Solo l’Occidente conosce la Storia. Questa è la categorica affermazione con cui si apre il capitolo relativo all’insegnamento della storia delle future Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione. L’espressione suona vagamente come l’incipit del Vangelo di Giovanni “In principio era il Verbo”.
Subito dopo, il testo prosegue con la seguente citazione dello storico francese Marc Bloch: “I greci e i latini, nostri primi maestri, erano popoli scrittori di storia. Il cristianesimo è una religione di storici. […] è nella durata, dunque nella storia, che si svolge il gran dramma del Peccato e della Redenzione».
La coordinatrice della Commissione incaricata di redigere il nuovo testo è Loredana Perla, docente presso l’Università degli Studi di Bari, coautrice, insieme ad Ernesto Galli della Loggia, di un volumetto dal titolo “Insegnare l’Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo”. Il saggio è molto critico nei confronti delle attuali Indicazioni 2012. Probabilmente anche con questo icastico “attacco”, l’attuale Commissione ha voluto smarcarsi dal testo vigente
Solo l’Occidente?
Solo l’Occidente conosce la storia è un’affermazione solo in parte condivisibile. La storia, come ricostruzione scritta di fatti, accadimenti, personaggi, affidata alla penna di un esperto della materia che confuta fonti e documenti (lo storico, per l’appunto), affonda in larga parte le radici nella cultura greco-romana e giudaico-cristiana.
Però tanti altri popoli e civiltà hanno avuto storie di prim’ordine, che si sono tramandate prevalentemente attraverso la memoria orale e le testimonianze materiali, quali i poemi epici, i monumenti megalitici (menhir, dolmen), le piramidi (egizie, mesoamericane a gradoni).
L’oralità, le pratiche rituali, le tradizioni devozionali… pur non possedendo la struttura della documentazione scritta, non hanno impedito di far giungere storie fino a noi.
La dimensione orale della vita di molti popoli era così radicata che, in molte circostanze, essa è durata anche di più di quella consegnata alla scrittura. Gli stessi poemi omerici, Iliade e Odissea, sono stati trasmessi oralmente dagli aedi, i cantori della poesia epica greca.
C’è da aggiungere poi che, rispetto a questi quadri di civiltà, negli ultimi secoli la storiografia ha fatto passi da gigante. Infatti, è stato possibile ricostruire le caratteristiche di molti popoli, grazie a scoperte recenti, alla capacità di leggere scritture non alfabetiche (cuneiformi, geroglifici, pittogrammi) e anche alla potenza degli strumenti informatici, non disponibili fino a qualche decennio fa. Oggi, dunque, la storia comprende un vastissimo patrimonio che abbraccia l’intero pianeta.
Va detto, infine, che l’Occidente non si è mai occupato della storia degli altri, anche per questo poco conosciuta. In ogni caso, l’espressione “solo l’Occidente conosce la storia” appare fuori posto, perché inserita in un testo che costituisce il quadro di riferimento per l’elaborazione del curricolo delle istituzioni scolastiche. Di conseguenza veicola un significato molto preciso, peraltro pervasivo nelle Indicazioni 2025, e cioè che occorre insegnare quasi esclusivamente la storia occidentale.
Il passaggio (dal conoscere l’Occidente all’insegnare l’Occidente!) è decisamente discutibile. Sappiamo benissimo che la storia dell’Europa è inscindibile dai molteplici avvenimenti che hanno riguardato l’Africa, l’Asia, l’America. Oggi più che mai!
Marc Bloch e la sua Apologia della storia
La citazione richiamata in apertura è presa dal libro Apologia della storia o il mestiere di storico di Marc Bloch, il quale, insieme a Lucien Febvre, con la rivista Annales ha inaugurato, a cominciare dal 1929, una stagione completamente nuova dello studio della storia. È proprio la rivoluzione degli Annales ad aver ampliato il concetto di fonte, andando oltre quelle scritte e recuperando la memoria orale, le trasformazioni del paesaggio, la mentalità religiosa, le tradizioni della vita quotidiana, le psicologie collettive. Di fatto, la Nuovelle Histoire ha disseppellito quei soggetti (le donne, i contadini, i poveri, i “marginali”, le storie locali) che, in passato, erano stati collocati ai margini della cosiddetta “grande Storia”, contribuendo a “democratizzare” uno studio incentrato prevalentemente sui fatti politico-militari.
Riprendendo la citazione, Bloch completa il suo pensiero e termina la frase “il gran dramma del Peccato e della Redenzione” con la chiosa“asse centrale di ogni meditazione cristiana”. Quest’ultima annotazione però non viene richiamata nel testo.
L’affermazione di Bloch, dunque, si riferisce ad un preciso punto di vista, quello cristiano, tanto da inserire questo pensiero in una prospettiva di raccoglimento meditativo più che di fondamento storico.
Al contrario, come già sottolineato, le Indicazioni per il curricolo, in quanto riferimento per l’elaborazione del curricolo di istituto, sono destinate ad una platea comprendente varie appartenenze culturali, religiose ed etniche. Si tratta di un testo che, per sua natura, deve essere intrinsecamente laico e aperto alle diverse realtà presenti oggi in tutte le classi delle nostre scuole.
Peraltro nelle Indicazioni 2025 non è mai richiamato l’aspetto multiculturale (né tantomeno quello interculturale) della società italiana, che rappresenta, di fatto, una dimensione strutturale del nostro tessuto culturale e religioso.
