L’esperienza traumatica della pandemia ha consentito alle autonomie scolastiche di sperimentare l’importanza di essere dentro una comunità più larga, che mette insieme risorse umane e materiali con un obiettivo comune: aumentare la coesione sociale e l’equità di un contesto territoriale per abbattere le povertà educative.
La pratica improvvisata e/o la mancanza di una storia collaborativa interistituzionale sono state spesso alla base delle maggiori difficoltà, incontrate nella efficace realizzazione dei progetti dello stesso PNRR. Co-programmazione e co-progettazione si sono rivelate un patrimonio lessicale dichiarativo nei PTOF più che un costrutto reale nella direzione dell’apprendimento permanente.
Una comunità che apprende
La complessità dei problemi da affrontare ha, tuttavia, fatto crescere l’idea che una comunità educante ha bisogno di essere comunità che apprende, dal più piccolo dei suoi cittadini fino all’adulto e all’anziano. La scuola, nella governance di questo processo, può (e deve) assumere un ruolo fondamentale, rispetto all’offerta formativa, nella trasformazione delle collaborazioni “occasionali” in strumenti continuativi e strutturali. Il successo formativo degli studenti ha infatti bisogno dell’impegno convinto di tutti gli attori istituzionali e sociali come gli enti del terzo settore, che operano nel territorio di riferimento.
Come utilizzare queste esperienze, per diventare comunità in grado di apprendere e praticare azioni di miglioramento della coesione sociale attraverso il contrasto alle povertà educative è uno degli obiettivi dei Patti Educativi di Comunità.
Il Documento di sintesi sui Patti educativi di Comunità[1], licenziato dalla Rete EducaAzioni, può essere un utile riferimento per le riflessioni dei collegi dei docenti sull’esame dei propri PTOF, dal punto di vista dei passi fatti verso la realizzazione di un sistema educativo integrato, auspicabile fino a qualche decennio fa, indispensabile oggi.
Le brevi considerazioni che seguono intendono evidenziare i punti più rilevanti del valore aggiunto dei Patti educativi.
Oltre le Reti orizzontali: la sfida dei Patti educativi di comunità
Non c’è scuola che non abbia fatto esperienza della necessità e dell’efficacia della Rete tra istituzioni scolastiche, una consuetudine implementata anche dal fatto che la rete è condizione d’accesso ormai per tutta la progettazione a finanziamento UE, nazionale e regionale. Cosa aggiunge, allora, alla pratica di rete la stipula di un Patto?
L’accordo di rete, ovvero la messa in comune di risorse umane, strumentali e finanziarie per il raggiungimento di un obiettivo dichiarato, definisce compiti e ruoli specifici per ciascun soggetto in ragione dell’appartenenza all’istituzione scuola e alla sua mission. La rete orizzontale rappresenta, dunque, un particolare istituto giuridico, proprio ai sensi dell’art. 7 del DPR del regolamento dell’autonomia scolastica (DPR 275/1999), che impegna alla collaborazione in funzione del risultato.
Il Patto educativo di comunità attua un importante passaggio: la collaborazione tra istituzioni pubbliche, enti locali, università, enti del terzo settore, privato sociale invoca il richiamo a principi costituzionali fondativi della nostra stessa democrazia:
- il principio di sussidiarietà orizzontale, articolo 118, comma 4;
- il principio di solidarietà sociale, economica e politica, articolo 2;
- il principio della comunanza di interessi, articolo 43 e della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata, articolo 45.
Se la Pubblica Amministrazione può contare su una legislazione consolidata, anche tutto il cosiddetto Terzo Settore può oggi essere un interlocutore affidabile, dal momento che si è dotato di un Codice specifico[2] con il decreto legislativo n. 117/2017, che all’art. 55 norma le collaborazioni con gli enti pubblici.
Si tratta, allora, di superare la mera stipula di convenzioni tra enti, che pure hanno avuto un ruolo importantissimo fino ad oggi, per sedersi con pari dignità intorno ad un tavolo e sottoscrivere un Patto che sia impegno etico a garantire tutti i diritti di cittadinanza in quello specifico territorio.
L’equità come obiettivo della comunità intera
Il contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica all’interno di un Patto educativo è solo un esempio di come si possono credibilmente raggiungere e consolidare gli obiettivi previsti dall’Agenda ONU 2030 o da Europa 2030 con Education and Training Monitor altrimenti fuori dalla portata di ogni singola istituzione scolastica.
Un territorio cresce complessivamente nelle conoscenze e nelle competenze solo se ciascuno è messo nelle condizioni di apprendere. È dunque responsabilità dell’intera comunità educante far crescere e armonizzare tutti i percorsi di apprendimento formale, non formale e informale attivi nel territorio, creare punti di accesso diffusi alle informazioni e all’orientamento.
