La sola notizia del proposito di revisione delle Indicazioni nazionali ha scatenato molteplici discussioni, prima ancora che alcun atto formale sia stato ufficializzato e in assenza di informazioni praticamente su tutto.
Non sappiamo se la commissione che avrebbe nominato il Ministro sia effettivamente composta dai nove pedagogisti indicati nelle indiscrezioni della stampa e solo da loro. Non sappiamo quale mandato abbiano avuto, a parte il fatto che dovrà occuparsi delle Indicazioni del primo e del secondo ciclo, comprese le Linee guida per i tecnici e i professionali, un’impresa ciclopica. Non sappiamo se vi saranno sotto-commissioni e da chi sarebbero costituite. Soprattutto, non si ha idea di quali parti dei testi attualmente in vigore verrebbero revisionati o riscritti né se è prevista la collaborazione delle società scientifiche e delle associazioni professionali. Nulla.
Discutere sul nulla
Non c’è cosa più inutile, e avvilente, che discutere sul nulla. Purtroppo, i commenti e le prese di posizione sul proposito di revisione delle Indicazioni nazionali da parte del Ministro Valditara, così come le stesse repliche del Ministro, ne sono un esempio.
Eppure, su questa totale mancanza di informazioni attendibili, si è costruito un botta e risposta sui principi e i valori che dovranno caratterizzare le nuove Indicazioni: ci vuole più o meno identità nazionale; più o meno contenuti disciplinari; più o meno inclusione scolastica, ecc.
Il Ministro ha detto che occorre rafforzare l’insegnamento di arte e musica e che è assurdo che gli alunni di terza primaria studino i dinosauri (dove sono i dinosauri nelle attuali Indicazioni nazionali?). La Sottosegretaria Paola Frassinetti ha detto che non verranno toccate le materie scientifiche (perché?).
Alcuni storici reclamano la presenza di esperti di storia. E perché solo gli storici? Ecco allora che l’associazione di ricerca in didattica della matematica ha fatto la stessa richiesta e, poco dopo, si sono mossi gli esperti di didattica della lingua.
E, per completare la panoramica, i sindacati e il Ministro si sono accusati reciprocamente di avere una “visione proprietaria” della scuola.
Qualche considerazione di carattere generale
Accanto a queste prese di posizione sono uscite alcune considerazioni più distese e generali. Ne cito due: il lungo post di Franco Lorenzoni “Giù le mani dalla Indicazioni nazionali” e l’intervista di Reginaldo Palermo a Italo Fiorin per la Tecnica della Scuola intitolata: “Indicazioni nazionali: Valditara vuole cambiarle, forse in nome della identità italiana”.
Sia Lorenzoni che Fiorin si concentrano sul rischio di intaccare, se non stravolgere, l’impianto ideale e valoriale delle Indicazioni nazionali basato su principi della nostra Costituzione e su idee ritenute fondanti quali: intercultura, inclusione, persona, cittadinanza, comunità, mondialità.
È evidente che queste osservazioni sono molto rilevanti anche perché fanno capire quanto le Indicazioni nazionali, così come i vecchi programmi scolastici, siano documenti “calati nella storia”, espressione della cultura e dei valori prevalenti del periodo nel quale vengono emanate.
Da questo punto di vista è utile ricordare come, ad esempio, i programmi della scuola elementare del 1955 erano imperniati su un’idea del bambino “tutto intuizione, fantasia, sentimento” e sul principio che a “fondamento e coronamento” dei programmi doveva esserci “l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica”[1]. Dopo trent’anni queste due concezioni, del bambino e del ruolo della scuola, subiscono una trasformazione radicale con i programmi del 1985, pur emanati da una ministra democristiana, fondati sull’idea del “bambino della ragione” e sul pluralismo culturale. Fa quasi impressione oggi, nella sua radicale laicità, rileggere come veniva risolto in quel documento il rapporto tra scuola e religione “la scuola statale non ha un proprio credo da proporre né un agnosticismo da privilegiare”[2].
Un delicatissimo dispositivo culturale e normativo
Ma le Indicazioni nazionali non solo soltanto un documento di orientamento ideale e valoriale. Esse costituiscono infatti un delicatissimo e dettagliato insieme di criteri pedagogici, finalità e obiettivi per garantire l’uniformità del servizio scolastico nel nuovo (si fa per dire) contesto dell’autonomia scolastica.
