La scuola di oggi è costantemente impegnata nella gestione di due aspetti di complessità che derivano dai cambiamenti che hanno interessato la società negli ultimi 30 anni: il cambiamento emotivo e comportamentale dei bambini e, parallelamente, il conseguente cambiamento degli aspetti della professionalità docente, entrambi in costante e rapida evoluzione. Questa situazione produce negli adulti come nei bambini notevoli difficoltà di adattamento, tant’è che le modalità di esercizio della professionalità docente del secondo dopoguerra sono completamente messe in crisi con la conseguente necessità di rivedere metodi e strategie di lavoro.
L’immagine tradizionale del docente
Tradizionalmente, il profilo professionale del docente nella scuola italiana deriva da una tradizione in cui la competenza si identificava con il possesso delle conoscenze e la formazione si identificava con la capacità dell’insegnante di trasmettere il bagaglio disciplinare acquisito nel corso degli anni. Questo spiega perché la lezione frontale era – e purtroppo in molti casi resta – lo strumento metodologico e didattico più utilizzato, sorretto dall’utilizzo dei libri di testo come sussidio didattico per eccellenza.
Agli inizi del XXI secolo è stato innegabile, però, che la tradizionale offerta formativa incentrata su lezioni frontali e libri di testo, aveva fatto il suo tempo: lo sviluppo di nuove tecnologie, di strumenti mediatici e di altri strumenti didattici innovativi ha richiesto di modificare il modello scolastico tradizionale.
La scuola dell’autonomia e la sfida innovativa
I primi sintomi di un cambiamento radicale si sono manifestati in parallelo con l’adozione di un nuovo modello di scuola, quella dell’autonomia, che chiedeva agli insegnanti di essere coevi con il loro tempo mentre gli alunni prendevano sempre più velocemente dimestichezza con le espressioni della complessità. Il libro di testo, e in generale tutte le forme tradizionali della comunicazione, hanno mostrato la loro insufficienza strumentale diventando gradualmente meno apprezzate e non più sufficienti a tradurre una realtà che in brevissimo tempo aveva assunto delle nuove dimensioni.
In realtà, il mettere mano ad una profonda revisione dei “Programmi scolastici” nel primo decennio del XXI secolo rappresentò solo l’avvio di una pratica doverosa e comune a tutti i sistemi educativi che preparavano la scuola a diventare il volano per l’apprendimento permanente. I curricoli, destinati a diventare comunque obsoleti nel giro di pochi anni, si preparavano ad accogliere i nuovi alfabeti capaci di incidere sulla realtà complessa, prefigurando nuove competenze disciplinari e trasversali. E questo postulava anche una diversa professionalità da parte degli insegnanti.
Il percorso del cambiamento nei documenti ministeriali
E poiché la scuola è il luogo che deve servire alla crescita delle nuove generazioni, la prima richiesta di innovazione della professionalità docente è stata quella di cercare elementi di continuità e discontinuità fra la professione passata e le richieste del mondo nuovo. Tutto questo ha sicuramente determinato nei docenti, abituati ad abitare un’istituzione tendenzialmente e tradizionalmente autoreferenziale e conservatrice, una prima crisi d’identità.
Dalle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati del 2004 (Moratti), alle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione del 2007 (Fioroni) fino alle Indicazioni Nazionali del 2012 (Profumo) per la scuola di base, integrate dal Documento Indicazioni Nazionali e nuovi scenari nel 2018, è stata progressivamente legittimata la definizione di percorsi di insegnamento apprendimento orientati all’acquisizione di competenze.
Una professionalità liquida
Tutto questo ha contribuito a ridisegnare progressivamente l’identità della professione non senza evidenziare da una parte forti resistenze alle innovazioni e dall’altra difficoltà oggettive a veder valorizzato il reale lavoro d’aula. Di fronte a questo orizzonte caratterizzato dall’incertezza e dalla “liquidità” (Bauman), oggi la scuola non riesce a trovare una bussola per il cambiamento e si muove tra contesti provvisori spesso ingannevoli, che connotano la fase della ricerca pedagogica italiana. Che si debba cambiare è fuori discussione, ma il cambiamento non deve e non può equivalere ad un passivo recupero della tradizione e di una identità scolastica che apparteneva ad un mondo che non c’è più, come da qualche parte, forse, si sta proponendo. Questo ritorno al passato, recuperando le certezze ma ignorando le richieste del presente, a parere di chi scrive, potrebbe essere la prova di una reale incapacità di essere attuale e di costruire un futuro migliore.
Il profilo di docenza per una scuola della contemporaneità dovrebbe essere fondato su dimensioni e coordinate globali. La crisi della scuola è, di fatto, un problema generale, così come è un problema di tutti i Paesi la formazione e il reclutamento di insegnanti all’altezza di un compito sempre più arduo.
La trasversalità dei saperi disciplinari
La questione che oggi si pone con forte evidenza è quella di provvedere a fondare una nuova alfabetizzazione, che riconosca la centralità della cultura, ma in un’ottica trasversale e interdisciplinare. In questo senso, la professionalità docente non può limitarsi ad un generico per quanto sicuro possesso delle conoscenze-competenze disciplinari, ma deve essere capace in primis di garantire il lavoro collegiale, per fare dialogare i saperi tra loro definendone gli aspetti epistemologici, gli unici in grado di restituire l’unitarietà del sapere. La dimensione del lavoro di squadra, il ricorso alla collegialità sono le basi per le “buone pratiche” sperimentate in quasi tutte le scuole del mondo. La nuova professionalità, a cui già le Indicazioni del Ministro Profumo, ispirate al pensiero complesso di Edgar Morin, facevano riferimento, è dunque indispensabile per aiutare le nuove generazioni ad affrontare le sfide della contemporaneità.
