Il 18 settembre del 1988, 384 Rettori provenienti da Università di tutta Europa si riunirono per firmare con un rito solenne la Magna Charta Universitatum Europaearum. Il documento (oggetto di successive modifiche e attualmente sottoscritto da quasi 900 Atenei di tutto il mondo) rivendica per le istituzioni universitarie il compito di trasmettere le conoscenze alle nuove generazioni, nella consapevolezza che da esse dipende l’avvenire culturale, sociale ed economico dell’intera società e che l’università deve assicurare alle generazioni future un’educazione e una formazione che consenta di contribuire al rispetto dei grandi equilibri dell’ambiente naturale e della vita.
La Magna Charta Universitatum Europaeum
Tra i principi fondamentali la Charta proclama il dialogo permanente e il rifiuto dell’intolleranza: condizioni di base che consentono all’Università di divenire il luogo privilegiato dell’incontro fra professori e studenti: i primi con il compito di trasmettere il sapere e i mezzi per farlo progredire attraverso la ricerca e l’innovazione; gli studenti con la responsabilità e il diritto di arricchirsene.
In occasione delle celebrazioni organizzate dall’Università di Bologna per festeggiare il 25° anniversario del documento, il 20 settembre 2013 Umberto Eco tenne nell’Aula Magna Santa Lucia un discorso di commemorazione dell’evento, in cui sottolineava la rilevanza della funzione che le istituzioni di formazione tradizionali continuano a svolgere contro coloro che profetizzavano come imminente il momento in cui il web avrebbe soppiantato le università.
Storicamente crogiuolo di un’identità internazionale, e artefici dei capitoli più creativi della cultura occidentale, gli Atenei restano, nel vorticoso tumultuare del mondo odierno, fra i pochi luoghi in cui il silenzio rende possibile un confronto razionale fra diverse visioni del mondo, la ricerca di idee migliori per un mondo migliore, il rafforzamento e la difesa di valori fondativi universali, l’inventariazione, conservazione e filtraggio delle memorie comuni. Ma soprattutto, concludeva Eco, in un mondo che diventa sempre più virtuale, “le università sono fra i pochi luoghi in cui le persone si incontrano ancora faccia a faccia, in cui giovani e studiosi possono capire quanto il progresso del sapere abbia bisogno di identità umane reali, e non virtuali.”
Il discorso di Cagliari
Delle parole finali della memorabile lectio magistralis di Umberto Eco, è partito il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, citandole letteralmente, nel discorso con cui lo scorso 16 settembre ha ufficialmente inaugurato l’anno scolastico 2024/2025 a Cagliari, presso il Convitto nazionale Vittorio Emanuele II.
Gli interventi pubblici del Presidente della Repubblica sono sempre di alto spessore morale e politico. Anche in questa occasione, il suo saluto ha toccato temi di grande rilevanza per l’istruzione e la società italiana, ha richiamato alcuni valori fondanti della nostra Carta Costituzionale (libertà, democrazia, uguaglianza e solidarietà, innanzitutto), passando in rassegna i motivi per cui la funzione della scuola sia oggi più che mai rilevante: è “Un organismo che vive nella società e concorre al suo progresso”.
Mattarella nel suo cursus honorum vanta anche una breve ma significativa esperienza da ministro della Pubblica Istruzione. A lui si attribuisce il merito della legge 5 giugno 1990, n. 148, che dava l’addio alla figura del maestro unico nella scuola primaria avviando una delle più profonde trasformazioni che la scuola italiana abbia mai conosciuto. È grazie a lui che nel 1990 fu realizzata la prima conferenza nazionale della scuola.
Nel suo discorso a Cagliari ha ribadito che «l’impegno educativo rappresenta un pilastro fondamentale della vita della Repubblica»: per le conoscenze che trasmette e per i valori preziosi (fiducia, responsabilità, dialogo, accoglienza, rispetto) che preparano «a essere cittadini consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri».
Le nuove tecnologie
Il Capo dello Stato ha anche sottolineato che l’impetuoso cambiamento globale che ci costringe di continuo ed in ogni ambito ad aggiornare le nostre conoscenze e le nostre competenze, non deve incutere paura; alla scuola tocca il compito di inserirsi efficacemente nell’innovazione e nel cambiamento rendendo i ragazzi partecipi e protagonisti.
Le tecnologie digitali, e in particolare lo smartphone, non devono infatti creare una barriera di incomunicabilità intergenerazionale, né devono portare i ragazzi a rinchiudersi solipsisticamente in un mondo dominato dalla tecnologia in cui talvolta rischiano di trovarsi prigionieri.
