Massimo Recalcati, uno dei più noti ed apprezzati tra gli psicanalisti italiani, si è raccontato come giovane allievo, nei suoi saggi e in diverse interviste.
Si sentì precocemente schiacciato da frustrazione e apatia, perché giudicato inadatto allo studio: Ero considerato una specie di ritardato, un idiota. In realtà mi ero ammutinato a una maestra. Il suo corpo sprizzava autoritarismo da ogni poro. La sua parola era violenta. E reagì con il rifiuto di apprendere, di mangiare un sapere grigio, morto, insipido e violento. Conseguenza della sua protesta fu, con sconcerto della famiglia, una bocciatura in seconda elementare.
Desiderio di apprendere
Alla fine degli anni Settanta, quelli della sua militanza politica consideravano una perdita di tempo andare a scuola e, dopo un’altra bocciatura, aveva deciso senza esitazione di chiudere definitivamente il rapporto con l’istituzione scolastica. Determinante fu, però, la madre, che lo sollecitò a non interrompere gli studi, per poter avere nella vita l’opportunità di conoscere più mondi e non rimanere chiuso, come era accaduto a lei, che non aveva avuto la possibilità di studiare.
Grazie all’incontro con la professoressa Giulia, che seppe fargli amare i libri, vivere il godimento del sapere e riconoscere il valore della disciplina dello studio, sperimentò sulla sua pelle per la prima volta l’esperienza fisica e mentale del sapere come nutrimento. Questo incontro cambiò direzione alla sua vita e lo mise in moto verso un cammino di studio e di ricerca, mai più interrotto.
La psicoanalisi nel sociale
Dopo la tesi di laurea in Filosofia su Freud e Sartre, manifestò al suo relatore Franco Ferragli la volontà di occuparsi di Lacan e si trovò a fare i conti con la perplessità del suo insegnante, che tentò di dissuaderlo. In gioco, però, c’era il suo futuro e Recalcati perseguì il suo obiettivo, malgrado la lettura dei testi di Lacan gli risultasse faticosissima. Oggi gli viene riconosciuto il merito di aver reso leggibile il pensiero di Lacan, di cui è mediatore, traduttore e interprete.
Oltre alla pratica clinica come psicoanalista, Recalcati sta mettendo un impegno tenace e visionario nel portare la psicoanalisi nel sociale. Jonas Italia[1], centro di clinica psicoanalista, da lui fondata nel 2007, promuove la cura, accessibile a tutti, delle nuove forme di disagio e attività di divulgazione e prevenzione, dai disturbi alimentari e del sonno ai disturbi dell’apprendimento, alle dipendenze, comprese quelle dai videogiochi e dalle tecnologie in genere. Segno che la sua teoria si è fatta prassi, in una proficua rete di collaborazione con istituzioni del territorio, ospedali, penitenziari e, soprattutto, con le scuole.
Maestro dell’incognito folgorante
È saggista di grande fecondità creativa, autore di una vasta produzione letteraria (più di 40 libri in poco più di vent’anni, tradotti in diverse lingue) e nei panni di docente universitario ha saputo reinventare quello che ha ricevuto lungo il cammino, generando uno stile proprio. Il suo eloquio immaginifico e evocativo aggancia in modo ipnotico l’uditorio, che affolla le sale in occasione di ogni suo intervento pubblico. Come hanno testimoniato esperti e allievi durante la Giornata di studio per il sessantesimo compleanno, Recalcati è stato, ed è, per molti il Maestro, l’incontro folgorante[2].
Questo è un Maestro, il divino fuori di noi che risveglia il divino in noi, mette in moto la trama del nostro poema: non c’è eroe senza mentore[3], che – per parafrasare James Hillman – sia di aiuto a coltivare la propria “ghianda”, ovvero il talento, l’essenza unica e irripetibile di ogni individuo. Essere aiutati a coltivarla è un viatico di felicità[4].
