Come osserva Mauro Piras, in un recente contributo[1] sulla rivista de “Il Mulino”, “anni e anni di piccoli interventi circoscritti, piuttosto che grandi progetti di riforma, hanno reso la scuola un progetto privo di identità e di una visione di sistema”. L’alternarsi dei governi ha provocato l’avvicendarsi di posizionamenti più o meno ideologici, di battaglie identitarie, di promesse, di riforme abortite e controriforme chirurgiche, di provvedimenti e contro-provvedimenti a spot. Non è un caso che la scuola finlandese funzioni: è frutto di una iniziale intesa “istituzionale” fra le forze di governo e le forze di opposizione, che hanno disegnato un’idea di scuola condivisa, fortemente autonoma e decentrata ma coesa e centralizzata nelle funzioni di controllo e valutazione in uscita degli studenti.
Una convergenza impossibile?
Una convergenza di questo tipo in Italia l’abbiamo conosciuta forse solo nel 2012, proprio con le Indicazioni Nazionali per il curricolo, dopo un decennio dominato da una pesantissima contrapposizione politico-pedagogica tra Governi di centrodestra e di centrosinistra. In estrema sintesi, nel 2001, con l’insediamento del Governo di centrodestra (Berlusconi II), la riforma Berlinguer (legge n. 30/2000) venne sospesa, essendo scaduti i termini per la conclusione dell’iter procedurale, e successivamente sostituita dalla riforma Moratti (legge n. 53/2003 e D.lgs. n. 59/2004), accompagnata dalle prime Indicazioni Nazionali. Durante il successivo Governo di centrosinistra, il ministro Fioroni, pur mantenendo l’impianto generale della riforma, annullò le Indicazioni Nazionali e introdusse le Indicazioni per il curricolo (2007). Con il ritorno del centrodestra, il ministro Gelmini ritenne opportuno intervenire sull’impianto organizzativo (orari, maestro unico, riduzione degli organici) con conseguenze indirette sulle scelte pedagogiche suggerite dalle Indicazioni. In questo clima di continua contrapposizione il 16 novembre 2012 l’allora Ministro dell’istruzione firmò il Regolamento con il quale vennero approvate le nuove “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del I ciclo d’istruzione”.
Il modello bipartisan delle Indicazioni 2012
Le Indicazioni 2012 sono state elaborate da una Commissione scientifica nazionale istituita da Francesco Profumo, ministro tecnico del Governo Monti. Fu espressamente voluta per superare le contrapposizioni che avevano segnato il decennio precedente e per trovare una sintesi condivisa. Per questa ragione furono coinvolti esperti di aree culturali diverse, provenienti sia da contesti vicini al centrodestra (alcuni già collaboratori nella stesura delle Indicazioni Moratti del 2004), sia da aree più prossime al centrosinistra (coinvolti nella redazione delle Indicazioni per il curricolo del 2007). Questa composizione bipartisan aveva lo scopo di garantire un equilibrio culturale e pedagogico tra due visioni diverse, cercando di costruire un testo condiviso, non divisivo, e capace di durare nel tempo. Non a caso il documento 2012, come era accaduto cinque anni prima, fu accolto molto bene dal popolo della scuola.
In questi anni di dialettica politica (da Berlinguer alla Moratti, da Fioroni alla Gelmini fino a ministro Profumo), moltissime associazioni di scuola e università hanno lavorato incessantemente, sperimentando, documentando, condividendo e contribuendo al lavoro di ricerca e di stesura dei testi. Chi ha avuto il privilegio di vivere quegli anni si ricorderà il fermento, la voglia di contribuire a rafforzare l’autonomia, la parità scolastica, i cicli, le competenze e la valutazione. Pur nella contrapposizione politica e nella complessità della realtà scolastica, chi aveva a cuore la scuola trovava sempre una sintesi concreta e la voglia di confrontarsi. Fu proprio questa base costruita da tanti appassionati addetti ai lavori che costituì la base culturale del documento del 2012, con l’instancabile lavoro di mediatori illuminati come Giancarlo Cerini a cui in questi giorni, a quattro anni dalla sua scomparsa, va il nostro pensiero spontaneo e ancora più riconoscente.
