Se c’è un problema nella scuola odierna, a cui si mette mano periodicamente senza trovare risposte soddisfacenti, questo riguarda la valutazione, che si presenta in modo più o meno cogente a seconda dell’ordine di scuola. Seppure se ne parli, in termini abbastanza definitori, soprattutto in occasione degli esami di Stato, è invece allo stato perennemente “liquido” nella scuola primaria. E sappiamo quanto questo segmento di scuola sia importante per la costruzione dei cittadini di domani.
Non è pensabile infatti che un alunno passi da un segmento all’altro nel corso della sua crescita senza avere strutturato le basi per la sua evoluzione maturativa, basi che hanno nelle conoscenze (e negli statuti epistemologici e disciplinari) il loro punto di forza.
Da una errata interpretazione
È un problema che negli ultimi tempi è stato alquanto indebolito anche da una serie di provvedimenti normativi altalenanti che hanno messo in crisi la ricerca continua verso un modello valutativo efficace. Va aggiunto il fatto che la scuola italiana si è dovuto misurare con le Raccomandazioni dell’Unione Europea, che hanno sottolineato l’importanza degli esiti formativi e delle competenze delle nuove generazioni creando a volte una errata interpretazione del rapporto tra processi e risultati di apprendimento.
L’apparente contrapposizione tra processi e risultati, come oggetto della valutazione, corrisponde ad una separazione ex post dell’atto educativo del docente, che nella pratica didattica quotidiana ne conosce il nesso inscindibile. Ed è proprio questo il significato affidato alla valutazione degli apprendimenti, che ci consegna la ricerca a livello europeo sulle competenze chiave di cittadinanza.
Questo è il primo problema che incontra chi si occupa del senso da dare alla valutazione nella società odierna: far prevalere la valutazione dei processi o quella dei prodotti?
Verso la valutazione formativa
È successo che, per liberare la scuola dalla “tirannia assoluta” del voto con il passaggio alla valutazione formativa, si è reso necessario un profondo cambiamento dei comportamenti valutativi e dei modelli pedagogici di riferimento. L’incipit del cambiamento è avvenuto con la Legge n. 517/1977 che ha sostituito la tradizionale pagella con i voti numerici a fianco delle singole discipline con un giudizio descrittivo, teso ad evidenziare soprattutto la natura dei processi di apprendimento. Questa trasformazione liberava la scuola italiana dalla tradizione del voto in decimi, considerato come l’unico criterio per valutare il rendimento scolastico dell’alunno. Ma la scelta di spostare l’attenzione dell’atto valutativo dalla selezione dei migliori alla formazione di ognuno non fu una scelta indolore.
In linea con il dettato costituzionale dell’art. 3, il legislatore nel 1977, ha impegnato gli insegnanti ad evitare ogni forma di discriminazione e a perseguire l’uguaglianza delle opportunità. Se tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, ad ognuno deve essere riconosciuto un proprio tempo per apprendere: è ciò che ne fa una persona diversa dalle altre. La conseguenza è quella dell’abolizione della bocciatura con lo spostamento del problema valutativo dal criterio quantitativo e misurativo all’approccio formativo.
Ritorno ai giudizi sintetici?
Il passaggio, voluto dalla legge 517/1977, dalla valutazione selettiva, fondata sulla quantità dei contenuti, ad una valutazione che privilegia il miglioramento dei processi di apprendimento e lo sviluppo di competenze sociali e relazionali dai singoli allievi, resta il nodo centrale da affrontare, soprattutto nella scuola del primo ciclo. Lo sappiamo bene perché un cambiamento nella normativa non produce immediatamente gli effetti culturali desiderati, anche perché le “tradizioni” hanno radici profonde nella didattica d’aula. Nei docenti l’attaccamento al programma e alla “quantità necessaria” dei contenuti di conoscenza è rimasto sempre presente.
È questo forse che giustifica l’emendamento, presentato recentemente, che confluisce all’interno della riforma più ampia del voto in condotta e delle sospensioni per gli studenti (DdL n. 924-bis), volto ad eliminare i quattro livelli di giudizio (avanzato, intermedio, base e in via di prima acquisizione), ripristinando i più tradizionali giudizi sintetici (ottimo, distinto, buono, sufficiente e insufficiente). Il “nuovo” sistema prevede che per ogni disciplina sia espressa una valutazione mediante il ricorso a giudizi sintetici già sperimentati, giudizi che dovrebbero essere correlati ai livelli di apprendimento raggiunti.
Processo e rendimento
Questa scelta, che non è ancora legge, sarebbe dettata dalla necessità di far corrispondere il processo di apprendimento con l’idea di “rendimento”. Tale ipotesi sembrerebbe orientare la scuola primaria a non mettere voti al primo quadrimestre e, al contempo, a rivedere la disciplina della valutazione della condotta.
Il provvedimento normativo in costruzione sembra voler mettere in evidenza la necessità di concedere tempi più lunghi per giungere responsabilmente ad una valutazione sommativa finale in sintonia con la tendenza verso una “promozione” pressoché generalizzata, e riconoscere contestualmente la capacità degli allievi attraverso forme di valutazione descrittiva.
