Tanti, troppi i casi di donne vittime di violenza, molti dei quali sfociano in femminicidi che le vedono barbaramente uccise… Un uomo che ammazza una donna, in particolar modo se sua compagna di vita, commette un crimine contro l’umanità perché quella donna è prima di tutto un essere umano che si è fidata di quell’uomo tanto da non riuscire a credere, molte volte, che quella violenza sia irrimediabilmente destinata a crescere e non sia possibile sperare in un cambiamento, anche se promesso dall’uomo che dichiara di amarla. Il femminicidio chiama in causa tutti, è una sconfitta per l’intera società. Quali possono essere le cause di questa “mattanza”? Come prevenirla ed arginarla?
Partiamo da un minuto di silenzio…
Martedì 21 novembre anche nell’Istituto comprensivo 46 ‘Scialoja Cortese’ di Napoli, situato nel difficile quartiere San Giovanni a Teduccio, è stato osservato un minuto di silenzio alla presenza del Ministro Valditara, che ha ricordato che il nostro compito è quello di unire i giovani nel segno del sorriso e dell’amicizia: “Bisogna insegnare il rispetto, a prescindere dal sesso, dalla religione, dal colore della pelle o da caratteristiche fisiche”.
Gli alunni hanno cantato l’inno nazionale indossando una felpa rossa, colore che simboleggia il contrasto alla violenza di genere, ed esponendo uno striscione sulla pace.
Valditara ha visitato i diversi spazi dell’istituto facendosi raccontare dai giovanissimi studenti le numerose attività svolte ed ispirate soprattutto dal Service Learning, metodologia promossa da Avanguardie Educative di INDIRE e per la quale la scuola è capofila nazionale.
Una ondata di violenze che non trova fine
È efficace lo slogan “Solo un piccolo uomo usa violenza su una donna per sentirsi grande” perché, purtroppo, sono tanti i piccoli uomini, emotivamente instabili e psicologicamente fragili. Altrettanto numerose sono le donne barbaramente uccise da colui che dovrebbe essere il loro compagno di vita. La morte è l’epilogo di un’atroce premessa fatta di violenza fisica, verbale e psicologica, che è la forma più subdola di violenza, che distrugge ed annienta la persona che la subisce.
Le manifestazioni di questa violenza, che spesso vengono sottovalutate, passano attraverso forme di umiliazione, critiche e commenti negativi, gelosia patologica, isolamento, ricatti, controllo degli spostamenti, controllo del cellulare, limitazione della libertà personale ed economica, accuse rivolte alla vittima attribuendole la colpa dei continui attacchi di ira, con conseguente negazione dei fatti accaduti. A volte tutto ciò sfinisce talmente tanto la vittima da portarla a credere di essere pazza.
Le possibili dinamiche di una relazione tossica
La donna che subisce violenza perde sempre di più la propria autostima nonché la dignità propria dell’essere umano; si sente costantemente inadeguata, fuori posto e prova vergogna a chiedere aiuto.
Si scivola in un meccanismo perverso in cui la vittima è costantemente sotto pressione: si sforza per evitare i litigi ma suscita reazioni avverse, con conseguente destabilizzazione del proprio sistema emotivo.
Tuttavia, a causa della manipolazione mentale reiterata nel tempo, molte volte la donna si convince che la persona al suo fianco è perfetta e, nonostante la grave sofferenza, non trova il coraggio per troncare quella relazione tossica, annientando la propria persona in favore dell’altro.
Ecco allora che si scivola in un altro meccanismo ben noto, quello della “sindrome da crocerossina”, caratterizzato dalla convinzione di riuscire a cambiare la situazione e che il partner possa imparare a dedicarsi con amore e dedizione a quella storia d’amore.
La realtà, purtroppo, è ben diversa: un partner violento è verosimilmente una persona anaffettiva, poco o, per niente, empatica. Forse è per questo che molte volte questo tipo di uomo è attratto proprio da donne molto sensibili, che riesce a manipolare fingendo di provare sentimenti, mentre in realtà è alla ricerca perenne di conferme del suo sé grandioso. A tal fine spesso corteggia la vittima in modo estenuante, facendola sentire unica, fino al momento in cui non cedono i meccanismi di difesa naturali e la donna si innamora perdutamente.
Si crea, così, un legame perverso, caratterizzato da una dipendenza reciproca tra la vittima con una forte dipendenza affettiva ed il manipolatore che ha necessità della vittima per sentirsi importante.
Il possesso non è amore
Le dinamiche descritte evidenziano, purtroppo, come spesso le donne finiscano col confondere il sentimento dell’amore con l’ansia di possesso del loro aguzzino, da cui sembra scaturire l’epilogo sanguinoso ai danni delle donne a cui da troppo tempo assistiamo.