Libero da ogni preconcetto antimodernista e misoneista, ma anche estraneo a tentazioni proibizioniste, il Presidente della Repubblica ha evidenziato che «il nodo della questione non riguarda le nuove scoperte e le nuove intuizioni, ma l’uso – benefico o fraudolento – che se ne intende fare» e ha affidato al sistema educativo il compito di aiutare a governare gli inarrestabili processi di cambiamento e di orientarli al bene comune.
Sembra qui trasparire forse una un’implicita presa di distanza dalla circolare 11 luglio 2024, prot. n. 5274, con cui il MIM ha disposto il divieto di utilizzo in classe del telefono cellulare, anche a fini educativi e didattici, per tutti gli alunni dalla scuola dell’infanzia fino alla secondaria di primo grado, fatti salvi i casi in cui sia previsto dal PEI o dal PdP.
L’azione di contrasto al bullismo e al cyberbullismo
All’interno della cerimonia inaugurale, vi è stata anche la presentazione del film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, ispirato alla storia vera del quindicenne Andrea Spezzacatena. Il 20 novembre del 2012 Andrea si tolse la vita dopo aver subito numerosi atti di bullismo e cyberbullismo da parte dei compagni di scuola. Ha fatto seguito un dialogo tra la madre del ragazzo, Teresa Manes, e il giovane attore che impersona la figura del figlio.
Il Presidente ne ha tratto spunto per ricordare che, purtroppo, nonostante i tanti sforzi (si veda da ultima la legge 17 maggio 2024, n. 70, contenenti “Disposizioni e delega al Governo in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo”), bullismo e cyberbullismo sono tuttora diffusi tra i nostri giovani. L’invito è stato quello non solo di rinnovare tutte le azioni volte a reprimerle, ma anzitutto di impegnarsi sul fronte della prevenzione «incidendo sulle cause profonde – frustrazione, mancanza di modelli positivi, paura del futuro – che provocano momenti così gravi e inaccettabili».
Il disagio giovanile
Il Presidente ha, quindi, allargato lo sguardo per abbracciare il vasto tema del disagio giovanile, che ha definito «una grande e urgente questione nazionale». Per contrastarlo – ha ammonito – sono necessari un grande impegno e l’utilizzo di tutti i mezzi a disposizione, senza cedimenti a diseducativi atteggiamenti lassisti e indulgenti.
Anche in questo caso, prendendo le distanze da un inutile sfoggio muscolare, Mattarella ha però esortato a non illudersi che laquestione si possa risolvere in «un’ottica esclusivamente securitaria»: bisogna infatti «rompere il muro delle solitudini e del silenzio. Andare incontro. Ascoltare. Offrire possibilità. Costruire occasioni di dialogo, di socialità, di crescita insieme. Senza dialogo, senza umanità, senza empatia, non ci sarà progresso tecnologico che possa esaudire il desiderio di una vita piena, ricca di relazioni, di affetti, di emozioni, di soddisfazioni».
A scuola di convivenza
La necessità del senso della comunità è uno dei punti fermi della concezione politica del Presidente Mattarella, che spesso nei suoi atti di indirizzo pubblici rinvia ai principi del solidarismo proposti dalla nostra Costituzione, quali elementi orientanti nelle scelte politiche e sociali da compiere. Come ebbe a dire nel discorso di fine anno del 2018, sentirsi ‘comunità’ significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri; ‘pensarsi’ dentro un futuro comune, da costruire insieme; assumersi responsabilità; essere rispettosi degli altri; essere consapevoli degli elementi che ci uniscono e, nel battersi per le proprie idee, rifiutare l’astio, l’insulto, l’intolleranza, che creano ostilità e timore.
Diversamente dall’individuo, monade tra le monadi, isolata e indipendente, la persona, per il cui pieno sviluppo l’art. 3 della Costituzione impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale, non può trovare compimento solo in se stessa, ma si caratterizza per il suo essere «con» e «per» gli altri.
Anche per questo aspetto, il sistema educativo ha un compito fondamentale. La scuola, in cui si apprendono valori preziosi quali la fiducia, la responsabilità, il dialogo, l’accoglienza, il rispetto, sviluppa infatti il senso di comunità e fa sperimentare la convivenza.
A scuola di inclusione
La scuola è per tutti e di tutti, ma perché essa sia tale, non va mai abbandonata la costante opera di rimozione degli ostacoli, di natura economica, sociale e culturale, che impediscono ai giovani di frequentarla o di sfruttare pienamente le opportunità che essa offre. Le azioni per il contenimento e il contrasto della dispersione scolastica, già intraprese da molti anni, devono continuare incessanti, nonostante le difficoltà.
