamento degli studenti nella scuola secondaria di primo grado. La revisione della disciplina in materia di valutazione (Legge 1° ottobre 2024, n. 150, O.M. n. 9 gennaio 2025, n. 3 e nota prot. n. 2867 del 23 gennaio 2025) sembra dettata dalla volontà di affrontare e risolvere le tante manifestazioni di disagio giovanile che, molto spesso, esplodono in comportamenti sociali molto gravi, ma anche dall’intento di restituire autorevolezza ai docenti.

Criteri per valutare il comportamento

Con la chiusura del quadrimestre, il giudizio sintetico, previsto in precedenza per la valutazione del comportamento, esce di scena per essere sostituito dal voto in decimi, particolarmente gradito ai genitori e all’opinione pubblica. Nell’immaginario collettivo, infatti, il voto è considerato non solo lo strumento più efficace per la semplificazione comunicativa, ma anche il più incisivo per favorire la serietà e il rigore formativo. Anche se nel mondo della scuola si è pienamente consapevole che si tratta solo del cambiamento del modo di comunicare i risultati di un processo educativo, e non del processo in sé, è importante che diventi un’occasione proficua per rileggere le pratiche usuali e   ridefinire collegialmente i criteri di valutazione (da inserire poi nel PTOF).

Per favorire una valutazione trasparente e costruttiva, i criteri dovranno essere spiegati agli studenti e alle famiglie in modo chiaro e condiviso. Non è una operazione scontata: si comunica bene quando sono chiare ed inequivocabili le informazioni da comunicare. I docenti sono quindi chiamati ad un ulteriore confronto su senso della scuola e sul modello di studente e ad una riflessione conseguente sui criteri, ma anche sugli strumenti da adottare a livello osservativo, per poter arrivare al giudizio sintetico attraverso il voto in decimi. I criteri possono costituire indicatori portanti per rilevare soprattutto eventuali situazioni di disagio e per attivare conseguentemente interventi di aiuto adeguati.

Ma quali criteri andranno adottati affinché lo studente possa seriamente riflettere sul proprio comportamento, assumendo doveri e responsabilità?  C’è una vasta letteratura in merito, ci sono norme e documenti pedagogici, c’è la legge sull’educazione civica, ma anche il buon senso professionale suggerisce che per apprezzare il grado di maturazione dell’identità personale nell’ambito delle relazioni i riferimenti possono essere i seguenti: rispetto delle regole, degli altri e di sé stessi; autocontrollo e gestione delle emozioni; partecipazione e responsabilità personale; capacità di lavorare in gruppo; empatia e solidarietà; spirito di iniziativa e proattività; capacità di comunicare e adattabilità.

Inoltre, i criteri di valutazione dovranno essere riferiti allo sviluppo delle competenze di cittadinanza, alle indicazioni contenute nello Statuto delle studentesse e degli studenti, al Patto educativo di corresponsabilità, nonché ai regolamenti approvati dalle istituzioni scolastiche.

Voto di ammissione alla classe successiva

Le procedure di ammissione alla classe successiva e all’esame conclusivo sono decisioni di competenza dei consigli di classe. Quindi, il voto di comportamento attribuito nello scrutinio finale sarà riferito all’intero anno scolastico, anche in relazione a eventuali episodi che possono aver determinato l’applicazione di sanzioni disciplinari. Inoltre, il voto di comportamento rappresenta l’elemento determinante per la non ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato: un voto inferiore a sei decimi, infatti, presuppone la “bocciatura†anche in presenza di una valutazione pari o superiore a sei nelle discipline del curricolo.

La legge 150/2024 pone anche l’attenzione sugli aspetti tecnici che riguardano la fase di transizione tra i due periodi a cavallo di uno stesso anno scolastico, richiamando l’impegno a garantire coerenza e continuità tra le valutazioni finali da compiere, tenendo conto del voto in decimi, e quelle in itinere e periodiche già effettuate nel primo quadrimestre, che si sono basate su altri criteri. Il cambiamento in corso d’opera, oltre a creare un inevitabile disagio tecnico, sollecita anche il dubbio se un semplice valore numerico possa realmente costituire la panacea per rimettere al centro dei riflettori il principio di responsabilità degli studenti e l’autorevolezza dei docenti.

