Pensami adulto: PEI e Progetto di vita

Due mondi che si devono incontrare

Il PEI, cioè il Piano Educativo Individualizzato, e il Progetto di vita, che ha tra i principi basilari l’attivazione di percorsi per favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità, sono documenti che devono integrarsi e rafforzarsi a vicenda durante il periodo della scolarizzazione.

Mario Tortello, un giornalista pioniere dell’inclusione scomparso precocemente nel 2002, aveva coniato l’espressione “Pensami adulto†volendo con questo sollecitare gli adulti ad utilizzare tutti gli spazi per accompagnare lo studente verso la costruzione del proprio progetto di vita.

La scuola non può fare tutto da sola

Dario Ianes, professore di Pedagogia dell’inclusione presso l’Università di Bolzano e co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento, sottolinea costantemente che per costruire un buon PEI, che sfoci poi in un progetto di vita, l’allievo deve essere pensato non solo nel contesto scolastico, dove trascorre una parte della giornata, ma anche in altri contesti, a partire da quelli della famiglia, dove il bambino trascorre il tempo quando la scuola è chiusa.

Sergio Neri, uno dei pedagogisti più autorevoli della seconda metà del Novecento, anticipando questo concetto, era solito ricordare che, oltre alle ore di scuola, c’è l’altra parte della giornata, più lunga rispetto al tempo che si trascorre a scuola. L’educazione degli alunni con disabilità non deve, quindi, impegnare solo gli operatori scolastici, ma l’intera comunità. Scriveva nel 1999, in uno dei suoi manuali[1]: “le scuole devono imparare a integrare le risorse interne (competenze professionali, disponibilità, atteggiamenti, saperi, discipline, laboratori, orari…) e quelle esterne (musei, biblioteche, professionisti, botteghe artigiane, ambienti naturali, aziende…)â€.

Progetto di vita in famiglia

La predisposizione del progetto di vita, se realizzato in modo adeguato, costituisce la via privilegiata per garantire alle persone con disabilità il rispetto dei diritti e l’inclusione sociale. Il progetto di vita in famiglia comincia molto presto. Di solito, però, risente dell’atteggiamento protettivo dei genitori che temono per il proprio figlio l’impatto con la realtà e propendono, quindi, a ritardarlo il più possibile. Pensiamo alle loro frequenti richieste di trattenerlo alla scuola dell’infanzia, spinti dalla preoccupazione che non sia pronto per la scuola primaria. “È piccolino!â€, è l’espressione più usata.

La famiglia, in genere, teme che il figlio non riesca a superare l’incontro con i propri limiti, ha paura che la realtà esterna possa riservargli ostacoli e difficoltà insuperabili. Questa ragione giustifica anche le richieste di trattenerlo a scuola oltre i limiti di età, proprio per il desiderio di ritardare tutte le possibili frustrazioni. È anche questo il motivo che la fa muovere con molta cautela nei confronti di quel sociale dal quale potrebbero invece ricevere aiuto e cooperazione.

Ci sono, invece, altre famiglie che si pongono precocemente il problema, anche a partire dall’infanzia, e cercano di far vivere al figlio esperienze di vita che lo aiutino ad acquisire le prime forme di autonomia e di indipendenza.

L’obiettivo che ci si prefigge per ogni studente, specialmente per quelli con disabilità, è far conseguire progressivamente una buona qualità della vita: ciò deve costituire il filo conduttore sul quale orientare tutte le azioni negli anni della scolarizzazione; il processo sarà facilitato se, fin dall’infanzia, si cercano forme di collaborazione con il sociale.

Progetto di vita a scuola

Compito della scuola è quello di costruire e sviluppare apprendimenti adeguati alle capacità di ciascuno. Il PEI Ã¨ un importantissimo documento, redatto per ogni studente con disabilità, che fornisce un supporto personalizzato per l’apprendimento e lo sviluppo, tenendo conto delle specifiche esigenze e capacità di ciascuno. La scuola, quindi, è centrata sulla predisposizione di un programma non solo metodologico, ma anche disciplinare che deve essere integrato con quello della classe. Se il PEI, però, trova il suo fulcro solo nelle discipline corre il rischio di prendersi cura solo di un aspetto della persona. È importante, invece, che nei progetti mirati delle scuole siano previsti obiettivi più ampi che possano essere utili anche per la vita futura dello studente. Tali progetti hanno maggiore possibilità di successo se il contesto didattico si integra con quello sociale attraverso alleanze con altri attori pubblici e privati: i servizi, il volontariato, il terzo settore…

Protocollo di collaborazione

Su questo tema, è utile citare il Protocollo di collaborazione tra l’Agenzia Regionale per il lavoro dell’Emilia Romagna e l’Ufficio Scolastico regionale dell’Emilia Romagna del 24 gennaio 2022, teso proprio ad assicurare l’offerta di una serie di interventi ideati per gli studenti con disabilità dell’ultimo anno di scuola secondaria di secondo grado. Il presupposto di base, che ritroviamo citato nell’articolo 1 del protocollo, è quello di fornire elementi conoscitivi utili alla progressiva definizione del progetto di vita, sia per la prosecuzione degli studi sia anche per l’inserimento nel mondo del lavoro.