Il desiderio di possesso nei confronti della donna, fino a limitarne le libertà personali, ed il sentimento di vendetta, anche per i rifiuti dell’ex partner nei casi in cui la donna tenti di chiudere la relazione, percepiti come un torto dal maschio violento, inducono quest’ultimo a comportamenti che in prima battuta assomigliano a tentativi per recuperare il rapporto ma che presto si trasformano in azioni ossessive e violente. Ascoltiamo spesso, nei racconti di cronaca, a deposizioni di fiori o oggetti davanti casa o sul luogo di lavoro della vittima, a danneggiamenti dell’automobile, ad atti vandalici di vario genere.
Tutto ciò può provocare nella vittima dei cambiamenti comportamentali dovuti alla paura, come il ritiro sociale.
Progetto pilota “Educare alle relazioni”
Come contrastare il femminicidio ovvero arginare questa scia di violenza che sembra non avere fine? Sicuramente occorre un’azione sistemica, strutturale e ad ampio raggio, che chiami a raccolta tutte le forze sociali.
Ed è in questa direzione che va il progetto pilota “Educare alle relazioni” contro la violenza di genere, voluto dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara: «Parte una grande mobilitazione, per la prima volta in Italia si fa un esperimento di questo tipo, per la prima volta si intende affrontare il tema del maschilismo, del machismo e della violenza psicologica e fisica sulle donne. Il progetto si sviluppa su più piani, con l’educazione civica dall’elementari alle superiori, c’è l’invito a far entrare la cultura del rispetto in tutti gli insegnamenti. Poi c’è il progetto specifico nelle scuole superiori e si articola con gruppi di discussione, con il coinvolgimento degli studenti in prima persona».
Il progetto, realizzato in forma sperimentale, durerà trenta ore, da svolgere in orario extracurricolare per non sovrapporlo all’educazione civica e sarà finanziato con 15 milioni di euro di fondi POC (Programma Operativo Complementare) “Per la Scuola, competenze e ambienti per l’apprendimento”.
Dal progetto pilota al curricolo scolastico
Quest’idea, ha spiegato il Ministro, è partita già dopo i fatti di questa estate, dallo stupro di Palermo alle violenze di Caivano.
Completata la fase sperimentale, se il progetto dimostrerà di essere efficace, ci sarà la possibilità, secondo Valditara, di «renderlo un elemento obbligatorio nel curriculum scolastico».
Il progetto si inserisce in un contesto più ampio di sensibilizzazione che coinvolge anche il Ministero delle Pari Opportunità e della Famiglia, nonché quello della Cultura. Prevede anche l’intervento di influencer, cantanti e attori per ridurre le distanze con i giovani e coinvolgerli a pieno in un percorso di educazione sentimentale, appuntamento ormai non più rinviabile.
Un aspetto chiave dell’intervento sarà la diffusione del numero verde antiviolenza 1522, veicolato anche attraverso il mondo dello sport, per far conoscere questo strumento ad una vasta platea.
Ma è sufficiente un piano di educazione alle relazioni?
Il contrasto alla violenza di genere passa anche attraverso l’educazione delle giovani generazioni ed è per questo che si è ritenuto necessario partire in modo strutturale dalle scuole. La scuola rappresenta per il bambino un naturale “luogo di vita” in quanto contribuisce in maniera significativa alla crescita ed allo sviluppo della persona. A scuola non si impara, infatti, solo a “leggere, scrivere e contare”, ma soprattutto a stare insieme agli altri.
Un piano di educazione alle relazioni è, pertanto, sicuramente un buon inizio ma può essere ancora più efficace se, come dice il Presidente Mattarella, si avvia un percorso “in cui le donne e gli uomini si incontrano per costruire insieme una umanità migliore, nella differenza e nella solidarietà, consapevoli che non può esserci amore senza rispetto, senza l’accettazione dell’altrui libertà“.
Formare ad una corretta genitorialità
L’efficacia del piano di educazione alle relazioni può essere ancora più pregnante se coinvolge anche i genitori in un intervento più vasto, finalizzato alla formazione ad una corretta genitorialità, fondamentale per la crescita sana dell’individuo.
Basti pensare che tra i tre e i sei mesi di età l’allattamento al seno e le interazioni visive rappresentano la gran parte dei contesti in cui si sviluppa il legame genitore-bambino e richiedono una particolare sensibilità ed attenzione da parte delle madri per imparare a riconoscere e interpretare i segnali dei loro bambini ed essere efficacemente responsive.
