Il dito e la luna

Quali Indicazioni per il futuro della scuola?

Il Ministro Valditara ha costituito una commissione con lo scopo di modificare le Indicazioni nazionali, tanto del primo quanto del secondo ciclo. La decisione ha sorpreso, anche perché accompagnata da una serie di rilievi critici che sono stati rivolti, soprattutto, alle Indicazioni del 2012, un testo largamente apprezzato dai docenti. Alcune interviste del Ministro hanno puntato il dito sulla ‘troppa roba’ che appesantirebbe il testo, così come sulla “assurdità” di certi contenuti. A che serve, si è chiesto Valditara, proporre nell’insegnamento della storia lo studio dei dinosauri?

Un bersaglio sbagliato

Sarebbe facile rispondere che l’autorevole dito accusatore è puntato su un bersaglio sbagliato. Le attuali Indicazioni non prevedono i pur simpatici dinosauri né in classe terza né mai, anche perché lo studio dei dinosauri non riguarda l’insegnamento della storia, che si occupa non delle specie animali ma delle vicende umane. Sbaglia, quindi, disciplina e quanto alla “troppa roba”, il Ministro sbaglia anche Indicazioni. Forse ha confuso le attuali con quelle varate nel 2004 dal Ministro Moratti, con centinaia e centinaia di obiettivi meticolosamente snocciolati, classe per classe, quasi fossero una guida didattica.

Ma non conviene dedicare molta attenzione a queste battute, che distolgono da quello che veramente è in gioco. Quello che disturba, forse, nelle attuali Indicazioni non è il carico nozionistico, ma la cornice culturale.

A coordinare la commissione è stata chiamata la coautrice di un volumetto titolato ‘Insegnare l’Italia’. Si tratta di un testo particolarmente critico nei confronti delle Indicazioni, viste come espressione di una cultura pedagogica progressista considerata fonte di tutti i mali della scuola.

“Papà a che serve la storia?”

Quale Italia si dovrà insegnare, che le Indicazioni tradiscono? Il loro peccato originale sarebbe di essere poco o forse per nulla preoccupate di impartire una educazione che renda consapevoli dell’identità nazionale e di essere, invece, troppo sensibili ad una visione mondiale dei problemi.

Per queste ragioni sul banco d’accusa viene messo soprattutto l’insegnamento della storia.  “Papà, a che serve la storia?” chiedeva il piccolo figlio di Marc Bloch, come riporta il grande storico in Apologia della storia. Vale la pena ritornare a questa domanda.

Per le Indicazioni del 2012, “lo studio della storia, insieme alla memoria delle generazioni viventi, alla percezione del presente e alla visione del futuro, contribuisce a formare la coscienza storica dei cittadini e li motiva al senso di responsabilità”[1] promuovendo pensiero critico, conoscenze fondate su fonti attendibili, apertura alla considerazione dei punti di vista con i quali si leggono i fatti, che vanno vagliati con rigore.

Dal libro Cuore a Pinocchio

Per gli autori del volumetto ‘Insegnare l’Italia’, l’insegnamento della storia nella scuola del primo ciclo dovrebbe servire, forse, a suscitare amor patrio, a promuovere un’idea di italianità che scaturisce dalle magnifiche gesta di un passato finalizzato ad esaltarla. A questo scopo gli autori che vogliono ‘insegnare l’Italia’ reclutano non solo il libro Cuore, capace di suscitare autentici sentimenti di amor patrio, ma perfino Pinocchio, un burattino che finora è riuscito sempre a salvarsi da tutti gli intenti moraleggianti, facendosene beffe.

La storia qui interessa non in quanto disciplina scientifica, ma in quanto insegnamento utilizzabile a fini pedagogici: rafforzare l’identità italiana, esaltandone il processo storico che ha contribuito a renderci nazione. Le Indicazioni 2012 sono considerate poco patriottiche, eccessivamente aperte ad una visione globale delle vicende umane, troppo interessate a favorire la formazione di cittadini del mondo. Non è un caso che, insieme alle critiche rivolte all’insegnamento della storia, vi sono quelle rivolte all’idea di cittadinanza, che nelle Indicazioni 2012 è centrale.

Se le cose stanno così, allora non siamo di fronte ad una azione di aggiornamento del testo, come è stato fatto nel 2018 con il documento Indicazioni nazionali e nuovi scenari, ma a una radicale riscrittura, a partire dal capitolo iniziale, quello che propone l’idea di scuola che ispira l’intero documento.

