I risultati INVALSI continuano a destare preoccupazione sulla dispersione, esplicita e implicita. Una situazione che assume caratteri strutturali che non possono essere giustificati dal periodo pandemico, anche perché prima del Covid la dispersione era ancora più rilevante. Accanto alle molteplici azioni che si stanno realizzando, anche grazie alle risorse del PNRR, martedì 24 ottobre, è stata presentata una sperimentazione attraverso l’uso intelligente dei dati. Si tratta di una iniziativa del MIM e della fondazione Compagnia di San Paolo[1].
Riforma e Controriforma
L’obiettivo è chiaro e condiviso, anche se i dati non ci invitano all’ottimismo. Per capirli, non certamente per giustificarli, non bisognerebbe perdere di vista alcuni fattori storici. Per esempio, dopo l’Unità il nostro Paese presentava tassi di analfabetismo intorno all’75%, in modo analogo alla Spagna, mentre nello stesso periodo, in Germania, come in altri Paesi del nord Europa, la percentuale era intorno al 20%.
Veniamo da una storia: là la Riforma, qui la Controriforma. E non vi è dubbio che, al di là degli aspetti religiosi (ma anche in relazione ad essi) la Riforma abbia favorito un processo di acculturazione e alfabetizzazione. Se educhi il popolo (dei fedeli) all’idea che ci sia salvezza attingendo alla parola, quella parola bisogna essere in grado di comprenderla.
Poco importa che Martin Lutero, quel mercoledì del 31 ottobre 1517, vigilia di Ognissanti, secondo una tradizione non precisamente documentata, abbia affisso le sue famose 95 tesi sulla porta della Schloßkirche di Wittenberg, cittadina sull’Elba della Sassonia. Forse non le avrà affisse, ma sicuramente le ha diffuse. L’intuizione fu quella dell’importanza di tradurre la Bibbia in Tedesco. Eravamo a pochi decenni della rivoluzione gutenberghiana con la stampa a caratteri mobili: uno strumento straordinario di iniziazione alla lettura. La comunità terrena dei lettori nasce anche grazie a queste motivazioni ultraterrene.
Comenio e la scuola elementare obbligatoria
Pochi decenni più tardi, Comenio, in campo pedagogico, affermerà, precocemente, il carattere laicodell’istruzione, il suo valore pubblico, per una formazione fondata sulla responsabilità della persona. Al contempo non bisognerebbe mai dimenticare che la scuola elementare obbligatoria in Prussia risale al 1763, in Austria al 1774. È invece di un secolo dopo la nascita della scuola obbligatoria in Italia. È con la legge Coppino nel 1877, che in Italia viene attribuito allo Stato il compito di dar vita alla scuola primaria.
Non si può appiattire tutto nel “presentismo”, vi sono processi che si dispongono nel tempo o nella longue durée.
Fare di più e fare meglio
Sono queste considerazioni storiche che devono ancor più sollecitare il nostro impegno nel contrastare la dispersione scolastica: si può e si deve fare di più, guardando oltre, cogliendo l’occasione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ma non solo. Per affrontare i limiti del sistema scolastico e formativo bisogna in primo luogo puntare su una didattica, in presenza o fruendo delle opportunità del digitale, che sia in grado di prendere sul serio la sfida dell’inclusione e dell’integrazione.
Le risorse non basteranno mai senza una visione strategica. Occorrono interventi puntuali e mirati, scuola per scuola, territorio per territorio. Antenne sensibili da parte del corpo docente, rapporti funzionali con le famiglie e con gli Enti locali, attenzione ai segnali che possono anticipare un eventuale mancato adempimento dell’obbligo scolastico, ruolo dello psicologo, coinvolgimento dello studente e, naturalmente, percorsi personalizzati di apprendimento.
ELET e NEET
Non dobbiamo dimenticare, tuttavia, che, nel corso degli ultimi dieci anni l’Italia ha realizzato dei progressi nella riduzione degli abbandoni precoci, scesi dal 20% del 2007 al circa il 13% attuale; ma siamo ancora lontani dalla soglia sotto il 10% fissata in sede europea. Ancora troppo alto è il numero i così detti ELET (Early Leaving from Education and Training) di coloro, cioè, che abbandono precocemente i percorsi di istruzione e formazione, o la quota dei così detti NEET (Not in Education, Employment or Training), cioè di quella popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non è né occupata né inserita in un percorso di istruzione o di formazione.
Con un paradosso: si registrano due milioni di disoccupati e due milioni di giovani che non studiano e non lavorano, eppure nel 2022 due milioni di posti di lavoro non hanno trovato candidati disponibili se non con forti difficoltà.
I livelli di competenze degli studenti italiani sono, inoltre, estremamente variabili in relazione al tipo di scuola frequentata, fenomeno non disgiunto dalle condizioni socio-economiche e familiari. Il CENSIS ha sottolineato come il nostro Paese si collochi all’ultimo posto nella graduatoria europea di coloro che migliorano la propria situazione economica rispetto a quella della famiglia di origine.
