Negli ultimi anni si è giustamente discusso molto di equità in ambito scolastico e formativo e di povertà educativa. Il problema è fondamentale e determinante per assicurare la crescita e lo sviluppo armonico del Paese, ma è necessario che il tema sia affrontato a tutto tondo e congiuntamente a quello della qualità degli apprendimenti, evitando che la cura di un aspetto si traduca in allentamento della tensione positiva verso il conseguimento dell’altro.
La misura della fragilità scolastica
Alla fine di gennaio INVALSI ha presentato alla comunità scientifica in un seminario che si è svolto presso l’Università Cattolica di Milano una proposta di indicatore pluridimensionale della fragilità scolastica. Il tema è, da un lato, estremamente rilevante poiché è necessario trovare strumenti in grado di fare emergere pienamente un fenomeno la cui descrizione è ancora molto imprecisa, ma, d’altro canto, la definizione di un tale indicatore pone problemi metodologici e calcolatori molto complessi. L’obiettivo del seminario è stato quello di discutere con i maggiori esperti del settore il funzionamento dell’indicatore per trovare soluzioni sempre più convincenti e in grado di rappresentare in modo appropriato un fenomeno complesso e in parte sfuggente come la fragilità scolastica. Sono emerse proposte molto interessanti per migliorare ulteriormente l’indicatore proposto da INVALSI, ma tutti gli esperti si sono ritrovati nelle scelte di fondo proposte dall’istituto, ossia la necessità di disporre di uno strumento che includa nella fragilità scolastica molti fattori, provenienti da contesti diversi, anche esterni alle scuole. Allo stesso tempo si è convenuto che l’uso sapiente dei dati deve aiutare il sistema scuola, ampiamente inteso, a scongiurare il pericolo che il tema dell’equità sia visto come alternativa alla tensione positiva verso livelli di apprendimento elevati e di qualità.
Dati per orientarci e per scegliere
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha notevolmente accelerato le politiche volte a contrastare il fenomeno della dispersione scolastica. Oltre al sostegno finanziario fornito, il PNRR merita riconoscimento per aver introdotto un nuovo approccio alla definizione di dispersione scolastica. Per la prima volta, si affronta esplicitamente la questione non solo dal punto di vista della frequenza scolastica, ma anche in termini di competenze acquisite. Si riconosce che il successo non è solo completare gli studi, ma anche raggiungere competenze di base necessarie per la cittadinanza attiva.
Il PNRR richiede infatti il monitoraggio e il contrasto della dispersione scolastica implicita, ossia la situazione in cui gli studenti escono dalla scuola secondaria senza raggiungere livelli adeguati di competenze di base, misurati attraverso le prove INVALSI.
Tuttavia, l’idea di dispersione scolastica implicita, introdotta recentemente da INVALSI, richiede un ulteriore approfondimento teorico e una critica costruttiva per garantire una definizione condivisa attraverso un approccio che integri sia metodi quantitativi sia qualitativi, con un costante riferimento alla pratica pedagogica. Questo è stato il dibattito al quale si è cercato di dare inizio nel seminario presso l’Università Cattolica, sottolineando l’importanza di disporre di strumenti per misurare l’equità in modo ampio, intesa come la garanzia per ciascuno di avere buone opportunità di imparare, per tutti i livelli di apprendimento, non solo quelli di base, ma anche quelli più elevati.
Ragionare (anche) attraverso i dati
Le analisi condotte dall’INVALSI, così come altre ricerche e indagini, offrono informazioni per comprendere dinamiche di cambiamento, non sempre positive, evidenziando fenomeni socialmente rilevanti per l’intera collettività. È cruciale affrontare i problemi educativi in modo aperto e diretto, consapevoli che non esistono soluzioni immediate e semplici. È necessario un approccio che coniughi concretezza e umiltà per affrontare le sfide molto rilavanti che ci attendono, evitando di negarle basandosi su convinzioni preconcette. Ogni interpretazione dei dati deve tener conto di diversi punti di vista e modelli culturali ed educativi, ma la disponibilità di dati solidi permette di verificare empiricamente ipotesi e proposte d’intervento. L’indicatore presentato da INVALSI mostra chiaramente che l’equità, ampiamente intesa, non è solo una questione di intenzioni, ma principalmente di risultati.