Non dimentichiamo che il compito assegnato dalla legge alle Indicazioni nazionali è proprio quello di definire gli “obiettivi generali del processo formativo e gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni”[3].
Si potrebbe essere tentati di distinguere il contenuto delle indicazioni nazionali in due dimensioni separate: la dimensione culturale generale, sviluppata principalmente nella premessa (intitolata “Cultura, scuola, persona”) e quella tecnico-operativa, articolata nella sezione con i campi di esperienza della scuola dell’infanzia e in quella con i traguardi per lo sviluppo delle competenze e gli obiettivi di apprendimento per ciascuna disciplina della scuola primaria e secondaria di primo grado.
Credo però che questa distinzione sarebbe molto fuorviante, se non altro perché anche la descrizione dei traguardi e degli obiettivi è intrisa di scelte culturali precise.
La necessità di guardare oltre i contenuti
Quando ad esempio leggiamo, nella sezione dedicata all’insegnamento dell’italiano, che “lo sviluppo di competenze linguistiche ampie e sicure è una condizione indispensabile per la crescita della persona e per l’esercizio pieno della cittadinanza” oppure, nella sezione sulle scienze, che “la ricerca sperimentale, individuale e di gruppo, rafforza nei ragazzi la fiducia nelle proprie capacità di pensiero, la disponibilità a dare e ricevere aiuto, l’imparare dagli errori propri e altrui, l’apertura ad opinioni diverse e la capacità di argomentare le proprie” è evidente che siamo di fronte a qualcosa di ben più ampio di una declinazione operativa dei contenuti da trattare a scuola.
Lo stesso ragionamento vale anche per i traguardi indicati per ogni disciplina, non tanto perché vi si possano scorgere esplicitamente aspetti etico-valoriali, quanto perché costituiscono nel loro insieme la declinazione operativa del “profilo delle competenze al termine del primo ciclo di istruzione”. E quest’ultimo, a sua volta, tratteggia i connotati del cittadino attivo e partecipe con una finalità chiara e coerente: realizzare il dettato costituzionale che impegna lo Stato a “rimuovere gli ostacoli” che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti alla vita pubblica.
Dunque, al di là dell’inquadramento generale espresso nella premessa, anche le sezioni del testo destinate alle Finalità, al Profilo dello studente, ai Traguardi e agli Obiettivi delle discipline costituiscono un “oggetto normativo e culturale” tutt’altro che neutro.
Le Indicazioni nazionali non sono un testo “neutro”
Non sono neutre le scelte pedagogiche (basate sull’idea di ambiente di apprendimento) e articolate nei sei principi metodologici descritti nell’introduzione alla scuola primaria:
1) Valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni;
2) Attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità;
3) Favorire l’esplorazione e la scoperta;
4) Incoraggiare l’apprendimento collaborativo;
5) Promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere;
6) Realizzare attività didattiche in forma di laboratorio.
Non sono neutre le brevi introduzioni alle discipline che definiscono la loro funzione formativa.
Non sono neutri neanche gli obiettivi formativi dal momento che sottendono un modello di apprendimento nel quale alcune conoscenze e alcune abilità sono più importanti di altre.
Ad esempio in matematica diversi obiettivi di apprendimento riguardano la descrizione della realtà attraverso i numeri e la misura, mentre per il calcolo (che un tempo era la colonna portante della matematica scolastica) si sottolinea come sia più rilevante imparare a decidere quando convenga effettuare un calcolo a mente, o per scritto o, ancora, avvalendosi di una calcolatrice o di un foglio di calcolo, piuttosto che imparare a eseguire calcoli manualmente e senza errori a prescindere dallo scopo del calcolo stesso.
E, se proprio vogliamo parlare della storia, non è neutro indicare come competenza storica privilegiata l’uso delle fonti e delle rappresentazioni temporali e geografiche in contrapposizione alla tradizione del racconto storico fondato su personaggi e fatti storici atomizzati (Muzio Scevola, la Caduta dell’impero romano, ecc.).