Il futuro si gioca in classe, ma non solo
Si ama spesso ripetere che “il futuro si gioca in classe”, che lì ci sono le opportunità. Ma lì, in classe, ci sono anche le radici della mancanza di equità del sistema. Occorre rimettere in moto l’ascensore sociale. Servono ricerca e sperimentazione, formazione e personalizzazione dei curricoli, azioni coordinate per il recupero, intese però non come un “escamotage”, ma come attività sistematiche con finalità strutturali di lungo periodo. Vanno coinvolte tutte le competenze disponibili: dagli Enti locali ai loro servizi sociali, alle ASP alle ASL, le due gambe del sistema socio-sanitario, al mondo non profit, dalle organizzazioni del volontariato a quelle del terzo settore, di carattere culturale, sportivo e ricreativo; va favorito lo sviluppo di una rete a sostegno della crescita civile degli studenti con il coinvolgimento attivo delle famiglie.
Il rapporto con il territorio e il coinvolgimento della comunità territoriale sono fondamentali, in questo come in altri casi. Particolarmente rilevante è l’attività di orientamento. Forse per la prima volta, in una progettualità affidata alle autonomie scolastiche, si fa riferimento in modo esplicito, come è nel PNRR, al valore della “giustizia minorile”. È una opportunità preziosa in relazione alla quale diventa più facile sviluppare una collaborazione per condividere strategie di contrasto alla dispersione connesse ai fenomeni di devianza che, in taluni casi, la caratterizzano.
Diritto all’apprendimento per tutti
Sta crescendo in maniera significativa il numero di studenti non italofoni provenienti dalle più diverse aree geografiche, linguistiche e culturali. Un impegno particolare deve essere rivolto all’accoglienza e all’inclusione, soprattutto nelle fasi di ingresso e nelle situazioni di difficoltà e disagio. La scuola deve sentirsi impegnata ad attivare tutte le metodologie possibili per consentire la fruizione del diritto all’apprendimento anche agli studenti temporaneamente impediti alla frequenza scolastica. Occorrono attività di alfabetizzazione e di recupero delle competenze di base, in particolare nelle discipline di indirizzo generale (Italiano, Matematica, Inglese).
In generale risulta fondamentale un lavoro sempre più trasversale tra scuole secondarie di primo grado e di secondo grado per definire i traguardi di competenze al termine del primo ciclo e per attuare un’azione di orientamento più efficace in modo tale da rendere meno incerto il passaggio alle scuole secondarie superiori.
Il PNRR sollecita i “patti educativi di comunità”. Un modello vincente proprio per contrastare la povertà educativa e la dispersione scolastica. i Patti favoriscono l’integrazione tra pubblico e privato rafforzando l’offerta formativa attraverso l’arricchimento del curriculum scolastico, con attività di apprendimento permanente incentrate soprattutto sullo sviluppo delle competenze trasversali.
La scuola motore di cambiamento
L’accoglienza è il primo diritto degli studenti, il primo dovere della scuola, specie per le prime classi del biennio. La “convivialità relazionale” e il richiamo alle regole sono un tratto distintivo per un progetto educativo autenticamente inclusivo.
Un particolare rilievo deve essere dato, pertanto, alle attività di allineamento per le classi prime. Per il potenziamento delle competenze di base, per accrescere la motivazione cercando, laddove possibile, di prediligere la Peer Education.
Il PNRR non consiste nell’indubbia fatica di rispettare delle scadenze e di spendere, bene, le risorse a disposizione. Significa anche produrre un cambio di paradigma, accelerare i processi di riforma dal basso, promuovendo buone pratiche. Per combattere la dispersione non basta solo lo spirito di partecipazione, ma occorre un’esplicita determinazione a farcela.
Un nuovo Protocollo
Non privo di interesse, da questo punto di vista, è il Protocollo firmato dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, dal Presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo Francesco Profumo e dalla Presidente della Fondazione per la Scuola Giulia Guglielmini. I propositi condivisi sono quelli dell’utilizzo e dell’elaborazione dei dati disponibili presso le istituzioni scolastiche al fine di individuare precocemente le studentesse e gli studenti a rischio di dispersione scolastica, per azioni a sostegno dell’apprendimento, con particolare riguardo alla prevenzione dell’insuccesso.
Le iniziative previste dal Protocollo si sviluppano presso le istituzioni scolastiche sia della scuola primaria sia della scuola secondaria di primo e di secondo grado, nelle città di Torino, Genova, Savona e in un’ulteriore città capoluogo di provincia in Piemonte che sarà definita a breve.
La sperimentazione rientra nell’ambito dell’iniziativa Città dell’Educazione, che il Gruppo Fondazione Compagnia di San Paolo, in collaborazione con numerosi soggetti locali e nazionali, ha lanciato per promuovere l’idea che l’educazione sia al centro delle trasformazioni dei territorie per rafforzare l’offerta di servizi personalizzati di cura, crescita e apprendimento per le fasce di età 0-6, 6-16, 16+.