Quando i membri di un gruppo sono isolati all’interno di una comunità più ampia si parla di segregazione: generano divisioni le origini etniche, le variabili culturali, lo status socio-economico, il particolare livello di istruzione, la nazionalità di appartenenza, la residenza geografica, la padronanza di una lingua o particolari disabilità. Vari sono i tipi di segregazione, un termine, peraltro, polisemico, utilizzato per descrivere processi reali, ma anche per indicare qualcosa da contrastare. Con una connotazione spesso negativa evoca lo spettro dei ghetti.
I diversi volti della segregazione
Nella scuola tradizionalmente era il genere a creare classi segregate, sostituite da tempo dalle classi miste. Con l’espandersi dei processi migratori si sono determinate differenziazioni in base all’origine geografica e alla nazionalità, spesso combinate con elementi culturali. Apartheid urbano, cioè la segregazione spaziale di minoranze nelle periferie cittadine, e apartheid sociale, cioè isolamento sulla base dello status socio-economico, sono categorie familiari. Esistono processi di segregazione nel campo dell’istruzione?
La segregazione a scuola
Gli studenti frequentano scuole a elevata segregazione, quando “almost all of their fellow students are of the same racial background as they are”, già scriveva Coleman[1]. Più generalmente guardando alla composizione sociale delle classi e delle scuole si parla di segregazione quando c’è “un grado elevato di concentrazione, superiore a una certa soglia critica, di studenti appartenenti ad un medesimo gruppo sociale o etnico e frequentanti la medesima scuola”[2]. All’origine c’è un aggrovigliato intreccio di decisioni, dalle procedure di iscrizione ad una scuola all’esercizio del diritto di scelta educativa, dalla gestione dei bacini di utenza alla programmazione del servizio scolastico sul territorio, dai modelli residenziali urbani alla stratificazione in classi sociali.
La segregazione rientra nella complessa gamma di fattori che influenzano i risultati scolastici. Accanto alle variabili di contesto l’effetto scuola (school effect) e l’effetto classe (class effect) sono collegati al school mix effect e al peer effect[3]. Legittime sono le domande sul grado di omogeneità o di eterogeneità del profilo sociale di scuola e delle classi e sull’impatto sui livelli di apprendimento degli studenti.
Disomogeneità sociale e scuola
L’origine della ricerca sulla composizione sociale delle scuole può esser fatta risalire al citato rapporto Coleman del 1966 sulle ragioni dei persistenti e significativi divari tra i risultati di diversi gruppi sociali ed etnici. Contrariamente alle attese, la ricerca, all’epoca, non evidenziò grandi differenze dovute alle risorse ma registrò l’incidenza del profilo sociale della popolazione scolastica. Studenti di minoranze etniche avevano migliori risultati, a parità di altre condizioni, frequentando scuole con studenti in maggioranza bianca e di background agiato. Studenti, quindi, con lo stesso background potrebbero avere percorsi diversi con la frequenza di scuole con studenti da ambienti agiati o, al contrario, con studenti di provenienza svantaggiata.
La convinzione che i compagni di classe influenzino i risultati scolastici è radicata nell’opinione diffusa e popolare. Già Jenks notava che “many people define a good school not as one with fancy facilities or highly paid teachers but as one with ‘the right’ kind of students”[4]: un’osservazione pertinente anche ai giorni nostri.
Nel tempo l’enfasi sui processi macro-sociali e sul contesto familiare come fattori di gran lunga più determinanti delle performance scolastiche ha quasi monopolizzato l’attenzione della ricerca, spingendo a lato l’attenzione sul rilievo del profilo sociale delle scuole e delle classi. Dagli anni 1980 in poi è cresciuta, tuttavia, la consapevolezza che gli obiettivi costituzionali di una scuola aperta a tutti non erano raggiunti data la diversità di opportunità di successo. La ricerca di efficacia ha così attraversato le politiche educative. In questo contesto ha trovato spazio l’attenzione al profilo sociale delle scuole. Si sono sviluppati indicatori precisi e compositi e metodologie appropriate di indagine.
Alcune esplorazioni di interesse
Nel contesto italiano il tema della segregazione scolastica è stato toccato da più angolazioni. La diversa origine sociale dei diplomati fotografa la distribuzione socialmente caratterizzata degli studenti tra i diversi percorsi di scuola secondaria superiore. Il tracking tra indirizzi è un meccanismo istituzionale di rafforzamento delle disuguaglianze di origine sociale. In anni più recenti esplorazioni in varie direzioni (Carboni et al, 2015) anche grazie al ricorso ai dati Invalsi[5]. L’impatto dell’orientamento degli studenti di diverso background verso gli indirizzi della secondaria di II grado rafforza le disuguaglianze preesistenti[6]. Sono state studiate le distorsioni nei voti assegnati dagli insegnanti agli studenti dal background svantaggiato, a parità di performance standardizzata nei test INVALSI[7]. La distribuzione degli insegnanti in relazione al profilo sociale degli studenti ha messo in evidenza meccanismi impliciti connessi alla segregazione. Le scuole milanesi sono state oggetto di analisi approfondita sotto il profilo della mobilità degli studenti e delle implicazioni sul profilo sociale delle scuole[8]. Analisi estese ad altre realtà urbane[9] hanno rilevato che gli insegnanti, in Italia, sono effettivamente distribuiti in modo diseguale. I media stessi[10] concorrono a portare l’attenzione sulla segregazione scolastica.
