Un capolavoro … o un cimelio?

Le Linee operative per la compilazione della Sezione ‘Capolavoro’

Con nota[1] del 17 maggio scorso il Ministero ha emanato le Linee operative per la compilazione della Sezione ‘Capolavoro’ all’interno della piattaforma UNICA, predisposta a seguito dell’introduzione dell’E-Portfolio previsto dalle Linee Guida per l’Orientamento (DM 328/2022). Per la verità già da tempo le scuole si sono attivate per consentire agli studenti di individuare, tra i loro prodotti, del materiale rubricabile quale capolavoro, ed è di questi giorni la febbrile ricerca, tra i ragazzi, di qualcosa che abbia i caratteri dell’emblematicità.

Le Linee operative

Le Linee operative, è stato rilevato, giungono alquanto tardive, se si considera che mancano solo un paio di settimane al termine dell’anno scolastico e l’azione deve avvenire “entro il termine delle attività didattiche di ogni anno scolastico”. Non pareva, a dire il vero, che gli studenti invocassero una simile misura per veder valorizzato il proprio lavoro scolastico. Quel che si può constatare invece è il diffondersi tra loro di una logica adempitiva, per la quale “siccome il tutor ci dice di farlo lo dobbiamo fare”, che non sembra il miglior viatico per promuovere quanto enfaticamente il ministero auspica.

Ad ogni modo, è opportuno entrare nel merito pedagogico di questo dispositivo – appunto il capolavoro – che sta affaticando docenti e studenti. Esso si situa all’interno di una piattaforma con finalità autovalutative e autorientative, contenente altre informazioni relative al percorso formativo dello studente (da non confondere, sembrerebbe, col Curriculum dello studente che entra in gioco per l’esame conclusivo del secondo ciclo e confluisce nella piattaforma) e allo sviluppo delle competenze, su cui l’allievo stesso è chiamato a pronunciarsi.

Che cosa è il ‘Capolavoro’

Il capolavoro è definito più volte quale “prodotto”, che l’allievo deve sapere individuare criticamente all’interno del proprio lavoro scolastico ed extrascolastico, individuale ma anche cooperativo. In tale azione di individuazione ha un ruolo importante il tutor, che ha la funzione di “accompagnare” l’allievo in questo processo critico di ricerca.

È interessante notare che l’allievo assocerebbe al prodotto una o più competenze testimoniate (presumibilmente) dal prodotto stesso, attingendo alle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente individuate dal Consiglio europeo nel 2018. L’opera caricata in piattaforma, in altri termini, ai suoi occhi costituirebbe la prova del possesso di questa o quella competenza.  Ad ogni buon conto si resta perplessi da un lato dinanzi ad una logica di prodotto che valorizza l’esito constatabile, o punta dell’iceberg, di un percorso didattico, dall’altro – ancor più, forse – dinanzi all’affermazione alquanto enfatica che “quanto inserito in piattaforma sarà rappresentativo di se stessi”. Da un’indagine informale risulta che i primi ad essere perplessi su tale “rappresentatività” del prodotto sono gli stessi studenti.

Una rondine fa primavera?

Ed è proprio il caso di sviluppare questo aspetto, che percorre un po’ tutto il testo. L’allievo è chiamato a considerare un prodotto il top del suo lavoro, la prova del raggiungimento di determinate competenze, come se da quella realizzazione non si potesse più tornare indietro, perché da essa si evincerebbe in modo inequivocabile il talento del discente, che può sempre tornare alla repository, negli anni, per vedere che meraviglie è stato in grado di compiere. Ma la scuola reale non funziona così, e la coglie bene un dispositivo ministeriale di alcuni anni fa, di cui qui riporto uno stralcio: “Non è possibile decidere se uno studente possieda o meno una competenza sulla base di una sola prestazione. Per poterne cogliere la presenza, non solo genericamente, bensì anche specificatamente e qualitativamente, si deve poter disporre di una famiglia o insieme di sue manifestazioni o prestazioni particolari”[2].

A questo esempio può aggiungersene un altro, che riguarda la certificazione delle competenze nel primo ciclo: “Per verificare il possesso di una competenza è necessario fare ricorso ad osservazioni sistematiche che permettono agli insegnanti di rilevare il processo (ndr: il corsivo è dell’autore), ossia le operazioni che compie l’alunno per interpretare correttamente il compito, per coordinare conoscenze e abilità già possedute, e per valorizzare risorse esterne (libri, tecnologie, sussidi vari) e interne (impegno, determinazione, collaborazioni dell’insegnante e dei compagni)”[3].

Questi due stralci normativi attirano l’attenzione sulla logica processuale e contestuale che presiede al graduale – ma non lineare, né progressivo, bensì carsico e non senza battute d’arresto – sviluppo di competenze, di difficile traguardabilità e soprattutto di difficile decidibilità di fronte ad una realizzazione di qualsiasi genere, come se una rondine potesse testimoniare l’arrivo della primavera[4].