Dalla “scuola dispositivo” alla “scuola radura”
La scuola ha due anime: quella foucaultiana della scuola-dispositivo e quella heideggeriana della scuola-radura. Nella prima lo studente prova il disagio e la noia di trovarsi di fronte a un sapere che vive come sterile, sganciato dalla realtà e di cui non comprende l’utilità: così l’entusiasmo dell’apprendimento si scoraggia, fino a spegnersi e appassire. Se l’alunno, invece, fa l’esperienza di trovarsi in una radura che improvvisamente si apre nel mezzo del fitto del bosco, incontra il sapere come luce, utile alla vita[5].
La scuola custode dell’apertura
Come per la radura, l’essenza della scuola è definita dall’apertura. La funzione culturale e civile della scuola è quella di custode dell’apertura, luogo privilegiato in cui la comunità è impegnata nello sforzo collettivo di rompere i muri del pregiudizio e le barriere della discriminazione, contrastare la segregazione, consentire l’incontro di mondi differenti e il dibattito delle idee, vincere l’analfabetismo in tutte le sue molteplici forme, valorizzare il plurilinguismo, aprire le menti e i cuori,erotizzare il desiderio di sapere, essere un vaccino efficace contro le spinte dissipative della giovinezza, favorire una cultura dell’inclusione, sostituire alla violenza e alla prepotenza la legge della parola [6].
La vocazione della scuola e il suo compito più alto non è quello di trasmettere nozioni (anche se è importante acquisire saperi nuovi), ma di formare cultura democratica e cura della dimensione collettiva della vita umana, all’interno di un processo che motiva all’incontro, al dialogo, alla fatica, a mettersi alla prova in un cammino lungo, contro l’abbaglio troppo diffuso del successo facile, delle scorciatoie e dell’approccio individualista.
La scuola è il presidio che salvaguarda l’umano, genera incontri e relazioni, favorisce la scoperta e l’amore per la cultura, proteggendo i più giovani dalla deriva del ritiro autistico e della coltivazione di mondi isolati e virtuali, sotto l’ipnosi esercitata dagli smartphone.
Sotto il segno di “Telemaco”
Quale scuola? Non la scuola-Edipo, di impronta gerarchica, in cui l’insegnante è sostituto del Padre e di una Legge senza discussione e l’allievo è “cera da plasmare”, o vite storta da raddrizzare. E neppure la scuola-Narciso, fondata sulla confusione dei ruoli, in cui i genitori si alleano con i figli, ne sono sempre più complici e non tollerano il fallimento e la frustrazione nei figli-Narcisi, lasciando soli gli insegnanti a rappresentare la dissimmetria generazionale. È nella scuola-Telemaco che l’insegnante-testimone riesce ad aprire mondi e orizzonti attraverso la potenza erotica della parola e del sapere.
La tesi di Recalcati è che il nostro tempo non sia più sotto il segno di Edipo e di Narciso, ma sotto quello di Telemaco. Le giovani generazioni oggi assomigliano più a Telemaco che a Edipo nella ricerca di un nuovo ordine e di un nuovo orizzonte del mondo. I temi indagati da Recalcati intercettano le ansie e le attese di genitori, insegnanti e educatori. Suggerisce agli adulti di dare peso alla propria parola, di assumere tutte le conseguenze dei propri atti, di essere credibili, di avere fede nel segreto e fiducia nelle visioni e nei progetti dei giovani, anche quando appaiono indolenti, pigri e incomprensibili. Il compito più impegnativo – soprattutto oggi di fronte al disagio, al ritiro sociale e alla introversione melanconica di tanti giovani – è contribuire ad accendere il fuoco della vita, il desiderio di apprendere e il pensiero critico. Ma perché il fuoco possa accendersi nei figli e negli allievi, deve essere e rimanere vivo innanzitutto nel genitore e nel maestro[7], che hanno il compito di riconoscere e saper alimentare il talento delle nuove generazioni.
