Dirigenti scolastici competenti e comunicatori

L’importanza della relazione nella gestione della scuola

L’insieme all’apparenza eterogeneo delle aree di competenza del Dirigente scolastico nel contesto di gestione della propria Istituzione di servizio, trova nella scuola dell’Autonomia la necessità di un comune terreno capace di offrire coerenza, visione e orizzonte, nei tempi corti della quotidianità e in quelli più lunghi della progettazione formativa.

Le azioni dirigenziali, essendo essenzialmente rivolte alla promozione di atteggiamenti e comportamenti nei confronti di individui e/o gruppi di individui, richiedono capacità comunicative e di coinvolgimento. In tal senso è importante considerare che, assieme all’eterogeneità delle materie di competenza, il Dirigente deve operare nella consapevolezza della varietà, della diversità e della numerosità dei suoi interlocutori, a loro volta tuttavia portatori di complessità ma anche di valori e di interessi, a volte palesi e altre volte nascosti.

Pensare l’insieme dei suoi interlocutori come un albero ramificato le cui radici trovano posto proprio nell’azione dirigenziale (Figura 1), può contribuire a dare un’immagine rappresentativa delle diverse tipologie di relazioni sociali a cui il Dirigente scolastico stesso è chiamato a dar vita.

Da Insegnante a Dirigente

La professione del Dirigente scolastico proviene, com’è noto, dai ruoli dell’insegnamento. Le relazioni che ogni insegnante promuove e costruisce con i propri studenti, ma anche con le loro famiglie e con i colleghi, hanno una natura progettuale. Si fondano infatti su processi di mediazione tra gli obiettivi didattici delle discipline, le capacità e le disponibilità all’apprendimento degli studenti, la condivisione collegiale del progetto educativo da parte dei collegi docenti e il senso di corresponsabilità del patto educativo da parte delle famiglie.

L’esperienza professionale dell’insegnante si riverbera nell’azione gestionale-organizzativa del Dirigente.

Pensando dunque alle modalità di relazione che il Dirigente utilizza in coerenza con la propria visione di scuola, può essere utile distinguere alcuni modelli di riferimento di base. Con il ricorso, per esempio, ad un approccio teorico trasversale capace di incrociare un pensiero organizzativo con uno socio-psico-relazionale, una visione immaginaria di sistema con una progettualità informata e condivisa, uno Slow Thinking con un Design Thinking, il Dirigente può pianificare un’azione dirigenziale complessiva efficace e resiliente.

Quattro modelli di relazione

Il Dirigente che si colloca nel contesto del proprio ambiente di servizio, dopo averne considerato le caratteristiche, rilevato i bisogni e compreso le risorse, elabora la propria visione organizzativo-gestionale. La sua visione dovrà avere la natura di una progettualità in itinere, la capacità di essere messa in discussione, di prestare le dovute attenzioni alle criticità, alle emergenze, ai successi e alle buone pratiche e quindi di sapersi riconfigurare, sempre coerentemente con le proprie radici. Tutto ciò richiede processi di feedback sistematici, che a loro volta sono il frutto delle relazioni intessute dal Dirigente.

I quattro modelli di relazione a cui la figura 1 fa riferimento si distinguono per differenti qualità e numerosità dell’interazione. Il modello 1 (relazioni formali) chiede al Dirigente la condivisione diretta dell’azione amministrativa con il Direttore dei servizi amministrativi, che a sua volta è figura di mediazione nella gestione del personale amministrativo, tecnico e dei collaboratori scolastici. Il modello 2 (relazioni fiduciarie) è quello che stabilisce le forme emotivamente più coinvolgenti e chiede al Dirigente la capacità di condividere il senso profondo della sua visione: la scelta fiduciaria presuppone reciprocità, confronto e fiducia tra gli interlocutori, nel rispetto e nella dovuta considerazione dei ruoli istituzionali. Il modello 3 (relazioni rappresentative) aumenta considerevolmente la platea degli interlocutori: il Dirigente rappresenta sé stesso davanti all’insieme delle figure che realizzano il progetto formativo della scuola, e questo insieme si caratterizza come l’incontro/scontro di individualità che mettono in comune professione e personalità, competenze ed emozioni, aspettative e disillusioni. Il modello 4 (relazioni tecniche) infine trasferisce le caratteristiche del modello 3 a un tipo di interlocutore ancora più articolato: al Dirigente viene richiesto di promuovere e gestire la propria visione coinvolgendo anche figure prive di una professionalità scolastica specifica ma portatrici di motivazioni e aspettative piuttosto forti e spesso decisive nel quadro delle politiche gestionali dell’Istituzione.

Relazioni e visione istituzionale

La relazione come principio guida generale alla base della gestione organizzativa della singola Istituzione scolastica pone alcune questioni.