Arriverei a dire, ma so che molti la pensano in modo diverso, che se la premessa fosse oggetto di un documento separato, il testo delle Indicazioni manterrebbe la sua consistenza culturale e valoriale. Basti pensare al forte ancoraggio con la Costituzione italiana e la Raccomandazione europea sulle competenze-chiave per l’apprendimento permanente presente nel capitolo sulle finalità generali e alle introduzioni alla scuola dell’infanzia e alla scuola del primo ciclo.
Cosa abbiamo imparato finora?
Bene, potremmo chiuderla qui e rimandare ogni considerazione a quando si saprà qualcosa di preciso.
Credo tuttavia che queste prime polemiche che si sono sviluppate intorno all’ipotesi di revisione delle Indicazioni nazionali rendano necessaria una riflessione più approfondita sulla natura di una norma molto particolare, che ancora molti chiamano “programmi scolastici”. E cioè tentare di rispondere alla domanda: cosa abbiamo imparato finora dalle Indicazioni nazionali?
Proverò allora a fare quello che i bravi giornalisti del Post chiamano un “ripassino”, una sintesi per aiutare a inquadrare il contesto in cui si muove una tematica d’attualità. Per motivi di spazio mi limiterò a quello che è successo con le ultime Indicazioni nazionali destinate alla scuola dell’infanzia, alla scuola primaria e alla secondaria di primo grado.
Analizziamo l’iter che ha portato alle attuali Indicazioni del primo ciclo
Partiamo dal dato storico, e giuridico, più rilevante: le attuali Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione sono il risultato di un processo durato cinque anni: dal 2007 al 2012.
Il documento attualmente in vigore[4] ha infatti passato il vaglio di due commissioni di esperti, nominate dal Ministro Fioroni e dal Ministro Profumo. Il primo aveva elaborato un documento avente carattere sperimentale, le Indicazioni per il curricolo del 2007[5], il secondo, dopo un lungo periodo di “collaudo” del “decreto Fioroni” nelle scuole, emanò il documento definitivo “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione” nel novembre del 2012 assumendo il documento precedente come documento di base. La supervisione di questo secondo testo fu affidata dal Ministro Profumo al Sottosegretario di Stato Marco Rossi-Doria.
Nel quinquennio 2007-2012 ha avuto un ruolo importante anche il Ministro Gelmini, che nel 2009 emanò il nuovo assetto ordinamentale della scuola dell’infanzia e del primo ciclo prevedendo “l’eventuale revisione delle Indicazioni nazionali”[6] e, nell’autunno del 2011, dispose la realizzazione di un monitoraggio nazionale sulle Indicazioni sperimentali del 2007 al quale parteciparono quasi diecimila scuole statali e paritarie[7].
La necessità di tempi distesi e di confronto
Si è dunque trattato di un vero e proprio processo evolutivo, analogo ai processi evolutivi naturali, nel quale un sistema si perfeziona nel tempo abbandonando tutto ciò che non serve e rafforzando le parti che hanno funzionato meglio.
In questo modo il testo attuale è stato condiviso con decine di società scientifiche e associazioni professionali ed è stato sottoposto a una consultazione nazionale che si è svolta nei mesi di giugno e luglio del 2012 cui hanno partecipato circa cinquemila istituzioni scolastiche[8]. La consultazione poneva venticinque domande precise, riferite ai punti più controversi del testo e produsse alcune importanti modifiche nel documento finale.
Successivamente all’emanazione delle Indicazioni nazionali del 2012 si sono svolti innumerevoli seminari formativi in quasi tutte le scuole pubbliche italiane anche grazie al coordinamento di un Comitato scientifico nazionale istituito allo scopo di “indirizzare, sostenere e valorizzare le iniziative di formazione e ricerca per aumentare l’efficacia dell’insegnamento in coerenza con le finalità e i traguardi previsti nelle Indicazioni nazionali 2012”.
Il Comitato, presieduto dal prof. Italo Fiorin, ha operato per sei anni concludendo il suo mandato con un documento intitolato “Indicazioni nazionali e nuovi scenari”[9] pubblicato dal Ministero nel febbraio del 2018.
I punti di forza delle Indicazioni nazionali 2012
Questa sintesi storica è utile per mettere a fuoco tre aspetti delle Indicazioni nazionali attualmente in vigore:
- la forte continuità del percorso che ha portato all’attuale formulazione
- la larghissima partecipazione di soggetti istituzionali e non
- la meticolosità con la quale si sono calibrate le prescrizioni normative contenute nel documento.
