La legge è una risorsa o un limite?

Dai principi alle attuali contraddizioni

La scuola, come tutte le istituzioni, per quanto fondata su norme, è soggetta ad un inevitabile quanto continuo cambiamento per corrispondere alle esigenze degli studenti e ai problemi della società.

Ogni giorno la scuola agisce in funzione di una pluralità di norme di diverso genere: giuridiche, morali, igieniche, di etichetta, di cortesia, ecc. Accanto al paesaggio materiale in cui viviamo, esiste un paesaggio normativo, i cui elementi condizionano le nostre vite almeno quanto gli elementi del paesaggio materiale. La miriade di leggi riservate al nostro sistema di istruzione e di formazione, pur creando non poco sconcerto tra tutti coloro che la scuola la vivono quotidianamente, nasce proprio come risposta ai continui cambiamenti della società. Se da un lato, le scuole possono far conto, quindi, su strumenti che vogliono adeguarsi alle logiche del tempo, dall’altro, sono anche consapevoli che le leggi, di per sé, sono restie alla flessibilità lasciando sulle generazioni lo stigma del tempo in cui vengono emanate.

La legge come risorsa

Se le norme vengono percepite come principi regolatori dei comportamenti, come strumenti di indirizzo, e non come semplici dispositivi da applicare, allora possono veramente costituire una grande risorsa. Ma non è sempre facile perché a volte si mostrano difficili da capire, altre volte sembrano distanti dalla realtà di ognuno di noi, altre volte possono essere pure fraintese, specialmente quando sembrano contrastare con il proprio sentire o anche quando sembrano veicolare un cambiamento troppo radicale.  Questo spiega la resistenza di chi non riesce ad aggredire il problema alla radice e che, però, è chiamato ad applicare la legge senza avere chiara la direzione verso cui andare. Lo sapeva bene Dante Alighieri quando invocava la legge come rimedio «onde convenne legge per fren porre», o quando si rammaricava che la legge non fosse attuata «le leggi son, ma chi pon mano ad esse». Dante non pensa ad una legge dettata dal potere costituito, ma semmai ad una legge che a quel potere preesiste e che lo legittima[1].

È da qui che nasce, anche nelle persone di scuola, quel senso di sfiducia e di costante sospetto nei confronti delle norme, da qui nasce una spirale negativa di individualismo, solitudine e ansia: sono situazioni abbastanza diffuse che mettono in crisi quegli stessi valori che dovrebbero invece essere protetti.

Complessità ed “onestà intellettuale” del docente/educatore

Questo è quanto sta accadendo anche oggi nella nostra scuola. L’autonomia aveva auspicato un radicale rinnovamento contro il permanere di una rigida burocrazia, quella che uccide il senso e il valore di una norma fondata sull’esigenza di migliorare la qualità del servizio educativo.

Tutti coloro che hanno incentrato il proprio ruolo professionale sulla qualità dell’insegnamento senza perdere mai di vista la formazione e il futuro delle nuove generazioni, si pongono quotidianamente il problema di andare al cuore delle leggi, garantendo contestualmente il diritto di ognuno a perseguire la propria realizzazione.

Come è possibile, allora, coniugare le norme, che spesso risentono di un linguaggio burocratico, con i significati che sono ad esse sottese, cioè a quegli stessi significati che costituiscono valori perenni?

Prendiamo il caso del concetto di “qualità del servizio scolastico”, che oramai da decenni rappresenta il fondamento dell’offerta formativa. Per molto tempo la scuola italiana ha considerato come suo unico compito quello di insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Non è che oggi si debba abbandonare questi obiettivi. Oggi abbiamo capito che tali obiettivi si possono raggiungere attraverso il coinvolgimento degli alunni, facendo in modo che essi diventino protagonisti attivi. Ma sono approcci che ritroviamo nella stessa normativa che nasce dall’attuale modello sociale e democratico quando richiede di creare cittadini attivi e solidali, oltre che istruiti e competenti, ma anche critici e socialmente aperti ai contesti.