Perché allora le nuove Indicazioni Nazionali?
L’uscita delle recenti Indicazioni Nazionali frantuma la preziosità di quel terreno condiviso, facendoci ritornare alle passate dicotomie. Certo, dopo 13 anni dall’ultima versione, un aggiornamento era d’obbligo. Sarebbe forse bastato integrare le competenze digitali e di cittadinanza che nel 2012 non erano ancora così ben delineate dai framework europei (Digcomp 2.2). Era già stato previsto nella Legge del 29 dicembre 2021, n. 233 (che converte, corregge ed amplia il decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza) all’articolo 24bis[2]; Forse sarebbe stato utile seguire gli ottimi suggerimenti veicolati dal documento sui Nuovi scenari del 2018[3] e le indicazioni dalla legge sull’educazione civica ivi comprese le relative Linee guida.
Sarebbe stato importante coinvolgere la scuola, capire insieme e condividere cosa migliorare, ma anche come tradurre le migliori esperienze in indicazioni per tutti. Invece si è scelta la via della “damnatio memoriae” e del “punto a capo” già leit motiv della riforma morattiana.
Vanno ricordate, inoltre, le spese importanti, relative agli investimenti del PNRR, già effettuate per iniziative nella direzione delle Indicazioni 2012, per esempio:
- allestire ambienti di apprendimento:
- aggiornare i docenti sulle nuove metodologie innovative e sulla transizione digitale;
- completare la costruzione dei curricoli digitali e armonizzarli con il resto dei curricoli disciplinari;
- dare alle comunità di pratiche l’onore e l’onere di accompagnare questi cambiamenti.
Che senso ha, proprio ora, dopo tanto lavoro di tessitura, stravolgere completamente il documento che sta alla base della progettazione pedagogica del primo ciclo d’istruzione?
Cosa emerge da una prima lettura?
Dalla lettura del documento sono in tanti a rilevare un retrogusto un po’ paternalistico verso gli insegnanti, che sembra riflettere una mancanza di fiducia nella loro professionalità e nell’autonomia delle scuole, rischiando in tal modo di limitare l’afflato all’innovazione e alla sperimentazione. Il linguaggio usato è assertivo e prescrittivo, a volte forbito di citazioni latine; lo schema di fondo sottende sempre un pericolo e un nemico, considerato in una dimensione collettiva e universale come minaccia ineludibile; ci sono tante raccomandazioni e istruzioni che vanno a volte a contrastare con gli obiettivi declinati nello sviluppo successivo delle discipline. Nemici sono gli schermi, nemico è il digitale, nemiche sono le famiglie che non collaborano e non sono presenti, nemica può essere l’IA, nemici sono addirittura gli alunni in preda alla tracotanza[4] che devono interiorizzare il senso del limite anche attraverso la coercizione. Tutto il documento è sulla difensiva, parte dalle paure e cerca di dare soluzioni che però appaiono datate, fuori dal tempo, senza prospettiva e respiro. È un approccio restaurativo, con l’enfasi sul ritorno alla manualità che, tra l’altro, nella scuola, non è stata mai abbandonata. Si sovrappongono confusamente le abilità grafo-motorie alle competenze di scrittura più ampie che includono la capacità di esprimersi in modo chiaro e coerente, indipendentemente dal mezzo utilizzato.
Emergono anche alcune ambiguità tra i termini “competenze” e “abilità”. Per esempio, nella parte relativa all’italiano si parla di “competenze di lettura” e “competenze di scrittura”, ma poi si elencano abilità specifiche come “conoscere le regole grammaticali” o “saper fare un riassunto”. Questa mancanza di distinzione chiara rende difficile capire se l’obiettivo è sviluppare competenze più ampie o semplicemente far acquisire abilità specifiche. L’ambizione di fornire esempi e modelli rischia di confondere ulteriormente il lettore.