Il comportamento reattivo materno, ovvero l’attività elettrodermica (sudorazione/stress), la gittata cardiaca, i vari modelli di sguardo durante la poppata al seno e le interazioni face to face con il bambino, sono elementi essenziali del sistema di sincronia che si sviluppa all’inizio della vita tra madre e figlio, che contribuiscono alla crescita fisiologica, cognitiva e socio-emotiva del bambino, oltre a rappresentare elementi di una genitorialità sana e attenta.
Fin da subito, ad esempio, occorrerebbe dedicare attenzione a questi momenti, evitando che durante l’interazione madre-figlio, ad esempio durante l’allattamento, si venga distratti dall’utilizzo di smartphone e social.
Curare, invece, la necessaria empatia con il bambino attraverso la reciprocità di sguardi affettuosi significa sviluppare un legame positivo genitore-figlio.
Partire dalla scuola dell’infanzia e formare i docenti
L’efficacia del piano di educazione alle relazioni può essere ancora più evidente se fatto partire, in maniera sistemica e con progetti specifici, dalla scuola dell’infanzia, finestra cronologica privilegiata per l’implementazione di una buona alfabetizzazione emotiva.
Una buona alfabetizzazione emotiva, infatti, è necessaria nei primi anni di vita per comprendere i propri ed altrui sentimenti ed emozioni e per imparare ad esprimerli in maniera efficace, premessa necessaria per comprendere che lasciare andare chi non desidera starci più accanto è una straordinaria forma di amore.
Inoltre, l’efficacia del piano di educazione alle relazioni richiede percorsi di formazione-azione sistematici dei docenti, non solo su come implementare con successo un percorso di alfabetizzazione emotiva ma anche su come essere dei buoni allenatori emotivi.
L’alfabetizzazione emotiva, ad esempio, è certamente una strategia efficace per elaborare nel modo migliore conflitti irrisolti all’interno del gruppo classe e per formare, in modo specifico, all’uso di modelli relazionali non violenti e basati sulla negoziazione, sul rispetto, migliorando le relazioni e riducendo le tensioni e le provocazioni.
Il ruolo del docente
Il docente empatico è in grado di supportare l’alunno nella regolazione dei propri stati affettivi, sostenendolo nella verbalizzazione, se possibile, dello stato affettivo e nella ricerca di una strategia adeguata alla regolazione.
Una parte integrante della professionalità docente, infatti, consiste proprio nella consapevolezza delle dinamiche emotive e di come la storia personale, le aspettative e i modelli di riferimento di ciascuno di noi condizionino la relazione con l’alunno e la pratica educativa.
È necessario che il docente accompagni l’alunno nel processo di crescita personale e messa in discussione, che comporti il riconoscimento delle proprie emozioni e di quelle dell’altro, la disponibilità a cambiare idee e atteggiamenti per aggiustarsi all’altro, mostrando empatia, ovvero capacità di riconoscere e comprendere i disagi degli altri e di valorizzare le risorse di cui sono portatori.
Tutto ciò è possibile anche grazie a sistematici percorsi di formazione-azione che sostengano le competenze professionali dei docenti in ambito relazionale.
Un team di professionisti allargato
L’efficacia del piano di educazione alle relazioni può essere ancora più garantita se si preveda l’inserimento stabile all’interno della scuola delle figure dello psicologo e del pedagogista. Si tratta di figure imprescindibili in un percorso finalizzato da un lato a supportare i giovani nella maturazione affettiva dall’altro gli adulti nei delicati processi di ascolto ed osservazione dei giovani, che spesso chiedono solo di essere ascoltati e visti con gli occhi del cuore.
Lo psicologo ed il pedagogista rappresentano, infatti, figure necessarie per recuperare la dimensione di autorevolezza e di affettività che deve ritornare a caratterizzare il processo educativo ad ogni livello.
Se non ora, quando?
Considerata la viva sensibilità mostrata dal Ministro Valditara verso temi cruciali quali il rispetto ed il contrasto alle discriminazioni di genere, verrebbe da chiedersi “se non ora, quando?”. Non è più procrastinabile, infatti, l’avvio di azioni sistematiche e non estemporanee ed improvvisate per costruire una società più equa e garante dei bisogni di tutti e di ciascuno.
Sicuramente i recenti e tristissimi fatti di cronaca ci portano a rilanciare con nuovo impulso l’impegno della scuola contro la violenza di genere partendo da un minuto di silenzio, per lanciare, però, subito un grido continuo di indignazione e dare voce a quelle donne la cui voce è stata barbaramente soffocata…
Un minuto di silenzio per far tanto rumore: non si può più tacere!