Il peso della tradizione cristiana
Tra le Indicazioni per il curricolo 2025 e il libro “Insegnare l’Italia”, prima citato, c’è una totale sintonia. Gli autori sostengono che la scuola “dovrebbe affrontare soprattutto quegli aspetti che agli occhi dei bambini e degli adolescenti rivestono una immediata familiarità e importanza: l’Italia, la sua storia, la sua geografia, la sua cultura. In una parola, la sua identità”.
Nel curricolo di storia delle nuove Indicazioni, il peso rivestito dal cristianesimo e, più in generale dalle grandi narrazioni, viene particolarmente sottolineato. Nella parte relativa alle conoscenze, nel primo anno della scuola primaria, si indicano i contenuti di apprendimento così rubricati: “Radici della cultura occidentale attraverso alcune grandi narrazioni: Bibbia, Iliade, Odissea, Eneide (in forma molto semplificata)”.
È fuori dubbio che il cattolicesimo sia stato un aspetto pervasivo della storia italiana, tanto che, nell’articolo 36 del Concordato tra Santa Sede e Governo fascista del 1929, questo insegnamento fu posto a “fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica”, diventando religione di Stato. Peraltro tale finalità è rimasta in vigore fino alla revisione del Concordato del 1984, nel quale si riconosce che “i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano”.
Dunque, l’insegnamento della religione cattolica, per chi se ne avvale, è parte integrante del curricolo di istituto. Si tratta, per di più, di una disciplina affidata a docenti nominati dall’autorità ecclesiastica, secondo un monte ore settimanale (un’ora e trenta nella scuola dell’infanzia; 2 ore nella primaria e un’ora rispettivamente nella secondaria di primo e di secondo grado).
La scuola italiana, dunque, da sempre riconosce il valore fondamentale che il cattolicesimo ha esercitato in molti campi (arte, musica, architettura, scultura, devozione popolare…) della nostra tradizione culturale.
Sottolineiamo, inoltre, che, nelle Indicazioni nazionali per l’insegnamento della religione cattolica del 2010, uno dei temi di studio riguarda proprio la “Bibbia e le altre fonti”. Questa parte è articolata in specifici obiettivi di apprendimento declinati alla fine della terza e della quinta classe della scuola primaria e dell’ultimo anno della secondaria di primo grado.
L’antico Testamento come insegnamento interreligioso?
Nelle Indicazioni 2025 si ipotizza, nel primo anno della scuola primaria, un insegnamento obbligatorio “raccontato” della Bibbia. Solo all’inizio della primaria? Se così fosse, l’operazione parrebbe di corto respiro, destinata ad incidere veramente poco nel percorso formativo dell’alunno.
Lo stesso discorso vale anche per i poemi omerici e per l’Eneide di Virgilio. Una spruzzatina di racconti biblici a sei anni che ricaduta può avere in un processo di valorizzazione e di scoperta della cultura non solo occidentale, ma mondiale?
Diverso sarebbe affermare una prospettiva completamente nuova: inserire lo studio della Bibbia come attività didattica in tutti gli otto anni del primo ciclo di istruzione e anche dopo.
Da un punto di vista culturale, l’Antico Testamento (ma anche il Nuovo) non può rimanere sconosciuto a chiunque si ponga domande di senso della realtà umana. Si tratta di un vero e proprio codice della storia universale, un “libro-mondo”, che ci permette di acquisire le chiavi di lettura per comprendere e arricchire l’umanità di ciascuno. Tale studio potrebbe, tra l’altro, contrastare l’analfabetismo dei nostri studenti su una materia così rilevante.
A questo punto però insorgono interrogativi di non facile soluzione.
- Può la Bibbia diventare la base per un dialogo interreligioso dell’intero primo ciclo di istruzione?
- Abbiamo docenti preparati in grado di governare un insegnamento di questa natura?
- Come si porrebbe tutto ciò rispetto ad una parte importante del curricolo della religione cattolica?
Senza dimenticare le immancabili polemiche e contrapposizioni che un’ipotesi di questo genere scatenerebbero tra favorevoli e contrari.
L’identità nazionale
L’insegnamento della storia nella visione degli estensori delle nuove Indicazioni è finalizzato soprattutto a formare gli studenti ad una identità italiana. Ci siamo già occupati di questo tema in un precedente numero di scuola7[1]. È un tema centrale anche nelle recenti Linee Guida per l’insegnamento dell’educazione civica (decreto ministeriale n. 183/2024), dove si offre un quadro efficace entro cui collocare il senso di appartenenza alla “nazione Italia”. Nel paragrafo “Principi a fondamento dell’educazione civica” si afferma che tale insegnamento offre “una cornice efficace entro la quale poter inquadrare temi e obiettivi di apprendimento coerenti con quel sentimento di appartenenza che deriva dall’esperienza umana e sociale del nascere, crescere e convivere in un Paese chiamato Italia”.
Il curricolo di storia delle nuove Indicazioni si muove sulla medesima lunghezza d’onda. La storia, infatti, persegue il medesimo scopo: rafforzare l’identità nazionale, esaltandone il processo storico che ha contribuito a “farci diventare Patria”.
Sullo sfondo di questo nuovo scenario, le vigenti Indicazioni del 2012, al contrario, sono considerate eccessivamente aperte ad una visione globale delle vicende umane e troppo poco patriottiche. Va ricordato che Nazione e nazionalismo sono costrutti molto contigui. La transizione dal primo al secondo è spesso breve.
E in questo circolo vizioso, la religione, da sempre, e anche oggi, rischia di essere piegata (snaturandola) a ideologie nazionalistiche e a regimi illiberali.
[1] L. Rondanini, Educazione civica e identità nazionale. Una riflessione sul concetto di Patria, 22/09/2024 Scuola7-399.