Il rischio di ricaduta sulla didattica

Per quanto si insista sul lavoro “critico” che dovrebbe fare lo studente per riconoscere il proprio capolavoro, è difficile non riconoscere il peso che su tale azione di riconoscimento esercita la valutazione numerica (e quindi non adatta alle competenze) assegnata dai docenti. È esperienza di questi giorni che i ragazzi vadano in cerca di quei docenti con cui hanno realizzato un elaborato o un artefatto valutato con “nove” o “dieci” per poterlo caricare a mo’ di exemplum della propria bravura.

Per quanto le Linee di cui ci stiamo occupando precisino sia che “la scelta del capolavoro non è un’azione che preveda una valutazione esterna” sia che “il capolavoro non è oggetto del colloquio di esame di stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione” (e a questo punto bisognerebbe chiedere al legislatore: e perché no, se rappresenta prova tangibile del raggiungimento di competenze?), è difficile sfuggire alla sensazione che tutto ciò possa retroagire sulla postura didattica dei docenti e degli studenti, che saranno sempre più frequentemente protesi a creare “produzioni” confermative dell’alto livello raggiunto dagli apprendimenti, per aver “qualcosa da caricare” prima della fine dell’anno.

Tra enfasi e competizione individuale

Un’altra sensazione cui è difficile sfuggire è quella dell’individualismo sostanziale di queste pratiche, che conservano, sotto l’enfasi rivolta alla riflessione, autovalutazione e autorientamento, uno spirito competitivo, orientato al riconoscimento del talento speciale, del coup de théâtre che squarcia la quotidianità scolastica e chiama agli applausi. Ma la scuola ha bisogno di queste posture? L’équipe dei docenti di una classe non è in grado, nel corso del quotidiano fare scuola, di ragionare con l’allievo su quanto egli va esperendo di se stesso in termini di processi e di prodotti? Non è in assoluto criticabile l’istanza di una capacità riflessiva e metacognitiva degli allievi, ma siamo certi che la risposta a quest’istanza autonarrativa sia la ricerca di un “capolavoro”?

Non sono ignoti ai docenti dispositivi pedagogici quali autobiografie cognitive o diari di bordo, che peraltro le stesse norme ministeriali raccomandano in ordine allo sviluppo di competenze. Ma si tratta di strumenti alieni dall’idea di prestazione e di prodotto. Si tratta di strumenti processuali, che fanno parte di una ricerca condivisa con compagni e docenti, discussa insieme. Si tratta del work in progress che non si cristallizza in un’opera esemplare o emblematica di chissà che, men che meno di qualcosa che ambisce ad essere caricata e cristallizzata come cimelio per se stessi – come insiste il Ministero -, per la consapevolezza (o contemplazione) della propria bravura.

La complessità del processo di acquisizione della competenza

È questo infatti alla fine il tema in gioco: la bravura. Un dispositivo di questo genere va in cerca della bravura. Platee enormi di studenti non producono alcun capolavoro, e se lo producono spesso non trovano docenti disposti a ritenere che “quella cosa lì” realizzata a scuola sia un capolavoro, meritevole di essere fissato in una piattaforma così come è stato prodotto dall’allievo; oppure devono tirarlo fuori da esperienze compiute al di fuori della scuola, come autorizza la norma, con pericolosa deresponsabilizzazione del curricolo.

Non sembra difficile immaginare, a questo punto, una corsa a caricare prodotti straordinari, o resi tali da opportuni aggiustamenti.

Per tutte queste ragioni, si è del parere che un dispositivo del genere, nonché non configurarsi quale risposta ad un bisogno sentito dalle scuole e dai docenti, rischia di creare una “sindrome da capolavoro” che non giova alla qualità dei processi valutativi e orientativi, ammesso che si tratti di processi distinti. La realtà della scuola e degli studenti viaggia su una lunghezza d’onda ben diversa, che è fatta di tanti episodi didattici, di tanti processi e di tanti prodotti, che rappresentano una storia complessa, raccontabile nelle sue luci e nelle sue ombre, di difficile rappresentabilità linguistica e a maggior ragione di difficilissima condensabilità in un prodotto che abbia l’ambizione un po’ patetica di costituire, come si legge testualmente, “un ‘obiettivo’ raggiunto in quell’anno della sua vita e che rimarrà nella piattaforma per lui e per i docenti quale considerazione e tappa del proprio percorso anche nella prospettiva futura”.

La scuola reale sta al di qua dell’enfasi futurologica, perché molto più spesso lavora sul quotidiano degli infiniti “Nino, la cui bravura si vede dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”[5]. Anche se nessun prodotto potrà testimoniarlo in modo inoppugnabile.

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[1] Nota n. 1616 del 17 maggio 2024 – E-Portfolio. Linee operative per la compilazione della Sezione ‘Capolavoro’

[2] DPR n. 87 del 15 marzo 2010 – Linee Guida Istituti Tecnici.

[3] Linee Guida allegate alla CM n.3 del 13 febbraio 2015, Adozione sperimentale dei nuovi modelli nazionali di certificazione delle competenze nelle scuole del primo ciclo di istruzione.

[4] Si pensi alla sapiente formulazione, contenuta nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo del primo ciclo (DM 254/2012), di Traguardi per lo sviluppo delle competenze, che pone l’accento sulla provvisorietà e la processualità della maturazione di competenza in età evolutiva.

[5] Brano di F. De Gregori, La leva calcistica della classe ’68, RCA, 1982.