Tutti e tre questi aspetti hanno contribuito a far emergere nel tempo alcuni importanti punti di forza che, in modo bipartisan, molti hanno riconosciuto. Cito solo i quattro più significativi:
- il richiamo, esplicito e fondante, alle competenze-chiave per l’apprendimento permanente stabilite dal Parlamento e dal Consiglio europeo;
- la formulazione sintetica del profilo delle competenze assunta come obiettivo generale dell’intero sistema scolastico pubblico;
- la definizione di traguardi prescrittivi come riferimento ineludibile per la costruzione di prove nazionali standardizzate (prove Invalsi);
- l’esplicitazione di nuclei tematici e obiettivi di apprendimento non prescrittivi ma ampiamente validati dalla comunità accademica e scolastica.
A questi punti di forza vorrei aggiungerne uno che solo apparentemente può sembrare secondario: la brevità complessiva e la cura linguistica del testo.
La sintesi a garanzia dell’autonomia scolastica
Il testo delle Indicazioni nazionali del 2012, pur inglobando in un unico documento tre segmenti del sistema scolastico (scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di primo grado) è contenuto in 75 pagine a stampa. Se si stampassero insieme i programmi scolastici pre-autonomia della scuola materna, della scuola elementare e della scuola media con la stessa formattazione delle Indicazioni nazionali si otterrebbe un documento di 125 pagine.
La brevità del testo non è un elemento accessorio ma è invece un requisito indispensabile se vogliamo che le Indicazioni nazionali siano effettivamente tali, cioè un documento di indirizzo che stabilisce finalità e obiettivi delle scuole autonome e non un repertorio degli argomenti da trattare a scuola. Per ottenere questo risultato è stato necessario un controllo rigorosissimo della lunghezza delle diverse parti del documento. Nell’ultima stesura il nucleo redazionale dovette lavorare quasi esclusivamente per riequilibrare il testo tagliando drasticamente tutto ciò che poteva sbilanciarlo. Ma già durante la stesura delle Indicazioni del 2007 la brevità del testo fu assunta come vincolo invalicabile. A questo proposito si ricordano ancora le energiche esternazioni del Ministro Fioroni che si scagliava contro le bozze troppo lunghe e le continue richieste di integrazioni. In uno degli incontri tecnici pare che abbia detto: “ora il testo è perfetto, basterà ridurlo del 50 percento”.
Meglio un adeguamento continuo
Da quanto detto fin qui si potrebbe pensare che io consideri perfette, e quindi non migliorabili, le attuali Indicazioni nazionali. Non lo penso affatto, anche perché il testo in vigore è nato come “seconda versione” di un testo precedente e implicava esplicitamente il suo “adeguamento continuo”[10].
C’è sicuramente da lavorare, ad esempio, sulla definizione di standard d’apprendimento per ciascuna disciplina, fatta eccezione per l’inglese che li ha già (livelli A1 e A2 del Quadro di riferimento europeo) e su alcune regolazioni che si sono rese necessarie negli ultimi anni in larga misura già chiaramente indicate nel documento di fine mandato del Comitato scientifico nazionale.
Ma se invece si riparte daccapo, se ci si lascia prendere dalla voglia di rifondare, ribaltare, riscrivere… magari spinti dal fastidio per specifici aspetti (siano essi l’identità nazionale o alcune aree disciplinari) si rischia di ottenere un oggetto certamente nuovo ma squilibrato e ingestibile. Destinato a sua volta a essere azzerato dal prossimo Ministro.
[1] DPR n. 503 del 14 giugno 1955. Premessa.
[2] DPR n. 104 del 12 febbraio 1985. Premessa.
[3] DPR n. 175 dell’8 marzo 1999. Articolo 8.
[4] DM n. 254 del 16 novembre 2012.
[6] DPR n. 89 del 20 marzo 2009. Articolo 1, comma 4.
[7] Nota del 4 novembre 2011, pochi giorni prima della caduta del Governo Berlusconi IV.
[8] CM n. 49 del 31 maggio 2012.
[9] Indicazioni nazionali e nuovi scenari, 2018
[10] Si veda in proposito la lettera di accompagnamento del Ministro Profumo alle Indicazioni nazionali del 2012.