PerchĂ© il genere femminile nelle professioni scatena ancora polemiche? L’Accademia della Crusca, nella figura della professoressa Cecilia Robustelli, docente di Linguistica all’UniversitĂ di Modena e Reggio Emilia e massima esperta della materia, sottolinea che la grammatica italiana ha delle regole ben precise sull’argomento: tutte le forme maschili hanno un corrispondente femminile e il genere grammaticale deve riflettere il genere sessuale. Ma la lingua italiana, come molte altre lingue, è androcentrica, ovvero centrata sul genere maschile. Basti pensare all’uso del plurale: in presenza di due elementi, uno maschile e uno femminile, la concordanza è sempre al maschile. Le parole sono importanti, molto spesso discriminano, non sono inclusive e generano spaccature. Da qui l’ipotesi di utilizzare l’asterisco, lo schwa o altri segni che “opacizzino” le desinenze maschili e femminili.
Come superare la dominanza del maschile[1]
Se il più largo impiego dello schwa avviene in prevalenza negli usi social a opera del mondo dell’attivismo politico, dei movimenti femministi, delle associazioni Lgbtq+ e altre, dalla carrellata di note che segue apparirà chiaro, tuttavia, che il dibattito sul linguaggio inclusivo comincia a interrogare scrittori, blogger, giornalisti, editori, agenzie di stampa e imprenditori del settore librario, oltre che naturalmente la comunità accademica e il circuito più esclusivo degli studi di genere e dei linguisti.
Nella grammatica italiana ha sempre dominato il maschile sovra esteso o generalizzato: basta, infatti, che in un gruppo misto sia presente un solo uomo, per declinare il plurale al maschile, non solo i sostantivi, ma naturalmente anche gli articoli, gli aggettivi e le preposizioni.
Per evitare la discriminazione di genere è in uso ormai stabilmente da parte di tutti gli oratori pubblici l’abitudine del raddoppio, “bambini e bambine”, “ragazzi e ragazze”, “cari tutti e tutte”, che può per certi versi appesantire l’eloquio o il testo scritto, ma ha senza dubbio il pregio di garantire una maggiore inclusività linguistica.
Si sperimenta per cercare di superare il maschile sovra esteso e il binarismo di genere, anche l’uso più agile di un simbolo o segno fonetico e morfologico neutro per indicare un plurale né maschile né femminile: l’asterisco (*) al posto dell’ultima vocale, oppure la chiocciola (@), o la vocale “u”, che ha il limite, però, di denotare in alcuni dialetti il maschile.
La discussione negli studi di genere e in linguistica si è animata e più di recente viene proposto come soluzione lo schwa, al posto della desinenza maschile per definire un gruppo misto di persone.
Le posizioni dell’Accademia della Crusca
L’Accademia della Crusca prende le distanze e ribadisce alcuni punti fermi: l’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro, così come, nella categoria grammaticale del numero, distingue il singolare dal plurale, ma non ha il duale, presente in altre lingue, tra cui il greco antico. Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale. Forse, un uso consapevole del maschile plurale come genere grammaticale non marcato, e non come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico (come finora è stato interpretato, e non certo ingiustificatamente), potrebbe risolvere molti problemi, e non soltanto sul piano linguistico. Ma alle parole andrebbero poi accompagnati i fatti[2].
Marco Stancati, comunicatore, formatore e docente alla Sapienza di Roma, prende atto dell’abitudine sempre più diffusa di inviare messaggi che contengono simboli per aprire all’uso di un linguaggio inclusivo, ma si chiede se abbiamo veramente bisogno degli asterischi e dello schwa.
Da alcuni questa abitudine viene considerata una forma di violenza alla lingua, un’inutile acrobazia linguistica con conseguenze gravi sul piano della comunicazione e con il rischio di ledere a fondo e in maniera irreparabile la struttura logico-grammaticale della lingua e di polverizzarne la coesione; una forma di perbenismo, superficiale e modaiolo, di deriva e di perdita di un processo di evoluzione linguistica e culturale secolare. Per non parlare del fatto che leggere ad alta voce un testo infarcito di “schwa” risulta essere un’impresa pressoché impossibile e già questa motivazione pratica basterebbe per accantonarne definitivamente l’uso. Sembra più praticabile semmai introdurlo nella lingua scritta.
Altri sostengono, invece, che le discussioni sulla lingua che cambia fanno bene in ogni caso e plaudono a un passo avanti nell’evoluzione della lingua per stare al passo con i tempi, sconfiggere gli stereotipi e concorrere alla realizzazione dell’Obiettivo 5 dell’Agenda 2030[3].