Questo protocollo facilita sicuramente gli istituti scolastici nel progettare interventi personalizzati, per esempio, facendo conoscere il mercato del lavoro, le tipologie dei contratti, le opportunità occupazionali, i diversi servizi offerti da strutture pubbliche e private, i tirocini e tutti i possibili percorsi formativi.

Dal DM 62/2024 all’esperienza forlivese

Il problema del progetto di vita è tornato di grande attualità anche grazie all’approvazione del decreto 62 del 3 maggio 2024 (vigente dal 30 giugno 2024) sulla “Definizione della condizione di disabilitàâ€[2].

Le novità contenute nel decreto non si limitano alle nuove modalità di certificazione della disabilità, ma riguardano proprio la costruzione del progetto di vita. Il decreto prevede l’avvio concreto delle nuove disposizioni a partire dal primo gennaio 2026 in tutto il territorio nazionale; in alcune province, tra cui Forlì, saranno, in via sperimentale, anticipate al primo gennaio 2025.

Questa anticipazione è stata subito presa in carica da comune di Forlì: nel corso dell’incontro svoltosi il 31 ottobre 2024, promosso dalla terza commissione consiliare, il dott. Sintoni (direttore del distretto sanitario di Forlì) ha delineato il cambiamento che deve aver luogo in ambito sanitario, in particolare da parte di chi certifica la disabilità. Ma ha sottolineato che l’ottica sanitaria non può essere la sola implicata. Occorre dare legittimità ad altri saperi e ad altri servizi. Il riferimento è proprio al contesto di vita familiare, alla scuola e al contesto sociale. Da qui il richiamo all’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento dell’organismo umano in rapporto al contesto di vita) in cui il termine “minorazione†viene sostituito con il termine “compromissioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali†delle persone nel contesto ambientale nel quale si trovano a vivere con le barriere o anche con le facilitazioni. L’ottica si sposta, quindi, verso il profilo bio-psico-sociale. Questo principio sta alla base del decreto 62/2024

Progetto di vita: una novità nel panorama della disabilità?

Assolutamente no. Viene introdotto già dalla legge 104/1992 ed è ampiamente trattato nella legge 328 dell’8 novembre 2000, cioè della legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Già qui l’individuo è inteso come soggetto attivo e portatore di diritti a cui devono essere destinati interventi per rimuovere situazioni di marginalità. Si tratta, quindi, di una presa in carico globale della persona che tenga conto dei bisogni reali, dei desideri e delle aspettative nei diversi contesti di vita (scolastico, sanitario, sociale, familiare e lavorativo). La stessa legge aveva già previsto anche un budget per ogni progetto di vita e un referente per il progetto della persona disabile definito case-manager[3] che veniva generalmente identificato con l’assistente sociale di riferimento.

Il richiamo, quindi, alla legge 328/2000 è d’obbligo anche se, dopo ventiquattro anni, non sono rinvenibili in maniera diffusa impegni reali che vadano oltre la semplice definizione del progetto di vita.

Funzionerà il decreto 62/2014?

Viene in aiuto ancora una volta la saggezza di Giancarlo Cerini, difensore della scuola militante, nell’insistere sul fatto che una riforma avrà successo se viene definito un piano di accompagnamento attraverso misure che la devono rendere concreta[4]. Una buona legge necessita di un piano di formazione degli operatori interessati e di risorse adeguate, sia umane sia economiche.

A Forlì, seguiremo da vicino il percorso che il decreto 62/2024 avvierà a partire dal primo gennaio 2025, ovvero tra pochi giorni, nella speranza che ancora una volta non vengano deluse le aspettative delle persone più fragili.


[1] S. Neri et alii, Il manuale della nuova scuola dell’infanzia, 1999, Fabbri, Milano; Il manuale della scuola elementare: l’autonomia, i programmi, la riforma, i cicli, i moduli, i saperi, gli ambiti, l’organico funzionale, l’unitarietà, 1999, Fabbri, Milano.

[2] D.lgs. 3 maggio 2024, n. 62. Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato. 

[3]  Il Case manager (gestore del caso) è una figura che si è diffusa a partire dagli Stati Uniti negli anni Settanta.  Il case management nel servizio sociale si basa su 5 elementi:

  • valutazione iniziale (assessment);
  • costruzione di un piano assistenziale individualizzato (care planning);
  • attuazione del progetto (messa in campo di un “pacchetto di serviziâ€, differente per ogni utente);
  • monitoraggio;
  • valutazione conclusiva.

Il Case manager è un professionista che costituisce la “persona di riferimento†del caso. I suoi compiti includono l’effettiva valutazione dei bisogni dell’assistito, in una visione olistica; la pianificazione dei supporti, delle risorse e dei servizi necessari; la messa in rete delle risorse e degli interventi; il coordinamento dei processi; la garanzia della continuità della presa in carico. In altre parole, è l’operatore che si occupa, nell’ottica del caring, di tutte le esigenze della persona assistita, evitando che la presa in carico sia frammentata, parcellizzata, inefficace ma anche antieconomica. Molto spesso è ciò che è successo in passato: tante persone si sono viste rimbalzare fra un servizio all’altro senza coordinamento e continuità.

[4] G. Cerini, Atlante delle riforme (im)possibili, Tecnodid, 2021.