Storia occidentale e letteratura nazionale
Si dà una grande enfasi alla narrazione storica (che, è vero, negli ultimi tempi non ha avuto lo spazio che merita e neanche un interesse a livello editoriale), ma con un taglio relativo alla storia dell’occidente, dimenticando l’importanza della molteplicità e varietà di fonti, sottovalutando la stessa realtà degli studenti abituati, grazie anche ai progetti Erasmus, a vivere in un mondo globale, interetnico e interconnesso, in contesti sempre più diversificati.
Questa restaurazione la vediamo anche nel ritorno della letteratura dove si raccomanda che “una parte cospicua delle letture degli studenti dovrà avere per oggetto opere della tradizione culturale italiana”.
Il documento presenta una prospettiva ideologicamente orientata, con una maggiore attenzione all’eredità occidentale e allo sviluppo dei “talenti” da individuare in una logica tendente alla competizione anziché alla collaborazione e alla cooperazione.
Non multa sed multum
In molti passaggi del documento si avverte anche una forte distanza fra le affermazioni generali astratte, prescrittive e critiche e le parti relative agli sviluppi e alle declinazioni dei traguardi. L’adagio di Quintiliano “Non multa, sed multum”, che ogni docente dovrebbe scolpirsi nella memoria e nel cuore, viene nel documento fortemente auspicato ponendo tale principio come punto di attenzione prioritaria in ogni progettazione didattica. Tuttavia, le conoscenze essenziali che vengono poste in termini prescrittivi come un indice di un libro, sono talmente ampie e variegate tanto da invalidare il principio stesso. Il rischio è quello di perdere il focus dell’insegnamento e di cadere in uno sterile enciclopedismo. Probabilmente Quintiliano conosceva la didattica per competenze molto meglio di come la conosciamo noi. Non multa sed multum significa esattamente lavorare su pochi e giusti contenuti, sviluppando e potenziando abilità e competenze. È un ritorno latente al “programma”? Ci porta esattamente nella direzione opposta?
Per diluire questa prescrittività sui copiosi contenuti, sono stati pensati alcuni suggerimenti operativi che tentano di dare dinamicità alla staticità del documento. Ma, proprio per la tipologia del testo, appaiono come un corpo estraneo, tenuti assieme al resto in modo disorganico e a volte incoerente, con citazioni anche di contenuti e opere discutibili: basterebbe ricordare la citazione della serie TV ‘Il trono di spade’, fiction, tra l’altro, vietata ai minori di 14 anni.
La vera domanda è: davvero un insegnante oggi non è in grado di scegliere e proporre contenuti e testi ed ha bisogno di indicazioni operative stringenti che confondono i livelli del curricolo con quello della progettazione di una singola attività didattica?
Indicazioni, IA e “Giano bifronte”
Le Indicazioni del 2025 si occupano naturalmente di tecnologie e digitale e propongono in più parti di integrare l’IA come strumento supplementare all’insegnamento tradizionale, sviluppando competenze critiche nell’uso della tecnologia in relazione alle discipline. Suggeriscono di utilizzare l’IA per la correzione degli errori, l’analisi e la creazione di contenuti, e di guidare gli studenti nella lettura e riscrittura di testi generati dall’IA, riconoscendone i punti di forza e di debolezza e integrandoli con intuizioni personali.
Ma l’enfasi sulla tradizione che serpeggia in tutto il documento e le indicazioni per l’IA, fanno apparire le Indicazioni 2025 come un “Giano bifronte”, in cui da un lato si enfatizza il ritorno ad un antico regime didattico e dall’altro si cita l’IA come il tocco di modernità.
L’intelligenza artificiale nel primo ciclo
Bisogna partire dalla realtà: ad oggi, nessuno studente del primo ciclo può accedere con un proprio account ad una piattaforma di intelligenza artificiale, se non a pagamento su un prodotto integrato ad una consolle EDU di una multinazionale. Esiste una sperimentazione del Ministero con Google Gemini, a pagamento nel pacchetto workspace, ma è attualmente l’unico escamotage sicuro per garantire quanto richiesto dalle normative del GDPR e dal Garante. Oltre a ciò, per poter gestire e lavorare con l’IA servono schermi, piattaforme cloud, creatività e problem solving. Per acquisire le competenze necessarie, si devono usare con regolarità gli strumenti; non si può usare l’IA in modo critico e consapevole senza possedere le necessarie competenze digitali di base. Questo vale anche per i docenti.