Siamo di fronte a una materia complessa, a un processo culturale e comunicativo con poche certezze, tante polemiche e lamentele dai toni accesi, atteggiamenti eccessivamente conservatori, arrocchi sdegnosi e prove di forza degli stereotipi, ma anche fughe in avanti giudicate pericolose, accompagnate da eco massmediali per gli aspetti che possono intercettare l’interesse e l’adesione del grande pubblico. La bussola non potrà che guidare verso l’obiettivo di valorizzare la lingua comune intesa come “bene culturale”, da preservare in una dimensione non museificata, più rispettosa che in passato della convivenza delle differenze di genere e delle pari opportunità nelle pratiche linguistiche, ma neppure subordinata a logiche affrettate e non prive di contraccolpi e conseguenze sul piano della comunicazione.
Pari dignitĂ di genere nella lingua italiana
Di seguito alcune note che possono chiarire meglio il dibattito piĂą recente sulla pari dignitĂ di genere nella lingua italiana.
Schwa o convivere nelle differenze?
Nel catalogo della casa editrice indipendente Effequ, impegnata nella pubblicazione di saggi attenti alle nuove tendenze, troviamo due testi della linguista Vera Gheno sul tema del femminismo nelle parole[4]. La sociolinguista, specializzata in comunicazione digitale, è stata tra le prime a parlare di schwa in Italia e a esprimere la propria preferenza per questo simbolo che «rappresenta la vocale media per eccellenza». Lo considera particolarmente adatto a indicare un genere indistinto, che può andare incontro anche alle persone che si sentono a disagio con il fatto che l’italiano ha solo maschile e femminile.
Lo scrittore e blogger Francesco Acanfora[5] si concentra in particolare sul carattere politico e identitario delle istanze che da più parti spingono verso una lingua che sia maggiormente inclusiva nei confronti delle minoranze e sostiene la necessità di andare oltre l’inclusione, a cui preferisce l’idea di convivenza delle differenze, una convivenza che esprime rispetto e comprensione reciproci tra tutte le persone, a prescindere dalle proprie caratteristiche: Il nocciolo della questione non è se lo schwa sia la soluzione ideale, ma la necessità di aprirsi alla possibilità di sperimentare per far sì che la nostra lingua sia la lingua di tuttə, considerando che non si tratta di cambiamenti imposti da fantomatiche élite, ma di spinte che arrivano dal basso, da chi parla e utilizza quotidianamente la lingua.
Parere di alcuni scrittori
La scrittrice Michela Murgia è stata la prima ad utilizzare lo schwa–simbolo della “e” rovesciata per il singolare e simile a un piccolo tre, per il plurale –in un articolo sull’Espresso.
Roberto Saviano decide di usarlo per la prima volta in un’intervistaa Masha Gessen, scrittorə di origini russo-americane, autrice di “Putin. L’uomo senza volto”, per rispettarne la volontà di non essere ascritta né al genere femminile, né a quello maschile. Gessen per lungo tempo è statə l’unica persona dichiaratamente gay in tutta la Russia, subendo una duplice discriminazione, in quanto gay e in quanto ebreə[6].
Licia Troisi, scrittrice fantasy, ha usato per la prima volta in fase di revisione del suo ultimo romanzo la desinenza neutra dello schwa, associato a un personaggio alieno, che appartiene a una razza che non ha sesso, né genere. La scelta dell’alternanza del maschile e del femminile, utilizzata per il personaggio nella prima stesura, è apparsa infatti fonte di confusione per il lettore, sia all’autrice che alla sua editor[7].
Schwa in copertina e nei documenti ministeriali
Nel campo della divulgazione scientifica Massimo Polidoro ha il primato di introdurre lo schwa in copertina del suo ultimo saggio “Pensa come unə scienziatə”. L’autore motiva la scelta come un modo per evitare il predominio maschile e favorire l’inclusività : Se l’agenda della ricerca viene stabilita da una ristretta comunità di uomini bianchi, occidentali e benestanti, probabilmente non saprà raccogliere adeguatamente tutte le sfide che il mondo di oggi ci pone dinanzi[8].
Nei post istituzionali il Comune di Castelfranco Emilia in provincia di Modena ha deciso, tra i primi in Italia, di adottare un linguaggio più inclusivo e risponde agli utenti dei social “Gentilissimə, grazie a tuttə per i vostri commenti e le vostre considerazioni”: come feedback degli utenti a volte commenti di apprezzamento, ma anche forti critiche.
