L’avvio del presente anno scolastico in Italia ha coinciso con la pubblicazione di due documenti che hanno messo al centro la qualità del lavoro degli insegnanti nell’attuale contesto nazionale e internazionale: il Rapporto OCSE[1] e il Rapporto Draghi. In entrambi i documenti viene messo in evidenza che in Italia, ma anche in Europa in generale, la retribuzione dei docenti non è adeguata e pertanto l’accesso a questa professione non risulta particolarmente appetibile. Ovviamente queste considerazioni si fondano sul presupposto che nelle economie di mercato il prestigio di una professione si misura anche (forse soprattutto) dal livello della sua retribuzione.
Rapporto Draghi: migliorare le condizioni di lavoro dei docenti
È interessante che nell’intervento di Draghi[2], che guarda alla qualità della scuola come ad uno dei fattori decisivi per la competitività internazionale dell’Europa, tali problemi siano stati messi in evidenza.
“… gli insegnanti dovrebbero essere supportati nel loro sviluppo professionale, riconosciuti per il loro lavoro ed essere ricompensati in modo appropriato. Gli Stati membri dovrebbero fornire opportunità di sviluppo professionale continuo per gli insegnanti per migliorare le loro competenze, tenerli aggiornati sulle migliori pratiche e capaci di adattarsi alle mutevoli esigenze educative. (…) Gli insegnanti dovrebbero ricevere stipendi e benefit competitivi che riflettano il valore del loro lavoro e delle loro qualifiche. Una giusta retribuzione può aiutare ad attrarre e trattenere individui di talento nella professione di insegnante (…) Si potrebbe prendere in considerazione l’istituzione di percorsi chiari per il riconoscimento professionale e lo sviluppo della carriera, tra cui l’adozione di ruoli di leadership e l’acquisizione di certificazioni specializzate”.
La formazione che serve
Da queste parole emerge chiaramente che competitività della professione docente, qualità del lavoro e retribuzione sono fattori fortemente legati alla qualità della formazione iniziale e allo sviluppo professionale continuo.
Contestualmente, in Italia la SAFI (Scuola di alta formazione dell’istruzione) aveva già pubblicato le linee guida per il prossimo triennio[3] in cui vengono definiti gli “Obiettivi strategici” che dovranno orientare i piani nazionali di formazione dei docenti e gli interventi delle scuole con le specifiche priorità e i possibili percorsi formativi.
Proveremo qui a ragionare di quale formazione in servizio hanno bisogno le scuole e gli insegnanti e come, in una visione integrata che salvaguardi l’autonomia delle istituzioni scolastiche, lo sviluppo professione del singolo diventi una risorsa per l’organizzazione e per il successo formativo degli studenti.
La metafora dei gradini
È utile ricordare, a questo proposito, Gianni Rodari quando, riferendosi al ruolo educativo e formativo dell’insegnante, dice “Noi siamo i gradini della scala che il bambino sale. Non c’è niente di mistico in questo. Di fatto siamo quei gradini anche quando non ce ne accorgiamo: allora, s’intende siamo gradini sconnessi, pericolanti, pericolosi”[4].
Perché i gradini siano solidi ci vuole allora una buona formazione iniziale e una formazione professionale continua e consapevole; la scala, a sua volta, deve poggiare su un pavimento altrettanto solido, cioè su una buona organizzazione.
Non entriamo nel merito della formazione iniziale che ha assunto negli ultimi anni aspetti variegati, a volte anche approssimativi, ma proviamo a ragionare su quale formazione in servizio può oggi ridare slancio ad una professione in crisi di identità e di legittimazione.