Prima di tutto la relazione come sistema di comunicazione tra le parti. La tradizione delle teorie sulla comunicazione ricorda che esiste una figura che produce e codifica un’informazione rivolta e trasmessa ad un’altra figura che la riceve. Questo schema generale di riferimento (fonte-messaggio-ricevente) ha ricevuto nel tempo diverse attenzioni. Tra le più interessanti quella del sociologo Stuart Hall che evidenzia un aspetto di complessità dato da una sorta di diritto della figura che riceve ad essere oppositiva rispetto alle intenzioni che la fonte ha espresso nell’informazione trasmessa[1]. Questo aspetto suggerisce al Dirigente la necessità di un suo sistematico ri-posizionamento nella relazione stessa, che sia in grado di rispondere efficacemente alle fluttuazioni della comunicazione riuscendo a mantenere coerente il proprio comportamento rispetto al carattere della sua visione istituzionale.

Un’altra questione riguarda gli elementi che condizionano l’interlocuzione. Stephen Mitchell, il padre della psicanalisi relazionale, parla di quattro modi di condizionamento: a) relazioni che implicano una reciproca influenza degli interlocutori; b) relazioni che generano affetti corrispondenti (tipo rabbia, angoscia, euforia ecc..) tra un interlocutore e l’altro; c) relazioni che plasmano il singolo rispetto alla figura interiorizzata dell’interlocutore con cui interagisce; d) relazioni in cui il singolo cerca nella relazione il riconoscimento di sé come soggetto attraverso l’interazione con il suo interlocutore (che è portato comunque a compiere un analogo processo)[2]. In quest’ultimo caso l’autore parla opportunamente di intersoggettività. Il Dirigente, con riferimento ai modi di condizionamento di Mitchell, acquisisce un utile quadro sui margini di reciprocità con i quali gestire le proprie relazioni, che allo stesso tempo può rivelarsi anche uno strumento di feedback con cui misurare il grado di condivisione, ancora una volta, della stessa visione istituzionale.

Il Dirigente interpreta sé stesso

Una componente tutt’altro che secondaria che il Dirigente deve poter considerare nella gestione organizzativa della sua Istituzione di servizio è la numerosità dei suoi interlocutori. La questione è rilevante soprattutto in merito alla gestione degli Organi Collegiali, e del Collegio docenti in particolare. Lo studio probabilmente più noto e importante del sociologo Erving Goffman, mostra come l’individuo sociale tenda a costruire sempre la propria identità nel rapporto con gli altri, ricorrendo a precise strategie di preparazione, presentazione, occultamento e gestione della propria immagine[3]. Quando, in particolare, l’individuo si pone in relazione come singolo con un interlocutore composto da numerosi altri individui, il suo agire appare come una vera e propria rappresentazione teatrale. Così il Dirigente si mette in scena davanti al suo pubblico rappresentato dal Collegio docenti: come l’attore di una commedia egli deve tener viva l’attenzione, deve non far perdere la concentrazione sulla visione istituzionale della scuola, deve saper essere convincente verso la comunità professionale che coordina e dirige, deve rendere comprensibile e chiaro il testo che propone, ovvero il progetto formativo complessivo che in quella scuola si riconosce. E come infine l’attore insegue l’applauso del suo pubblico, così il Dirigente insegue condivisione e applicazione del disegno generale che ha progettato e che descrive quei comportamenti, atteggiamenti, scelte e motivazioni che realizzano l’offerta generale dell’Istituzione che dirige.

Relazione come pensiero collettivo

Le competenze organizzative del Dirigente scolastico, in sostanza, chiedono sempre maggiore attenzione al rapporto con l’Altro, tenendo ben presente che si tratta di un rapporto che va costruito e coltivato, che non può essere lasciato alla semplice gestione emotiva della quotidianità. Le relazioni che il Dirigente costruisce e gestisce contengono sempre il senso della sua visione istituzionale, oltre ovviamente al suo carattere e alla sua personalità. Il modello relazionale, inoltre, promuove la condivisione del progetto formativo della scuola, consolida comportamenti e atteggiamenti professionali coerenti e comuni favorendo strategie inclusive, diminuendo il rischio di conflitti (e di contenziosi) nella corretta applicazione di norme, nella gestione dei processi di valutazione, nel coinvolgimento emotivo delle proposte didattiche, nel confronto con le famiglie e con l’extrascuola in generale.

Per il Dirigente relazioni e confronto sono azioni importanti anche e soprattutto nella costruzione e nella manutenzione del progetto formativo generale della scuola. Come ha dimostrato la neuroscienziata e divulgatrice Hannah Critchlow nel suo recente lavoro sulle potenzialità del pensiero collettivo nella gestione del lavoro, appare davvero cruciale la dimensione del gruppo e la sua capacità di considerare differenze e affinità dei suoi componenti[4].

La promozione di un sistema di relazioni accompagna il Dirigente a sciogliere e declinare efficacemente le complessità, riconoscendo il pensiero collettivo come strumento e come utile risorsa.


[1] Stuart Hall (2006), Il soggetto e la differenza, Roma, Meltemi.

[2] Stephen Mitchell (2002), Il modello relazionale, Milano, R. Cortina Editore.

[3] Erving Goffman (1969), La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino.

[4] Hannah Critchlow (2023), Joined-Up Thinking, Hodder & Stoughton, Londra.