Si deve chiarire, inoltre, il livello di utilizzo dell’IA: da parte solo del docente per gli studenti? da parte degli studenti per sé stessi? da parte del docente per il lavoro fuori dalla classe? Sono processi e utilizzi molto diversi fra di loro, anche in termini giuridici e organizzativi.
Emerge anche un altro problema: nelle parti relative alle discipline non si dà sufficiente peso all’oralità e si privilegia continuamente la scrittura. Eppure è proprio l’oralità e l’approccio maieutico che potranno garantirci una valutazione autentica dei progressi dei nostri studenti, proprio in un contesto in cui l’IA è utilizzata al di fuori della classe e in maniera autonoma.
Ibrido o integrato?
A questo proposito nei suggerimenti pratici si parla di “ibridazioni tecnologiche” come proposte di attività di didattica digitale integrata. La didattica ibrida, per definizione, è una tecnica di insegnamento per cui alcuni allievi partecipano in aula, in presenza, mentre altri lo fanno online, in contemporanea, da remoto. Uno dei ricordi più sgradevoli della seconda fase pandemica. Non si capisce perché nelle nuove Indicazioni non si continui ad utilizzare la terminologia che fa parte della letteratura didattica della nostra scuola chiamando l’integrazione fra digitale e didattica con il proprio nome di “didattica digitale integrata”, per altro anche normato e già ben conosciuto nell’azione #4 del PNSD del 2015.
In sintesi
Questo documento reca in sé molteplici contraddizioni e avrebbe bisogno di una analisi ben più dettagliata e approfondita da parte delle scuole, ma anche di un dibattito culturale ampio e serio, non inquinato da posizioni ideologiche inamovibili. La nostra preoccupazione è che la scuola e i docenti possano perdere progressivamente la loro autonomia nel nome della semplificazione, della valutazione e di una offerta formativa omogenea e nazionale.
Il timore nasce dal tempo limitato dato alle scuole per analizzare il documento, dal mancato coinvolgimento preventivo degli insegnanti. Non convince il ricorso ai dati statistici sugli analfabetismi per stravolgere le Indicazione 2012: sono stati utilizzati in modo parziale e funzionale al racconto allarmistico. Le Indicazioni 2012 andrebbero difese con consapevolezza storica ed onestà intellettuale soprattutto per i valori che veicolano a cui non possiamo rinunciare: l’idea di scuola, di società, di inclusione, l’idea del futuro che ci attende.
[1] Mario Piras, Una politica scolastica senza visione.
[2] Si pone l’attenzione sulla necessità di aggiornare i Quadri di riferimento nazionali del primo e del secondo ciclo, per una riformulazione dei curricoli ed una progettazione più efficace per lo sviluppo delle competenze digitali e l’utilizzo consapevole ed efficace degli strumenti e della rete: Entro il termine dell’anno scolastico 2024/2025, con decreto del Ministro dell’istruzione sono integrati, ove non già previsti, gli obiettivi specifici di apprendimento e i traguardi di competenza delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione e delle Indicazioni nazionali e delle Linee guida vigenti per le istituzioni scolastiche del secondo ciclo di istruzione.
[3] Indicazioni e nuovi scenari. Documento a cura del CSN per le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione.
[4] “Peraltro interiorizzare il senso del limite aiuta a evitare la deriva della hybris, della tracotanza, spesso diffusa in bambini e adolescenti figli di famiglie con gravi povertà educative, messi al centro di dinamiche affettive iper/ipoprotettive che li rendono ‘piccoli tiranni’ o, all’inverso, fragili prede di dinamismi bullistici” (pag. 11 del documento).