Come farsi carico della formazione continua
Quando si parla di formazione continua in servizio, il punto di vista da adottare dovrebbe essere quello dello “sviluppo professionale”, non riconducibile soltanto al singolo ma situato nel contesto organizzativo che ne favorisce il miglioramento. Non si può, infatti, immaginare che, all’interno della professione docente, la cura del proprio sapere professionale, l’attenzione allo sviluppo delle conoscenze disciplinari debbano essere imposte dall’esterno come un dovere e che non siano, invece, vissute e percepite come un bisogno. Ma lo sviluppo professionale acquista valore se è legato alla dimensione della riflessività e all’attenzione allo sviluppo dell’organizzazione. Dal momento che la dimensione individuale della professionalità si realizza nei contesti organizzativi delle singole istituzioni scolastiche, diventa importante che ciascuna scuola se ne faccia carico. Ne deriva che la formazione in servizio dei propri docenti deve rappresentare una sfida progettuale che consenta effettivamente l’esercizio dell’autonomia di studio e di ricerca, così come previsto dallo stesso Regolamento dell’autonomia (DPR 275/1999).
Le posture professionali
In questa direzione appaiono di grande attualità le indicazioni che venivano suggerite in un importante documento di lavoro realizzato nel 2018 dall’allora Direzione generale per il personale scolastico[5]. Alcuni concetti sono statipoi ripresi anche nelle Linee pedagogiche per il sistema integrato 0-6[6] proprio laddove vengono definite le dimensioni della professionalità degli educatori e degli insegnanti, le cosiddette “posture” professionali: adulto accogliente, adulto incoraggiante, adulto “regista”, adulto responsabile, adulto partecipe. Nel documento si sottolinea che tale professionalità si costruisce attraverso momenti di formazione comune continua e ricorrente tra operatori dei due segmenti (nido e infanzia), per condividere linguaggi, riflessioni sui processi e sui contesti, documentazione e autovalutazione. Questa idea di continuità nella formazione può essere legittimamente estesa anche ad altri ordini di scuola. Si pensi agli Istituti comprensivi o alla riqualificazione dell’orientamento, dalla secondaria di primo grado a quella di secondo grado.
Le indicazioni a livello europeo
Anche i documenti europei vanno in questa stessa direzione, ad esempio nelle Raccomandazioni 2019[7] sempre a proposito della scuola dell’infanzia, che costituisce il primo livello di scolarizzazione, si sottolinea che “la professionalizzazione del personale è fondamentale, in quanto livelli più elevati di preparazione presentano una correlazione positiva con una migliore qualità dei servizi, interazioni tra professionisti e minori di più alta qualità e quindi migliori risultati in termini di sviluppo per i bambini”.
Pertanto si raccomanda agli stati membri di “migliorare l’istruzione iniziale e lo ‘sviluppo professionale continuo’ per tenere pienamente conto delle esigenze di benessere, apprendimento e sviluppo dei bambini, dei pertinenti sviluppi della società, della parità di genere e della piena comprensione dei diritti del bambino; (….) mirare a dotare il personale delle competenze necessarie per rispondere ai bisogni individuali dei bambini provenienti da contesti differenti e con bisogni educativi speciali, comprese le disabilità, preparando il personale a gestire gruppi diversificati”.
Una formazione per migliorare gli apprendimenti degli studenti
Ci sono quindi le condizioni di scenario in cui vanno inseriti i percorsi formativi individuali che devono essere orientati allo scambio, all’osservazione e alla documentazione. La formazione continua è strettamente legata all’organizzazione di una scuola che apprende e che migliora, non solo in senso generale, ma soprattutto guardando ai curricoli degli studenti e agli apprendimenti che ne conseguono.
Quello che qui viene proposto è un approccio “riflessivo”[8] perché consente:
- di mettere in discussione le proprie strategie e le metodologie scelte;
- di rafforzare gli approcci teorici;
- di smontare i pregiudizi professionali e le convinzioni;
- di attuare un circolo virtuoso di controllo, valutazione e sviluppo dell’esperienza.
In questa direzione, a fronte (o accanto) alla ormai troppo diffusa formazione a distanza, spesso in modalità asincrona, bisogna rivitalizzare la formazione in presenza, dove la condivisione, lo scambio degli “sguardi”, l’attenzione e la corporeità costituiscono un importante valore aggiunto. Quest’approccio che abbiamo rivendicato per l’apprendimento dei bambini e degli adolescenti, vale anche per gli adulti che nel lavorare e studiare “fianco a fianco” imparano a negoziare significati del proprio agire professionale.