Il miracolo dell’ora di lezione
Il saggio “L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento” si apre con una dedica a Raffaella Cenni[8], la maestra del figlio di Recalcati prematuramente scomparsa, “che ha saputo amare chi impara”. Nel testo rivendica la funzione insostituibile dell’insegnante, che insegna lo stile che lo contraddistingue, a partire dalla singolarità della sua esistenza e del suo desiderio di sapere. L’insegnante-testimone incarna il fuoco del desiderio e sa accenderlo, sa aprire mondi attraverso la potenza erotica della parola e del sapere che la parola sa vivificare.
L’ora di lezione degna di suscitare interesse negli allievi non può essere automatismo e ripetizione, tran tran senza passione, bensì incontro autentico, esperienza intellettuale emotiva e profonda; capace di testimoniare la luce del sapere e di sorprendere come un’avventura.
Il quesito di fondo per ogni insegnante è come trasformare gli oggetti del sapere in oggetti che siano in grado di muovere il desiderio, ovvero di mettere in movimento l’allievo. L’impegno e la tensione originale di ogni insegnante è rendere corpo erotico l’oggetto teorico, si tratti di una poesia di Pascoli o della successione di Fibonacci, di un teorema, di un’equazione o di formule chimiche.
Aprire vuoti nelle teste, non riempirli
Questo tema lacaniano è centrale nell’argomentazione di Recalcati, che lo esemplifica attraverso la scena di apertura del Simposio di Platone, in cui l’allievo Agatone aspira a raccogliere ogni goccia del sapere del maestro Socrate, standogli accanto. Ma Socrate dimostra a Agatone che il sapere non è assimilabile a un liquido, che si può versare da un recipiente all’altro e che l’apprendimento non consiste in un vuoto da riempire, bensì in un vuoto da aprire: aprire vuoti nelle teste, aprire buchi nel discorso già costituito, fare spazio, aprire le finestre, le porte, gli occhi, le orecchie, il corpo, aprire mondi, aprire aperture impensate prima, questo è il compito del Maestro.
Il maestro è un animatore del desiderio di sapere, è in grado di generare un trasporto, quello che in psicoanalisi si definisce transfert: in altri termini il maestro ha la capacità di dislocare il transfert amoroso mobilitato dall’allievo dalla propria persona all’oggetto del sapere, che diventa corpo desiderabile, da assaporare. Così l’allievo diviene amante del sapere, soggetto in movimento verso il sapere, ovvero parte attiva nella ricerca di un sapere nuovo, libero di andare oltre e anche di separarsi con gratitudine dal maestro.
Se questa alchimia avviene, l’ora di lezione diventa un miracolo, la trasmissione del sapere avviene per contagio e testimonianza e lascia davvero un segno.
Il potere della parola
La parola non si limita a uscire dal corpo di chi la pronuncia, ma è, essa stessa, corpo, carne, vita, desiderio, possiede una capacità seduttiva e generativa, che trascende il suo uso codificato.
Ogni insegnante ha un modo in cui vive il rapporto con il sapere e un suo stile singolare, che caratterizza per timbro, flessioni e vibrazioni della voce, per entrare in risonanza con gli allievi. Lo stile di ogni maestro porta a sua volta in sé anche l’eredità dello stile dei propri maestri ed è destinato a lasciare l’impronta nello stile dell’allievo.
In un riferimento autobiografico alla sua storia di studente, Recalcati scrive di non ricordare il timbro di nessun’altra voce adulta negli anni difficili della giovinezza oltre a quella della professoressa Giulia e sottolinea: Ci hai insegnato che le parole portano con sé una potenza sconosciuta, che eccede qualunque spiegazione e di cui bisogna imparare a avere rispetto e saperne godere. Anche Mario Calabresi nell’ultimo suo libro ricorda: il nostro prof si chiamava Franco Falchetti e sento ancora la sua voce che parla di don Rodrigo. Ognuno di noi conserva l’eco della voce di almeno un Maestro[9].