L’impatto della composizione sociale delle scuole e delle classi
Le risultanze di ricerche e metanalisi sono convergenti, pur con qualche cautela, sull’esistenza di un effetto della composizione della classe sulla performance scolastica. Si legge in un rapporto OECD: “Previous analyses using data from successive cycles of PISA, from 2009 to 2015, … found a negative relationship between student sorting across schools and equity in education”[11]. La segregazione, inoltre, aumenta il peso dei fattori di background: “The PISA-participating countries/economies where schools were less socially diverse also tended to have the strongest relationship between socio-economic status and performance”[12].
Sulla questione, rimasta a lungo irrisolta, passi in avanti sono stati compiuti con la identificazione dei meccanismi di influenza e delle direzioni diverse di impatto in relazione al gruppo sociale di appartenenza. Sono stati presi in considerazione anche gli aspetti organizzativi e gli effetti non cognitivi del profilo sociale delle scuole e delle classi. La stessa distribuzione degli insegnanti tra le scuole varia in relazione alla composizione sociale delle scuole e delle classi con inevitabili ripercussioni[13].
Allo stato attuale degli studi, la diversità sociale ha effetti benefici sulla tolleranza, sugli atteggiamenti sociali a prescindere dai gruppi studiati. Gli studenti più esposti all’influenza della scuola sono quelli con status socio-economico più debole che non possono contare sulla propria famiglia per il passaggio di conoscenze. La composizione delle classi influisce su di loro maggiormente. Mentre, c’è un effetto soglia al di sotto del quale la presenza di studenti sfavoriti non ha alcun effetto di peggioramento sulla performance dei compagni di classe. Costituire, quindi, delle classi diversificate è senza dubbio il modo per migliorare il livello medio di tutti gli studenti, favorendo allo stesso tempo quelli più deboli, senza danneggiare gli studenti con performance elevata.
La segregazione sociale e il “quasi mercato” dell’istruzione
L’ottica neo-liberale della school choice ha accantonato, in un crescente numero di paesi[14], i modelli tradizionali basati sui bacini di utenza allo scopo di promuovere la competizione migliorando l’efficienza. L’ipotesi che l’apertura alla libera scelta avrebbe favorito gli studenti di estrazione svantaggiata con l’accesso alle scuole migliori, non si è dimostrata accurata. Molti esperti ritengono che gli effetti collaterali negativi sopravanzano quelli positivi. Ad usufruire dell’esercizio di opzione sono state soprattutto le famiglie agiate, per cultura e per risorse più pronte a scelte informate[15].
L’impatto del quasi-mercato sul servizio scolastico è stato oggetto di ricerche sia passate sia recenti. Nelle successive edizioni di PISA risulta che la segregazione sociale è aumentata nella maggior parte dei paesi dove ha perso importanza il criterio basato sulla residenza. Le analisi condotte nell’area milanese hanno evidenziato che a fronte di elevato livello di mobilità degli studenti può avvenire che la scuola, privata degli studenti di status socio-economico medio o elevato, abbia un livello maggiore di segregazione rispetto allo stesso quartiere in cui è collocata. In questo senso si parla di progressiva ghettizzazione della scuola stessa[16].
Sono maturi i tempi per un bilancio?
Dopo decenni di liberalizzazione degli accessi, di autonomia scolastica e di parità scolastica alcune domande sono pertinenti. Qual è stato l’impatto della competizione tra scuole rispetto alla segregazione sociale? Sono realmente state garantire alle famiglie condizioni di scelta a prescindere dal background socioeconomico di appartenenza?
Alla luce degli studi che hanno evidenziato l’esito congiunto della competizione tra le scuole e l’esercizio del diritto di scelta i tempi sembrano maturi per verificare se il contrasto alla segregazione sociale è stato un obiettivo nell’agenda dell’azione pubblica in educazione.
La difficile convivenza tra i principi della school choice e i benefici della diversità sociale non può risolversi nell’abdicare alla promozione della eterogeneità sociale come componente della scuola, strumento fondamentale per la coesione sociale.
“Darsi il coraggio”
I livelli di segregazione hanno un’evidente rilevanza dal punto di vista dell’equità. Un nodo, ad oggi irrisolto, da sciogliere smentendo la massima manzoniana: indispensabile è, infatti, “darsi il coraggio”, almeno per due motivi.