Il Ministero dell’Università e delle Ricerca ha usato lo schwa in una procedura concorsuale universitaria nel settore delle discipline economico-giuridiche.
L’accusa di inaccettabilitĂ
Molti intellettuali hanno sottoscritto senza esitazione la petizione del linguista Massimo Arcangeli, “Lo schwa? No, grazie. Pro lingua nostra”, su change.org. Tra i primi firmatari anche il presidente dell’Accademia della Crusca, con un giudizio netto e stroncante: Siamo di fronte a una pericolosa deriva, spacciata per anelito d’inclusività da incompetenti in materia linguistica, che vorrebbe riformare l’italiano a suon di schwa. I promotori dell’ennesima follia, bandita sotto le insegne del politicamente corretto, pur consapevoli che l’uso della “e” rovesciata” non si potrebbe mai applicare alla lingua italiana in modo sistematico, predicano regole inaccettabili, col rischio di arrecare seri danni anche a carico di chi soffre di dislessia e di altre patologie neuro atipiche.
All’accusa di inaccettabilità dell’uso dello schwa in atti ufficiali, i firmatari della petizione, promettono che seguirà al più presto anche un “Manifesto anti schwa”, per bloccarne immediatamente l’uso nella scrittura di natura burocratica e istituzionale.
Lo schwa è “una toppa peggiore del buco”: così la linguista Cecilia Robustelli, professoressa Ordinaria di Linguistica Italiana all’Università di Modena e Reggio Emilia, interviene nel dibattito accademico e avverte che è pericoloso sperimentare sul sistema della lingua, se non si prevedono i contraccolpi che tale intervento può determinare e le sue conseguenze sul piano della comunicazione[9].
Altre soluzioni
La storica “Libreria dei Ragazzi” di Milano, nata da un progetto innovativo di Roberto Denti che ha raccolto intorno a sé scrittori come Mario Lodi, Gianni Rodari, Pinin Carpi, Bianca Pitzorno ed altri, nel 2022, in occasione del cinquantesimo compleanno, ha cambiato la targa in “Libreria dei Ragazzi e delle Ragazze”, luogo che appartiene a tutti. La responsabile Alessandra Storace racconta che già sul biglietto di inaugurazione nel 1972 Denti e la moglie Gianna Vitali avevano fatto scrivere “per i ragazzi e per le ragazze”, ma all’epoca il linguaggio non si era ancora misurato sul tema del genere e nell’insegna era apparso soltanto il maschile. Oggi invece c’è stato un confronto interno anche sull’eventualità di inserire l’asterisco[10].
In occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2022-2023 la rappresentante degli studenti all’Università di Firenze ha premesso che avrebbe usato il femminile come plurale universale, per fare un discorso inclusivo verso tutte le persone: “noi studentesse”, “chiuse in casa per mesi”, “siamo il paese con meno laureate in Europa”. Qualche maschile qua e là le è però sfuggito nel corso dell’intervento, forse semplicemente per errore indotto dall’abitudine.
Il dibattito è, con ogni evidenza, soltanto agli inizi.
[1] Cfr. R. Bramante, A proposito di schwa. Dibattito sull’italiano inclusivo, in“Education 2.0”, 22 maggio 2022.
[2] Cfr. Accademia della Crusca, Il piĂą bel fior ne coglie.
[3] Obiettivo 5: Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze.
[4] V. Gheno, Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole, Effequ, 2021; V. GHENO, L’avventura dello schwa. Solo il capitolo extra della nuova edizione di Femminili singolari, Effequ, 2021.
[5] F. Acanfora, Schwa: una questione identitaria, in “Treccani Magazine”, 21 marzo 2022.
[6] R. Saviano, Intervista a Masha Gessen, in “Corriere della sera”, 23 marzo 2022.
[7] L. Troisi, Poe. La nocchiera del tempo, Rizzoli, 2022; S. Colombo, Scienza e schwa. Licia Troisi va oltre i generi, in “La lettura”, 6 marzo 2022.
[8] M. Polidoro, Pensa come unəscienziatə. Come coltivare l’arte del dubbio, Piemme, 2021.
[9] C. Robustelli, Lo schwa? Una toppa peggiore del buco, in “Micromega”, 30 Aprile 2021.
[10] M. Ghezzi, Anche le ragazze leggono, in “Corriere della sera”, 10 marzo 2022.