La continuità orizzontale
Un’altra esigenza per rinnovare il modello scolastico adeguandolo alle esigenze formative attuali è un dialogo costante con le famiglie. Ma questo, specie recentemente, ha evidenziato che la corresponsabilità educativa, che dovrebbe caratterizzare il rapporto scuola- famiglia, spesso si traduce in conflittualità.
Se da un lato il ruolo educativo della famiglia appare affievolito dalle deleghe sempre più ampie dei genitori, anche in ambiti sostanziali per lo sviluppo socio-psico affettivo, dall’altro molto spesso le scelte delle scuole non appaiono né condivise né comprese e finiscono per essere delegittimate.
Questo ha determinato, nel tempo, l’accentuarsi di una distanza tra le scelte della scuola, percepite come specialistiche e tecniche, e le istanze educative delle famiglie. In questa sorta di deserto dialogico fra i due principali responsabili della crescita delle nuove generazioni, i rapporti rischiano di inaridirsi in una costante perdita di autorevolezza delle figure adulte di riferimento per i giovani.
Orientare al futuro per superare i conflitti
Il modello pedagogico scolastico a suo modo ha cercato di correre ai ripari, attraverso la proposta di un insegnante orientatore, ma questo approccio, per potere funzionare, avrebbe bisogno di una nuova etica a supporto, in modo da orientare con consapevolezza e comunione di orizzonti.
Di fronte all’esaurirsi della spinta partecipativa degli anni ’70, appare in forte difficoltà la definizione di una nuova e reale sinergia tra le due istituzioni educative, che la Costituzione Italiana del ’48 aveva ipotizzato come perno dello sviluppo del Paese attraverso l’educazione delle nuove generazioni.
In sostanza ciò che avrebbe dovuto alimentare un nuovo impegno educativo in seguito all’avvicinamento fra il mondo della famiglia e quello delle istituzioni, di fatto ha segnato un tracollo del dialogo al punto che oggi scuola e famiglia rappresentano spesso universi separati, quasi incapaci di trovare ragionevoli accordi per un’educazione unitaria della personalità degli allievi. In questo modo il destino formativo delle nuove generazioni risulta compromesso perché non ci sono quelle unità di intenti che dovrebbero favorirlo.
Il nuovo profilo professionale del docente
Inclusione e personalizzazione restano, non senza difficoltà attuative, la cifra distintiva dell’identità del nuovo modello scolastico, che vuole soddisfare le esigenze di tutti e di ciascuno.
In un mondo complesso, in cui la dicotomia tra scuola e famiglia è fortemente in crisi, gran parte dell’attenzione si è concentrata sulla specializzazione strumentale della professionalità docente. Ma in assenza di un’anima capace di spiegare le ragioni di un aggiornamento così profondo del ruolo docente, è evidente che il modello disegnato dalla Costituzione e che auspicava la coniugazione fra le due agenzie formative, rischia di concentrarsi sugli aspetti tecnici dell’agire professionale – usare gli strumenti didattici innovativi – invece di puntare ad un nuovo modello educativo, capace di insegnare grazie agli strumenti didattici innovativi.
Le nuove generazioni di insegnanti e le stesse scelte operate dal Legislatore relativamente al mondo dei concorsi scolastici, ci dicono ormai che le competenze dominanti sono diventate quelle didattico-metodologiche e tecnologiche, lasciando intendere, agli occhi dei meno attenti, la subordinazione delle competenze psicologiche, antropologiche e sociologiche rispetto alle prime.
La scuola: da ambiente di apprendimento a comunità di vita e di esperienza
Le Indicazioni del 2012, relative al primo ciclo di istruzione, affermavano l’importanza di una istituzione vista come comunità di vita e di esperienza, secondo il classico modello di Dewey. Certo, la coniugazione della scuola come ambiente di apprendimento e come comunità di vita resta un punto di riferimento pedagogico, ma non sempre è tradotto coerentemente nelle pratiche didattiche.
Se la scuola viene concepita, come troppo spesso accade, solo quale ambiente di apprendimento, la competitività e la selettività rischiano di prendere il sopravvento. Se, invece, riuscissimo a costruire una scuola intesa come comunità di vita e di esperienza, potremmo invertire questa tendenza.
Oggi la crisi della scuola corrisponde al ritorno di individualismi, di concetti come competizione e selezione, che poco hanno a che vedere con quel modello di scuola comunitaria e democratica, che il nostro Paese dal secondo dopoguerra ha tentato di costruire.
Quello che, a parere di chi scrive, potrà almeno in parte contribuire al rinnovamento del modello scolastico è lo sviluppo di una nuova professionalità docente, per la quale è sicuramente necessario un nuovo modo di pensare l’educazione. Per realizzarlo, occorrono riforme e investimenti anche di carattere economico che puntino alla rivalutazione del modello educativo e allo sviluppo di una figura d’insegnante “mentore”, dall’etica formativa di alto spessore.