A fronte di processi di concentrazione sociale delle fasce deboli le azioni compensative del disagio non sono sufficienti come illustrano le forti critiche su esperienze consolidate[17]. Il problema è evitare le configurazioni che rallentano la diversità sociale sia nelle scuole con prevalenza di studenti di classe sociale elevata, sia nelle scuole con presenza maggioritaria di studenti di background popolare. Una questione che investe tutti. Richiede un’interazione fruttuosa tra le politiche educative, di welfare e urbanistiche con un rescaling dei modelli di intervento.
Il varo di una strategia per l’equità di trattamento tra studenti di diversa estrazione sociale è un’ardua impresa per una seconda ragione. Da affrontare, infatti, non è solo la promozione della diversità sociale nelle scuole e nelle classi, ma anche, e soprattutto, la de-segregazione delle scuole attuali. A questo fine un’azione pubblica in questa direzione non può avere un unico format; deve essere costruita cooperativamente su misura nei singoli contesti[18].
In entrambe le direzioni la posta in gioco per gli studenti delle nostre scuole e per il nostro Paese è di assoluto valore.
[1] Coleman, J. S., Equality of Educational Opportunity, Washington (D.C.), National Center for Educational Statistics, Washingotn (D.C.), 1966 p. 3.
[2] Ranci, C., “Separati a scuola. La segregazione scolastica a Milano”, Social Cohesion Paper, 1 (2019) p. 1.
[3] Thrupp, M., “The School Mix Effect: The History of an Enduring Problem in Educational Research, Policy and Practice”, British Journal of Sociology of Education 16, no. 2 (1995): 183–203. http://www.jstor.org/stable/1393367.
[4] “Molte persone definiscono una buona scuola non come quella con strutture lussuose o insegnanti altamente pagati, ma come quella con ‘il giusto’ tipo di studenti”. Jenks C.S. et al. (1972). Inequality: A Riassessment of the Effect of the Family and Schooling in America. Basic Books, New York 1972, p. 29.
[5] Cardone M., Falzetti P. e Severoni A. “Equità o segregazione scolastica? L’effetto della composizione delle classi sull’apprendimento degli studenti”, Working Paper N. 25/2015, INVALSI, Roma 2015. SI veda anche “La segregazione scolastica in Italia ed i suoi effetti”, III SEMINARIO “I DATI INVALSI: UNO STRUMENTO PER LA RICERCA” BARI, 26-28 ottobre 2018.
[6] Romito M., “Social origin and school guidance: Guidance practices in student’s high school choices”, Etnografia e ricerca qualitativa, 7, 3 (2014): 481-504.
[7] Argentin G., Triventi M. (2015), “The North-South divide in school grading standards: new evidence from national assessments of the Italian student population”, Italian Journal of Sociology of Education, 7, 2: 157-185.
[8] Ranci C. e Pacchi C. (a cura di), White flight a Milano, Franco Angeli, Milano 2017.
[9] Barberis E. e Violante A., School segregation in four Italian metropolitan areas: Rescaling, governance and fragmentation of immigration policy, Belgeo, 2017.
[10] Cfr. Zanella C., “White flight: così In Italia nascono le scuole ghetto”, Huffpost 21 giugno2022; Albert Ludovico, “Dobbiamo iniziare a parlare del problema della segregazione scolastica”, L’espresso, 7 novembre 2022.
[11] “Analisi precedenti utilizzando i dati dei cicli successivi di PISA, dal 2009 al 2015, … hanno trovato un rapporto negativo tra la distribuzione degli studenti nelle scuole e l’equità nell’istruzione”, OECD, Balancing School Choice and Equity: An International Perspective Based on PISA, PISA, OECD Publishing, Paris 2019 p. 1.
[12] “I paesi/economie partecipanti al PISA in cui le scuole erano meno diversificate socialmente tendevano anche ad avere il più forte rapporto tra status socioeconomico e prestazioni”, OECD, op. cit. 2019, Figure II, 4.9.
[13] Argentin G., Abbati G. e Gerosa T., “Non proprio la stessa scuola. Segregazione degli insegnanti tra scuole e abbinamento insegnanti-studenti come meccanismi nascosti di disuguaglianza nel sistema scolastico italiano” in Falzetti P. (a cura di), I dati INVALSI: uno strumento per la ricerca, Franco Angeli, Milano 2017, pp. 109-209.
[14] Givord P., 2019. “How are school-choice policies related to social diversity in schools?“, PISA in Focus 96, OECD Paris 2019, p.2.
[15] OECD, op. cit. 2019
[16] Cfr. Ranci C. e Pacchi C., op. cit. 2017.
[17] Davezies L. e Garrouste M., “More Harm than Good? Sorting Effects in a Compensatory Education Program”, Journal of Human Resources January 2020, 55 (1) 240-277 http://dx.doi.org/10.3368/jhr.55.1.0416-7839R1.
[18] Argentin G., Barbetta G. e Manzella E. “Un consiglio che orienta alla disuguaglianza”, La voce Info, 28 giugno 2023.