La formazione dell’uomo e del cittadino

La formazione dell’uomo e del cittadino è il compito perenne della scuola, ma richiede di essere sempre interpretato all’interno del contesto culturale nel quale si è chiamati a realizzarlo. Oggi non viviamo nell’Italia del libro Cuore, ma in un mondo globalizzato, in una società in continua e rapidissima trasformazione.

Scrivono le Indicazioni che, se “fino a tempi assai recenti la scuola ha avuto il compito di formare cittadini nazionali attraverso una cultura omogenea”[2], la situazione è radicalmente cambiata. Una cultura omogenea non esiste più, diventare cittadini significa attraversare un percorso formativo molto più complesso, nel quale riscoprire e valorizzare le molteplici appartenenze alle quali ciascuna persona partecipa, e da questa composita articolazione di identità può generarsi, attraverso l’educazione, una comunità più ricca e coesa.

Locale e globale

Oggi abitiamo una realtà nella quale locale e globale hanno assunto contorni nuovi, la nostra è una società multiculturale, l’interdipendenza tra ciò che è vicino e ciò che è lontano è continua. La cura dell’ambiente, la sicurezza dalle malattie, la prosperità economica, le conoscenze tecnologiche e il loro impatto…, tutto questo disegna un paesaggio culturale profondamente diverso dal passato, nel quale emerge con una consapevolezza più acuta che la nostra prima e fondamentale cittadinanza è quella umana. Apparteniamo al genere umano, condividiamo la casa comune che è questo nostro pianeta, siamo strettamente legati gli uni agli altri in una comunità di destino. Siamo, cioè, cittadini del mondo, o meglio, siamo chiamati a diventarlo.

Una cittadinanza a più dimensioni

Una considerazione della cittadinanza così allargata incontra ostacoli nelle tante spinte nazionalistiche e localistiche che, purtroppo, si sono largamente diffuse e minacciano la vita democratica. “Se il nazionalismo è la nuova forza organizzativa che sfida il globalismo, la nozione di appartenenza o non appartenenza a un gruppo sarà definita dalla cittadinanza ufficialmente riconosciuta, non dall’essere parte dell’umanità”[3].

Le Indicazioni 2012 richiedono di passare da un pensiero e da un sentire sbriciolato ad un pensiero e ad un sentire capaci di affrontare la complessità e chiariscono bene come l’educazione civica non possa essere interpretata in ristretti termini nazionalistici. Il tradizionale (e necessario) compito assegnato alla scuola di formare cittadini viene ripensato all’interno di un concetto di cittadinanza articolato a più dimensioni, che vanno tutte sinergicamente considerate. Si è cittadini della propria comunità locale, cittadini del proprio Paese, l’Italia, ma anche cittadini d’Europa e cittadini del mondo: “La nostra scuola, inoltre, deve formare cittadini italiani che siano nello stesso tempo cittadini dell’Europa e del mondo”[4].

La multiculturalità come dato strutturale

La dimensione multiculturale interpella l’essere cittadini, ne diventa una componente, non solo una condizione esterna. In una realtà nella quale la presenza di persone con radici culturali diverse è ormai consolidata, la multiculturalità non è né un’eccezione né un’emergenza, ma un dato strutturale. La scuola a questo proposito ha un ruolo fondamentale, perché non solo ci sia una situazione di tolleranza o di pacifica convivenza, ma, “attraverso la conoscenza della nostra e delle altre culture, in un confronto che non eluda questioni quali le convinzioni religiose, i ruoli familiari, le differenze di genere”[5] si generi un autentico incontro, un reciproco arricchimento, una vera integrazione.

Senza il nuovo sguardo interculturale non sarebbe possibile comprendere i grandi problemi della condizione umana (degrado ambientale, caos climatico, crisi energetiche, distribuzione delle risorse naturali, situazione sanitaria, povertà e ricchezza, condizione femminile, condizione infantile, dialogo interreligioso, guerre e conflitti, informazioni e disinformazione…).

Le emergenze che interrogano la scuola

A livello globale, l’Agenda 2030 dell’ONU ha messo al centro dell’attenzione degli Stati e delle agenzie educative il tema della sostenibilità. Le migrazioni, l’avvento dei populismi, gli scontri tra culture diverse, hanno sollecitato Organismi come il Consiglio d’Europa a emanare importanti documenti sulla convivenza civile e democratica. Le vecchie e nuove emergenze ecologiche ed economiche planetarie (povertà, guerre locali, desertificazione, disastri ambientali…) interrogano la scuola sui temi della convivenza civile e democratica, del confronto interculturale e delle politiche di inclusione.