Di fronte alla domanda di una società che non accetta più di essere condizionata dall’esterno, il lavoro dell’insegnante/educatore è diventato più complesso e richiede tanta “onestà intellettuale” per garantire alle nuove generazioni una istruzione di qualità, all’altezza di un modello sociale in cui il cambiamento è divenuto una categoria dell’essere.

Essere “docenti onesti”

La coscienza professionale, pertanto, si trova a misurarsi con problemi inediti in un quadro complesso in cui si intrecciano difficoltà di vario genere, che richiedono agli insegnanti creatività e flessibilità: sono due modi che connotano (o dovrebbero connotare) la nuova professionalità del docente.

Oggi, per essere “docenti intellettualmente onesti” occorre saper mettere “in crisi” le certezze pregresse che, col cambiamento repentino, rischiano di diventare desuete. Il docente “onesto” deve presentare la sua visione delle cose come uno dei possibili punti di vista, deve dichiarare “le fonti e gli argomenti” a supporto della sua visione, deve, quindi, mettersi in discussione contribuendo a formare persone e favorendo quelli che Ausubel chiamava “apprendimenti significativi”.

Ma la cifra che deve connotare la nuova professionalità è quella che vede nelle norme, intese nel suo senso più profondo, il principale strumento per migliorare a qualità del lavoro.

Migliorare la professionalità docente

Molte sono le strade che portano alla meta, ma nella scuola innanzitutto bisogna migliorare la qualità professionale dei docenti, e per questo sono importanti alcuni interventi istituzionali.

  1. Il miglioramento stipendiale per valorizzare i docenti oltre che per far fronte alle continue necessità nella vita economica e sociale.
  2. Una valutazione costante delle competenze, ma anche incarichi di responsabilità.
  3. Il ricorso a forme di educazione di tipo deontologico per innalzare la qualità del ruolo e che già la legge 53/2003 aveva tentato di suggerire.
  4. Una formazione tecnologico-didattica, capace di corrispondere alle esigenze delle nuove generazioni, che avvertono un profondo bisogno di sintonia fra le richieste della vita sociale e le offerte della scuola.

Nel paniere della formazione, non può essere disattesa l’attenzione all’insieme dei bisogni delle famiglie che, anche loro, devono superare il modello individualistico, dominante nella società attuale. La recente scelta delle figure professionali di tutor e di docente orientatore va in questa direzione.

Il ruolo educativo del Dirigente scolastico

La trasformazione del sistema scolastico, per essere capace di corrispondere alle istanze del cambiamento, richiede altresì il ripensamento del ruolo del dirigente il quale, attualmente, sembra essere sovrastato da funzioni prevalentemente di tipo burocratico con il rischio di stravolgere dalle fondamenta la funzione di “leader educativo”.

Il Dirigente è colui che deve garantire a tutti gli alunni la qualità dell’istruzione e il successo formativo, deve quindi difenderli da possibili interferenze; deve essere attento ai processi inclusivi, alla valorizzazione delle variegate forme di talento. Non a caso è proprio questo che le norme specifiche sulla dirigenza hanno sempre ribadito. La contraddizione nasce laddove le stesse norme sembrano oggi chiamare il Dirigente scolastico a dar contro di azioni prevalentemente di tipo amministrativo e ancor più di tipo formale. In questa fase contraddittoria, complici anche le innumerevoli azioni collegate al PNRR, non è facile per un Dirigente scolastico non cadere nella trappola della burocrazia trascurando, per esempio, il rapporto con la comunità professionale. Il rischio più grave è quello di non riconoscere e non valorizzare le persone che hanno la responsabilità di far crescere la scuola e di migliorare gli apprendimenti degli studenti; di perdere, quindi, il controllo sulle risorse umane che interagiscono all’interno dell’istituzione che dirige; ma anche e soprattutto di trascurare quei processi che fanno della scuola una vera comunità educante.


[1] Cfr. Nicolò Lipari «Onde convenne legge per fren porre». Dante e il diritto.