Il libro è un “corpo erotico”
Come la parola, anche il libro è un corpo, un corpo erotico. Perché il libro possa elevarsi alla dignità di corpo erotico, è necessario il cuore di chi legge, senza il quale il libro si riduce a un erbario sterile e non diventa incontro di trasformazione, che può modificare o riorientare la vita del lettore. C’è un prima e un dopo la lettura di ogni libro; ogni libro costituisce uno spartiacque, un’esperienza di trasformazione che può incidere sulla nostra vita al punto di tagliarla come un coltello.
Per entrare in un libro il lettore deve essere disarmato, pronto a lasciarsi leggere, toccare e anche tagliare dal libro. Nel libro ognuno può trovare pezzi di sé che aveva dimenticato o ancora non aveva riconosciuto; l’insieme dei libri che leggiamo e da cui ci lasciamo leggere possono raccontare la nostra vita di lettrici e lettori. Ogni libro è una provocazione e ciascuno di noi risponde in modo diverso alle provocazioni.
Un libro non è un muro chiuso, ma un mare aperto, che mentre ci apre a mondi impensati, inauditi, non ancora visti, apre la testa del lettore, ovvero lo aiuta a rinunciare alla tentazione del muro. Come il mare, il libro ha la capacità di unificare paesi, territori, razze e lingue; per questo leggere libri è fare esperienza di democrazia e di pluralismo[10].
La scuola che vogliamo
Questa è la scuola che, secondo Recalcati, può rivendicare un ruolo di prevenzione primaria, di pensiero critico e di resistenza all’omologazione; che può riuscire a valorizzare le inclinazioni e le attitudini degli studenti e ad accendere il loro desiderio. Una scuola dove c’è il codice materno, ovvero che si prende cura dell’allievo, con un’attenzione non anonima, ma particolareggiata grazie alla “fantasia pedagogica” degli insegnanti.
Questa scuola può offrire in dono il vaccino della cultura, concorrere a costruire buona cittadinanza, accompagnare e sostenere le dinamiche di un cambiamento sociale inedito e sempre più accelerato.
[1] Massimo Recalcati, spinto dal desiderio di rendere possibile l’esperienza dell’analisi a costi accessibili, fonda nel gennaio 2003 “Jonas”. Si tratta di un “Centro di clinica psicoanalitica per i nuovi sintomi”, di cui è il presidente fino al 2007 e responsabile a oggi della sede di Milano. Dal 2004 dirige il corso di specializzazione della “Clinica dei nuovi sintomi”, presso la sede Jonas di Milano.
[2] Giornata di studio “Destini del desiderio nella teoria e nella pratica della psicanalisi”, Milano, Palazzo Reale, novembre 2019.
[3] A. D’avenia, Un’idea di futuro, in “Carriere della sera”, 11 dicembre 2023.
[4] J. Hillman, Il codice dell’anima. Carattere, vocazione, destino, Adelphi, 2009.
[5] M. Recalcati, Quanta vita c’è su una lavagna, in “La Repubblica”, 4 aprile 2024.
[6] M. Recalcati, Scuola. I valori da riscoprire, in “La Stampa”, 12 ottobre 2021.
[7] M. Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi, 2014; Vorrei salvarci da ogni malinconia, in “La Repubblica”, 16 giugno 2024; Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Milano, 2013; Il segreto del figlio. Da Edipo al figlio ritrovato, Feltrinelli, Milano, 2017; Nuove melanconie, Cortina ed., 2019; Elogio dell’insegnamento. Accendere il desiderio di abitare la vita, Lectio magistralis di apertura del Social Festival Comunità Educative, Torino, 4 novembre 2024.
[8] Il Premio Letterario Raffaella Cenni è un concorso letterario per giovani scrittrici e scrittori d’Italia.
[9] M. Calabresi, Il tempo del bosco, Mondadori, 2024.
[10] M. Recalcati, A libro aperto. Una vita è i suoi libri, Feltrinelli, Milano, 2018.