Siamo di fronte ad un atto valutativo poco definito e che per questo può essere definito “liquido”, che semina, però, ulteriore perplessità nella coscienza professionale dei docenti di scuola primaria: docenti che non si sono mai sottratti a fare della scuola un continuo laboratorio di ricerca. Ciò non significa tuttavia che tale ricerca debba rimanere separata da un ragionamento più organico e sistematico che investa i processi valutativi di tutti gli ordini di scuola.
Valutazione formativa e bocciatura
La valutazione formativa prende atto del fatto che ogni persona ha i propri tempi di maturazione, che non possono essere sollecitati se non attraverso la creazione di condizioni che rinforzano l’autovalutazione.
Il passaggio dalla “testa ben piena” alla “testa ben fatta”, come emerge dal riferimento ad E. Morin nelle Indicazioni per il curricolo 2012, avrebbe di fatto dovuto spostare l’azione didattica verso la promozione del successo formativo piuttosto che verso la bocciatura degli allievi che non raggiungono gli standard prefissati. È così che la scuola primaria ha preferito ragionare in termini di tempi maggiori e spazi di apprendimento diversificati piuttosto che di bocciatura. Ed è qui che la scelta del legislatore, quella di abolire la bocciatura e di puntare sulla motivazione dei soggetti, trova la sua piena giustificazione. Tuttavia la priorità quasi esclusiva assegnata alla valutazione delle conoscenze, resta ancora radicata nella mentalità di molti docenti, a volte trascurando l’importanza della fiducia alla persona e del processo di maturazione.
Un laboratorio per una scuola educativa.
Alla base della valutazione formativa c’è la scelta della democrazia stessa, che riconosce a ciascuno il diritto alla propria identità e la diversità dei tempi di sviluppo. Si potrebbe dire che il tema della valutazione oggi rappresenta una sorta di laboratorio del cambiamento che ha come base il riconoscimento delle diversità, che vanno valorizzate e riconosciute in qualche modo. Nel momento stesso in cui si è posto al centro il criterio dell’uguaglianza fra le persone e la scuola ha posto l’accento sulla necessità di abolire il primato del voto (“I voti dicono e non dicono”), si torna a valorizzare il giudizio descrittivo, teso a dare importanza alla qualità del profilo personale dell’alunno più che a misurare la quantità delle conoscenze e delle competenze. In sostanza, soprattutto al primo Ciclo della scuola italiana, si tende a sottolineare la centralità dei processi di sviluppo e a registrare in modo descrittivo la qualità del cambiamento. In questo contesto si riesce a dare una lettura in chiave inclusiva anche della parola “merito”, nell’accezione possibile in una scuola equa e di qualità.
C’è anche l’Unione Europea
Questa posizione che il Legislatore italiano ha assunto di fronte alla natura non selettiva richiesta dai processi di sviluppo in senso democratico trova un rinforzo nei documenti dell’Unione Europea, finalizzati a tenere insieme inclusione e competitività. L’Unione Europea, impegnata com’è nella creazione o nel mantenimento di un modello di società democratica, non può sottovalutare il valore degli esiti e dei prodotti; tutt’al più li può coniugare con l’importanza dei processi di sviluppo che ogni democrazia persegue partendo dal presupposto delle diversità degli esseri umani e dei tempi dei loro processi maturativi.
Cosa chiedono le famiglie
Ma oggi c’è anche da prendere in considerazione, specie nei paesi democratici, il ruolo che le famiglie stanno sempre più assumendo nei confronti del tema della valutazione. Non sono rari gli interventi di dissenso da parte di genitori nei confronti delle scelte valutative degli insegnanti. In alcuni casi si registrano contestazioni, anche violente, che non si possono, però, ignorare perché, per Costituzione, l’educazione rientra tra i compiti dei genitori.
Un proverbio popolare afferma che “Non si fa un fosso senza due rive”; il che equivale a dire, per quanto riguarda l’educazione, che la scuola non ha il monopolio della educazione stessa ma che è tenuta ad integrarsi con le azioni delle famiglie, che continuano ad avere un peso indiscusso nella formazione delle giovani generazioni.
È vero che l’autorevolezza di una scuola si misura anche dal criterio che essa assume nel coinvolgimento dei familiari degli alunni. Si dà il caso però che alcuni genitori interferiscono senza ragione giustificata proprio in occasione delle valutazioni e dei comportamenti adottati dagli insegnanti nei confronti dei loro figli.
Siamo tuttavia ancora lontani dal mettere in atto quel dialogo educativo che pedagogisti e psicologi suggeriscono. In una società democratica non ci sono alternative al dialogo e al confronto, così come al compromesso fra le due autorità educative. Si tratterà di lavorare ad un processo di sensibilizzazione che porti gradualmente al riconoscimento dell’importanza della scuola e della famiglia, in un mondo in cui le tecnologie e i social stanno assumendo dimensioni sempre più ampie interferendo in maniera sostanziale sul processo formativo.
Per concludere
Quando allora pensiamo ad un problema come la valutazione, che chiama in causa tanti attori, dovremo riconoscere il “carattere liquido e fluido” dell’azione valutativa che, per essere convincente, necessita di un dialogo aperto fra le varie situazioni e richiede pazienza e buona volontà. È un atto impegnativo quello di esprimere un giudizio su qualsiasi persona, ancor più sulle nuove generazioni immersi in processi di rapidissimi cambiamenti. È un problema serio da non sottovalutare da condividere tra tutti coloro che, in modi diversi, hanno la responsabilità delle giovani generazioni.