Scrivono le Indicazioni nazionali 2012: “L’elaborazione necessaria per comprendere l’attuale condizione dell’uomo planetario, definita dalle molteplici interdipendenze fra locale e globale, è dunque la premessa indispensabile per l’esercizio consapevole di una cittadinanza nazionale, europea e planetaria”[6]. Tra gli effetti della globalizzazione vi è, nella sua problematicità, una interazione stretta e continua tra persone e popoli di diverse radici, storie, culture. Un punto di vista solo nazionale o eurocentrico non è adeguato a leggere la complessità della società planetaria del XXI secolo, come ben ricordano le Linee Guida per l’Educazione globale del Consiglio d’Europa (2008).

La cittadinanza come sfondo integratore

Nel documento Indicazioni nazionali e nuovi scenari, la cittadinanza è vista come: “vero sfondo integratore e punto di riferimento di tutte le discipline che concorrono a definire il curricolo. La cittadinanza riguarda tutte le grandi aree del sapere, sia per il contributo offerto dai singoli ambiti disciplinari sia, e ancora di più, per le molteplici connessioni che le discipline hanno tra di loro”[7].

Come la prospettiva interdisciplinare aiuta a cogliere la complessità della realtà, grazie alla collaborazione di punti di vista settoriali e specialistici, messi in dialogo tra loro, così la prospettiva interculturale aiuta a vedere i problemi dal punto di vista delle diverse culture e a cogliere l’interdipendenza stretta che ci lega come un’unica famiglia umana, come un’unica comunità di destino. Scoprirsi parte di questa grande comunità è la premessa per una consapevolezza più ricca del significato di cittadinanza.

Educazione civica ed educazione interculturale

Possiamo dire che in questa prospettiva l’educazione interculturale è una faccia essenziale dell’educazione civica, o, detto altrimenti, che non si può fare educazione civica che non sia anche educazione interculturale. L’educazione civica ha assunto progressivamente un significato molto ampio, ben diverso da quello espresso dalla celebre frase attribuita a Massimo D’Azeglio, comprensibile nel contesto storico risorgimentale: “Abbiamo fatto l’Italia. Dobbiamo fare gli italiani”, convinzione che ha ispirato per decenni il modo di intendere questo insegnamento, ancorandolo ad un luogo (l’Italia), ad una identità tutta da costruire (nazionale), sulla base di una lingua comune, di una storia comune, di una religione comune. Scrivono le Indicazioni 2012: “Oggi, invece, può porsi il compito più ampio di educare alla convivenza proprio attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali di ogni studente. La finalità è una cittadinanza che certo permane coesa e vincolata ai valori fondanti della tradizione nazionale, ma che può essere alimentata da una varietà di espressionied esperienze personali molto più ricca che in passato”[8].

Non è una questione di dinosauri

Il cambiamento non poteva essere più profondo: dal perseguire l’omogeneità al valorizzare le diversità, per una identità nazionale non uniforme, ma pluriforme.

La domanda è: questa idea di cittadinanza ha ancora legittimità? L’annunciata revisione delle Indicazioni sarà all’insegna della manutenzione e dell’aggiornamento del testo (come è stato nel 2012 rispetto alle Indicazioni del 2007 e nel 2018 rispetto alla versione del 2012), senza modificarne l’impianto culturale e pedagogico, o in discussione vengono messi valori fondanti?

Temiamo che i dinosauri, il libro Cuore, Pinocchio… siano il dito che nasconde la luna, il falso bersaglio. Temiamo che il viaggio nella direzione della scuola del futuro sia iniziato sbagliando verso, e ci riporti indietro, molto indietro nel tempo.


[1] MIUR, Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, in Annali della P.I., Numero speciale, Le Monnier, Firenze, 2012, p. 51.

[2] Ivi, p.10.

[3] F. M. Reimers, G. Barzanò, L. Fisichella, M. Lissoni, Cittadinanza globale e sviluppo sostenibile, Pearson, Milano-Torino, 2007, p. 21.

[4] MIUR, Indicazioni nazionali, cit. p. 11.

[5] Ivi, p. 10.

[6] Ivi, p. 12.

[7] MIUR, Indicazioni nazionali e nuovi scenari, 2018. Tale documento è stato redatto dal Comitato scientifico nazionale incaricato di rivedere e aggiornare periodicamente le Indicazioni 2012.

[8] Ivi, p. 10.