Per fare tutto questo occorre un sistema realmente integrato.
Spazi e tempi dell’apprendimento si possono arricchire di opportunità finora esclusivamente a carico delle singole famiglie o delle singole istituzioni scolastiche senza tener conto delle esperienze e delle risorse già presenti. Si tratta di far crescere la consapevolezza che ci sono beni comuni fruibili, spesso sottoutilizzati o mal utilizzati, che possono diventare patrimonio non solo per l’apprendimento, ma anche per la socializzazione e lo sviluppo culturale.
Il problema della povertà educativa degli adulti
Abbiamo più volte ragionato sulla connessione tra povertà del contesto socio culturale di appartenenza e povertà educativa del singolo studente[3], insistendo sulla difficoltà a rispondere a bisogni radicati in storie (note) di marginalità sociale semplicemente a partire dalle risorse della scuola. L’intervento educativo sullo studente diventa efficace, se è contestualmente integrato da opportunità di crescita nelle competenze del suo stesso contesto.
Eppure, senza riferirci in modo particolare agli adulti migranti, sappiamo che agli adulti (18-65 anni) in Italia vengono offerte occasioni di apprendimento:
- l’8,7% frequenta percorsi di apprendimento formale;
- il 48,8% utilizza percorsi di apprendimento non formale o informale.
Questi dati, forniti dall’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche), contrastano fortemente sia con il numero esiguo dei Centri Provinciali di Istruzione degli Adulti (130 in tutta Italia) sia con la scarsa rilevanza delle azioni di contrasto all’analfabetismo funzionale, pur alla base della mancata cittadinanza attiva, della coesione sociale e della partecipazione politica.
Le ultime indagini PIAAC (Survey of Adult Skills) dell’OCSE ci hanno detto che le competenze alfabetiche, di numeracy e di problem solving degli italiani adulti sono a livelli notevolmente inferiori rispetto alla media dei Paesi partecipanti, tanto che una ricerca del 2022 attesta alla percentuale del 26% l’analfabetismo funzionale degli italiani. È un segnale importante per quella che intende essere la “società della conoscenza”, che è in piena transizione digitale, che indica nell’apprendimento permanente e nella riduzione del gap generazionale (giovani-anziani) e di genere (uomini – donne) gli obiettiv prioritari delle politiche di istruzione e formazione.
I punti di forza dei Patti educativi di comunità
L’intervento contestuale e non separato sulle povertà educative offre l’opportunità alle scuole di arricchire la propria offerta formativa, dando corpo e sostanza a quella che nel PTOF si chiama co-progettazione, assicurandone il legame con una reale co-programmazione interistituzionale a monte. E ciò significa per ciascun soggetto sottoscrittore (istituzione scolastica, ente locale, soggetto del Terzo settore, privato, impresa sociale) poter contare su una disponibilità effettiva di risorse umane e professionali aggiuntive, di risorse materiali disponibili sul territorio, di poter accedere a finanziamenti dedicati.
Il sistema educativo così integrato realizza l’idea di territorio come “aula decentrata e diffusa”, coniuga i punti di forza dell’apprendimento non formale e informale con quelli dell’apprendimento formale, facilita la “significatività” degli apprendimenti e lo sviluppo di competenze chiave di tipo trasversale.
Si arricchiscono così sia il curricolo scolastico sia la partecipazione della comunità all’educazione dei propri studenti, dentro uno stesso processo partecipato di crescita.
L’ottica di un arricchimento e sviluppo reciproco rafforza la coesione di un territorio e ne aumenta la capacità ideativa dal basso che oggi non è adeguatamente considerata come una risorsa. Che la scuola possa agire da catalizzatore può rappresentare un ulteriore elemento di stimolo.
La pluriennalità della progettazione assicura stabilità e progressione nelle azioni delineate, aiuta a superare l’episodicità e la frammentazione (che a volte si possono evidenziare nei PTOF) e conferisce una maggiore unitarietà al Piano, più facilmente trasferibile rendicontazione sociale.
I Patti, dunque, rafforzano il ruolo dell’autonomia scolastica come disegnata dal suo Regolamento e responsabilizzano le singole autonomie nella realizzazione dell’apprendimento permanente, normato dalla legge 92 del 28 giugno 2012.
Un compito importante per ogni istituzione scolastica, che fa emergere la congruità delle azioni progettate per il successo formativo dei propri allievi (e la lotta alla dispersione) e l’orientamento alla costruzione di un sensato progetto di vita.
[1] Vedi “Documento di sintesi sui patti educativi” a cura della Rete EducAzioni.
[2] Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106. (17G00128).
[3] cfr. Leonilde Maloni, Competenze di lettura e sviluppo del Paese, in Scuola7 n. 323 del 5.3.2023.