Il senso del voto

Il voto in decimi costituisce un déjà vu, un ritorno al passato. Ma siamo realmente sicuri che le domande, i bisogni, le caratteristiche della società di oggi siano compatibili con gli strumenti di ieri? Pensiamo che un sistema più austero porti di conseguenza ad un ripristino dell’autorevolezza dei docenti e di senso di responsabilità degli studenti?  Non si starà facendo confusione terminologica-concettuale tra autoritarismo e autorevolezza?

È palese che viviamo un periodo storico molto difficile, che le fragilità investono tutti i settori, che tante realtà sociali sono a rischio di nuove povertà e che queste aumentano giorno dopo giorno.

Dobbiamo fare i conti con la crisi del ruolo genitoriale, accentuata dalla pandemia, con il senso di inadeguatezza dei genitori quando non riescono ad aiutare i figli ad assumere responsabilità e autonomia personale. Ma tutto ciò è anche il frutto dell’educazione che abbiamo avuto, forse anche del rifiuto della propria storia personale e sociale. Da qui sembra emergere una diffusa immaturità educativa che sfocia molto spesso nel senso di sfiducia nei confronti della scuola e dei docenti, e che sta anche determinando la crescente scelta dell’Home schooling (fenomeno accentuato dopo il Covid).

Altrettanto palese è che l’autorevolezza è una conquista e non una pretesa assegnata attraverso un ruolo istituzionalizzato. L’autorevolezza è una abilità di natura squisitamente relazionale che probabilmente dovrebbe rivestire un’importanza maggiore nel percorso formativo di un docente. Si conquista investendo sulle proprie conoscenze, curando il modo di essere, di agire e di relazionarsi, quindi: conoscenza, comunicazione, ma anche coerenza.

Ancora più complesso è il recupero della cultura del rispetto degli altrui diritti e dell’adempimento dei propri doveri di studente. L’ospite inquietante che tormenta le nuove generazioni non si allontana con le punizioni e, quindi, con le bocciature. I ragazzi hanno bisogno di modelli educativi di riferimento stabili che sappiano riaccendere il fuoco sacro dei valori umani, valori da acquisire con esperienze scolastiche e di vita vera.

La responsabilità si costruisce, non si impone

Come realizzare, dunque, un sistema scolastico che responsabilizzi i ragazzi e restituisca autorevolezza ai docenti?

Un ragazzo valorizzato e responsabilizzato attraverso uno stile educativo democratico è sicuramente capace di compiere scelte più mature rispetto ad un coetaneo educato attraverso uno stile autoritario o permissivo. Gli studi sui modelli di leadership portati avanti da Kurt Lewin, Ronald Lippit, Robert White e molti altri studiosi costituiscono ancora spunti fondamentali per comprendere come lo stile autoritario, che punta sulla coercizione (sanzioni, punizioni), potrebbe nell’immediato aumentare le prestazioni, ma sicuramente potrebbe produrre ansie, competizione, aggressività, scarsa autostima e senso di sfiducia nelle proprie capacità. Se l’approccio è troppo permissivo (laissez faire) potrebbe generare, oltre che una produttività bassa, anche un clima caotico e convulsivo. Le buone pratiche sembrano confermare che lo stile democratico, basato su decisioni partecipate, è quello che forse non genera, nell’immediato, risultati eccellenti, ma sicuramente è quello che motiva maggiormente, che aiuta ad affrontare e risolvere i problemi, quello che migliora le capacità di autogestione, che crea uno stile di vita sereno e comunicativo, ma anche autonomia e responsabilità.

Non sarà forse lo stile educativo adottato dal docente a determinarne l’autorevolezza? Forse sarebbe necessario insistere su una formazione professionale orientata in tal senso: aiuterebbe i docenti a tornare ad essere “modello di vita†utile per superare la barriera dell’incomprensione tra esseri umani e per apprendere a riconoscere l’altro attraverso l’etica del dialogo come prassi educativa.

Probabilmente è su questi spunti di riflessione che una qualche riforma andrebbe ancora sollecitata.