L’attenzione alla presenza e al contatto non esclude che alcune fasi della formazione possano essere organizzate a distanza, privilegiando la modalità sincrona perché è quella che, comunque, garantisce l’interazione.
I presupposti per una formazione situata
La formazione continua dei docenti deve essere pensata, quindi, come una “formazione situata” che risponda alle prospettive di miglioramento che ciascuna scuola si dà a partire dall’analisi dei bisogni degli apprendenti, dai risultati, dalle risorse professionali e organizzative disponibili.
Si possono pertanto individuare possibili azioni formative da mettere in atto, per esempio:
- lo studio condiviso nei dipartimenti disciplinari su compiti e con l’uso di materiali validati sul versante scientifico e che presentano percorsi didattici innovativi (es. progetti INDIRE);
- la costituzione di Reti di scopo per azioni formative specifiche disciplinari o metodologiche (questo consente di ottimizzare le risorse delle varie scuole);
- i prestiti professionali (per esempio, negli istituti comprensivi) come occasione per trasferire conoscenze e metodologie di lavoro fra docenti di ordini di scuola diversi;
- attività di “osservazione reciproca” (peer to peer) come leva per la riflessività;
- attività di “visiting” fra docenti delle scuole dello stesso Ambito o fra Reti di scuole per specifici progetti o in situazione di scambio fra docenti in progetti europei (ERASMUS);
- attività di ricerca guidata anche in collaborazione con Centri di ricerca o Università;
- collaborazione con associazioni professionali e disciplinariste, nell’ottica della valorizzazione delle risorse del territorio;
- documentazione individuale e/o di gruppo sulle esperienze di formazione e di ricerca attraverso la redazione dell’autobiografia di apprendimento professionale;
- costruzione di “repertori” di azioni didattiche innovative disciplinari o trasversali che possono essere una risorsa per tutti i docenti della scuola (si pensi anche ai neo-assunti ed a neo-arrivati) e che concorrono a costruire la “memoria professionale” della scuola.
L’importanza della conoscenza
Infine, ma non di poca rilevanza, c’è la consapevolezza di quanto sia importante la “conoscenza”. In uno scenario globale in cui il controllo della conoscenza rischia di sfuggire di mano agli umani, la sfida per i sistemi di istruzione, e quindi per ciascun insegnante, èdi insegnare cosa è conoscere (Simone Weil). Questo non si può sicuramente realizzare se il “sapere” è limitato o se è “cristallizzato” perché rischierebbe di sminuire l’autorevolezza del docente; né tanto meno se si punta su un incremento acritico e strumentale di conoscenze tecniche legate solo all’uso di dispositivi innovativi.
[1] Education at a Glance 2024. OECD Indicators. 10 settembre 2024.
[2] Rapporto Draghi/6. Migliorare le condizioni di lavoro degli insegnanti e riconoscerne lo sviluppo professionale.
[3] Scuola di alta formazione dell’istruzione. Atti.
[4] Citato in Vanessa Roghi, Il passero coraggioso, Laterza, 2022, pag. 38.
[5] MIUR-Direzione generale per il personale scolastico, Sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio – Documenti di lavoro, 2018.
[6] MIUR, Documento base Linee pedagogiche per il sistema integrato “zerosei”, Marzo 2021. Vedi anche: G. Cerini, M. Spinosi (a cura di), Le linee pedagogiche per il sistema integrato 0-6, Tecnodid, 2021.
[7] Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 22 maggio 2019 relativa ai sistemi di educazione e cura di alta qualità della prima infanzia 2019/C 189/02.
[8] Si veda a questo proposito anche l’articolo di Rita La Tona in https://www.scuola7.it/2023/336/formazione-e-miglioramento-delle-scuole/