La lotta per l’integrazione riguarda vari e diversi fronti: l’inclusione dei portatori di disabilità, l’integrazione degli immigrati, l’abbattimento dei divari territoriali, il superamento degli stereotipi di genere, la coesione territoriale.
La scuola va però dotata delle strutture necessarie, che dovrebbero comprendere, oltre agli strumenti della didattica classica, anche spazi attrezzati per avvicinarsi alla musica, alle arti, allo sport. I fondi europei del PNRR, ha ricordato il capo dello Stato, che «già ci aiutano a incrementare la sicurezza degli edifici scolastici», rappresentano un’occasione che va utilizzata al meglio, soprattutto per quelle istituzioni scolastiche che sono ancora prive di queste opportunità e per le situazioni di particolare fragilità.
Gli stipendi degli insegnati non sono «all’altezza»
Lo scorso 10 settembre, a Parigi, l’OCSE ha presentato alla stampa i dati raccolti per il suo rapporto annuale sui sistemi educativi dei 38 Paesi membri nel mondo.
L’Italia è sotto la media dei paesi Ocse per la spesa pubblica destinata all’istruzione (4%) rispetto al 4,9% della media Ocse e i salari degli insegnanti sono significativamente inferiori a gran parte degli altri Paesi. Inoltre i loro stipendi appaiono inferiori a quelli degli altri lavoratori con pari livello di istruzione.
Qui di seguito riportiamo la Figura D3.3 del Rapporto OCSE 2024, Education at a Glance 2024: OECD Indicators[1], che analizza, insieme ad altri indicatori dei sistemi di istruzione, anche la situazione stipendiali dei docenti della scuola secondaria inferiore nelle diverse fasi della loro carriera e i guadagni dei lavoratori con un livello di istruzione simile (2023).
Figura D3.3. Lower secondary teachers’ statutory salaries at different stages of their career relative to earnings of similarly educated workers (2023)
La disparità, immediatamente segnalata da alcune forze politiche, non poteva non trovare riflesso nelle parole di Mattarella che, nel sottolineare come le retribuzioni degli insegnanti non siano spesso all’altezza di altri Paesi europei, ha indicato nel divario retributivo uno tra i problemi ancora irrisolti della scuola italiana da affrontare concretamente: i docenti «hanno e devono sempre avere la consapevolezza e l’orgoglio di ricoprire un ruolo prezioso per la nostra società: quello di formare ed educare i cittadini che crescono. Dalla loro opera, spesso silenziosa e non conosciuta, dipende in gran parte il futuro della nostra Italia».
Il “patto educativo” tra scuola e famiglie
La scuola «non è una bolla, un recinto, un mondo a parte», bensì «un organismo che vive nella società e concorre al suo progresso». Eppure, ha concluso il Presidente della Repubblica, «la scuola può molto, ma non può tutto».
Per tale motivo, il patto educativo tra famiglie e insegnanti, che spesso appare incrinato (è significativo che la Legge 4 marzo 2024, n. 25, abbia introdotto nel nostro sistema penale alcune disposizioni specificamente finalizzate a contrastare il crescente fenomeno degli atti di aggressione nei confronti del personale della scuola), va rinsaldato, se non rifondato: c’è bisogno della partecipazione vivace, attiva e positiva, delle famiglie. E della pazienza e fiducia di tutti.
Il monito del Capo dello Stato è rivolto però soprattutto ai genitori che sono chiamati a seguire il processo di crescita dei propri figli stando tuttavia attenti a non trasferire le loro ansie di successo sui ragazzi. «Devono vedere nei docenti non una controparte ma interlocutori che aiutano nella formazione, evitando di trasmettere ai ragazzi un senso di indifferenza o addirittura di superiorità rispetto alle regole che ne distruggerebbe il futuro. Qualche insuccesso, i richiami aiutano a crescere. Non si dà una mano ai ragazzi se si imposta una dinamica di scontro con la scuola o di sfrenata competizione tra gli stessi studenti».
[1] L’annuale Education at a Glance dell’OCSE esamina chi partecipa all’istruzione, quanto viene speso, come funzionano i sistemi educativi e i risultati ottenuti. Quest’ultimo include indicatori su un’ampia gamma di risultati, dai confronti delle prestazioni degli studenti in aree tematiche chiave all’impatto dell’istruzione sui guadagni e sulle possibilità di impiego degli adulti.