Un esempio tra tanti. Ogni anno, dopo la pubblicazione dei risultati INVALSI, vengono resi noti gli esiti degli esami di Stato, spesso accompagnati da dispute quasi da tifoserie calcistiche. La discussione tende a focalizzarsi su questioni ideologico-politiche anziché educative. Tuttavia, la consultazione dei dati di Almalaurea potrebbe fornire risposte più chiare sulla gravità del problema educativo e sociale. A livello internazionale, il dibattito sui risultati degli esami conclusivi è molto diverso.
Merito, dimensione costitutiva dell’equità
Un esempio molto interessato è il caso del Regno Unito in cui recentemente è stato sottolineato, pur con posizioni diverse, da tutti gli orientamenti politici e culturali la necessità di tornare a esami più impegnativi e di qualità, intendendo quindi il merito non come alternativo all’equità, ma come una sua dimensione costitutiva.
È quindi urgente trovare un terreno comune per discutere la persistente povertà educativa e la diminuzione della qualità dell’apprendimento. È necessario affrontare seriamente il ruolo dell’ambiente familiare e socio-culturale sugli esiti scolastici e riconoscere l’importanza delle competenze socio-emotive, oltre e non in alternativa a quelle disciplinari. La riflessione pedagogica e culturale sulla scuola di domani richiede una valutazione approfondita dei dati e una discussione sulla sostenibilità delle soluzioni proposte. Il coinvolgimento di tutti gli attori della comunità educativa è essenziale per superare i problemi attuali, evitando il facile biasimo del contesto esterno e riconoscendo le responsabilità di ciascuno.
Attraverso i dati e le misurazioni standardizzate, è possibile individuare soluzioni ampie e condivise, che richiedono un impegno quotidiano da parte di tutti gli attori coinvolti nella vita scolastica. Muoversi in questa direzione è complesso, ma fondamentale per il futuro dell’istruzione.
I risultati PISA 2022 ci dovrebbero mettere in guardia
Per la prima volta dal 2000, gli esiti italiani sono risultati meno preoccupanti rispetto al passato in un confronto internazionale. Molti osservatori hanno notato questo cambiamento, anche se le conclusioni che ne sono state tratte sono state diverse. Tuttavia, è importante sottolineare che l’allineamento dei risultati italiani non è dovuto a un miglioramento dei risultati dei nostri studenti e delle nostre studentesse, ma piuttosto a un loro peggioramento meno rilevante rispetto alla media OCSE. In altre parole, mentre gli studenti italiani hanno ottenuto risultati peggiori rispetto alle edizioni precedenti, il loro calo è stato meno marcato rispetto alla media degli altri paesi OCSE.
È importante però osservare che i risultati del PISA 2022 evidenziano differenze significative tra i paesi OCSE occidentali e quelli dell’area pacifica. Mentre questi ultimi mantengono risultati eccellenti, quelli occidentali stanno subendo un arretramento significativo, con una diminuzione della percentuale di studenti che ottengono risultati elevati.
Questo declino non può essere attribuito esclusivamente alla pandemia, ma suggerisce piuttosto che il COVID-19 abbia accelerato problemi preesistenti. Agli osservatori più attenti non è sfuggito il fatto che i paesi OCSE dell’area pacifica stanno compiendo sforzi considerevoli per mantenere insieme e in equilibrio equità e qualità degli apprendimenti, considerando le due dimensioni come un unicum inscindibile. Non pare potersi dire altrettanto per molto paesi OCSE occidentali. La riflessione pedagogica e metodologica diventa quindi cruciale per affrontare questa sfida. È necessario un approccio serio e aperto per definire una visione chiara del sistema educativo nazionale e stabilire traguardi condivisi per il futuro della società.
Provando a trarre qualche conclusione
Una discussione aperta e di alto livello consentirebbe al sistema educativo di fare un passo avanti molto importante, nell’auspicio di poter arrivare alla definizione di traguardi condivisi e misurabili. Essi rappresentano l’unico vero presidio contro derive facilistiche, poiché forniscono un punto di riferimento comune e misurabile. Facendo però sempre attenzione a non cadere in una sorta di hybris misuratoria che porti a confondere lo strumento con la finalità. L’individuazione di tali traguardi di apprendimento è la pietra angolare sulla quale fondare la valutazione formativa, spesso solo un esercizio retorico, ma scarsamente frequentata e praticata.
La grande disponibilità di dati, opportunamente elaborati, non può e non deve sostituire il momento decisionale che rimane un atto squisitamente politico. I dati, gli indicatori e le elaborazioni quantitative sono uno strumento essenziale per assumere decisioni razionali e circoscritte all’interno di un quadro di senso che è per sua natura il terreno proprio delle scienze pedagogiche e dell’educazione.