“Signora, il ragazzo sembra intelligente, ma si impegna sempre di meno”. La frase ascoltata nel lontano 1968 nei corridoi del ginnasio si riferiva a me, ragazzo di piccola borghesia, figlio di maestri di scuola elementare.
Mia madre sconcertata dall’ultima frase… anche la professoressa di matematica: “Signora, è un ragazzo neutro, senza infamia e senza lode”.
“Era un bambino obbediente e diligente alla scuola elementare ed anche alle medie poi, si sa… lo sviluppo…” si scusa mia madre per il “criminale” che stavo diventando.
Una storia come tante di un costante principio quasi prevalentemente denigratorio e soprattutto ricco di sentenze… poi sono passati gli anni!
La Valutazione è un processo formativo
Pur con lentezza, dall’ispirazione degli articoli 3 e 34 della Costituzione e dell’autentica bomba pedagogica della legge 517 del 1977, la scuola fa passi importanti sul piano psicopedagogico, ma non è così per tutti i docenti.
Per questo si è cercato di dare senso allo sviluppo psicopedagogico attraverso interventi normativi. Il “vecchio” DM 122/2009 emesso per tutti gli ordini di scuola così recitava:
«Ogni alunno ha diritto ad una valutazione trasparente e tempestiva (…) La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni. La valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso l’individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo».
Si tratta di un passo importante, consolidato poi dal Decreto legislativo 62/2017: «La valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove l’autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze».
2020, il giudizio descrittivo
A ridosso del Natale 2020 finalmente arriva, per norma e sulla base di un’“inquieta” convinzione pedagogica dei tanti errori del passato, l’abolizione dei voti alla scuola primaria e l’apertura ad una procedura che prevede il giudizio descrittivo.
Si tenta, come spesso avvenuto nel nostro Paese, di partire dalla Scuola Primaria per coinvolgere tutto il sistema scolastico nell’evitare l’uso di numeri per designare il valore di bambini e ragazzi evidenziandone il carattere sentenzioso e negativo oltre che una visione obsoleta della valutazione come giudizio.
Per la scuola primaria si apre un periodo che punta sostanzialmente ad un maggiore rispetto della crescita di bambine e bambini e la conseguente prevenzione delle corse ad accelerare gli apprendimenti, spesso volute dagli adulti
Non è una novità
La novità è… che questa novità è antica: nasce dal disposto di una legge (la 517 del 4 agosto del 1977) che aveva posto l’Italia al primo posto d’Europa in fatto di valutazione ed inclusione. Era già così oltre 40 anni fa. Poi la ministra Gelmini nel 2008 aveva riaperto la porta alla pagella con i voti numerici firmando, lei stessa, la legge 30 ottobre 2008, n. 169 (art. 3: Dall’ anno scolastico 2008/2009, nella scuola primaria la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite sono effettuati mediante l’attribuzione di voti espressi in decimi) e il successivo regolamento (DPR 122 del 22 giugno 2009).
I genitori più adulti, che accompagnano oggi i figli nella scuola primaria o nella secondaria di primo grado, troveranno nei cassetti dei loro ricordi un documento di valutazione descrittivo che parla proprio di loro. Questi stessi genitori (non tutti) cercano oggi sull’Iphone la conferma del 9 in geometria del proprio bambino, magari commentando: “prende solo 7 in italiano ma è un genio in matematica”.
la politica è balbuziente…
Negli ultimi 15 anni, la spinta della parte migliore (forse residuale del Paese e del Parlamento) ha preteso il rispetto dei bambini nella loro crescita e la prevenzione delle corse degli adulti. I promotori sono quelli che hanno studiato di più, conoscono di più, ascoltano, approfondiscono ed argomentano… pensano e non sintetizzano con etichette. Nell’autunno scorso uno dei vincitori della lotteria (“è uscito il numero 911, l’ho comprato, ora sono deputato”) è perfino intervenuto in un dibattito parlamentare adducendo che per gli italiani il voto numerico è più chiaro, bisogna tornare indietro. Ovviamente questa oscillazione non è immune alle resistenze dei docenti che, in parte a ragione, pensano che la riflessione e il processo di valutazione descrittiva nell’aumentare il proprio lavoro a casa e a scuola, non trovi sempre l’attenzione dei genitori.
… è una questione di professionalità
Oramai – non senza fatiche di vario genere e qualche scoglio e connessi inciampi – la valutazione delle bambine e dei bambini si svolge nel senso di un nuovo valore aggiunto: «la valutazione […] concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo di tutti e di ciascuno». L’ampia produzione editoriale destinata alla formazione dei docenti della scuola primaria ha raggiunto buoni livelli scientifici e importanti livelli di proposte per una didattica della valutazione proattiva.
È importante che la scuola argomenti e spieghi ai genitori quali sono i punti di forza di ciascun bambino e bambina per orientarli al meglio che possono e potranno fare a scuola e forse anche nella vita. Tutti i bambini hanno punti di forza. Si tratta in maniera concreta e partendo da una seria preparazione, di dare spazio a quella nota zona di sviluppo prossimale ben descritta da Lev Vygotskij.
Quale descrizione valutativa
La vita non dà voti, presenta prove. Le prove della vita richiedono sperimentazione, l’indispensabile e formativo passaggio per l’errore, come del confronto con altri coetanei. Sappiamo bene che l’esistenza da bambini come da ragazzi, giovani ed adulti presenta contesti, occasioni, situazioni facilitanti o difficili. Sarà importante avere conoscenze per capire e ragionare, strategie per attrezzarsi a convivere con le situazioni ed i problemi, sicurezze (consolidate dalle presenze affettive ed emotive) per prendere iniziative, avere un atteggiamento critico e costruttivo.
Occorrerebbe interrogarsi su come saranno I ragazzi e i giovani che hanno una buona visione di sé a 16 anni, e su come saranno a 23 anni quelli che non hanno (né hanno avuto) paura di cadere, ma la certezza di potersi rialzare continuamente. Ecco perché non servono né i 3 né i 10 e lode: entrambi non facilitano la crescita e la consapevolezza, creano i miti dell’uomo nero e del principe salvatore.
Sarebbe probabilmente più fruttuoso creare il miglior ambiente di apprendimento e, in tale fattivo e proattivo contesto, analizzare i processi di apprendimento, condividere le difficoltà, dialogare sui momenti di crisi e di perdita della propria fiducia ed autostima: sono e saranno questi gli elementi essenziali del vivere a scuola. Le difficoltà si affrontano e si superano vivendo le sensazioni di freddo e di caldo, di lontananza e di vicinanza ed in cui quell’«aiutami a fare da solo» e «non annoiarmi con i tuoi insegnamenti» (Maria Montessori) devono essere gli assi portanti della professione docente.
Dalla Montessori a noi, semplici maestri
Chi insegna sa di non sapere. È il dubbio in persona, ama l’orizzonte e non vede gli scogli o le baie. Capisce che ci saranno rotte e soste utili, ma, da buon comandante e saggio timoniere, comprende la difficoltà di viaggiare controvento così come gode per la soddisfazione di avere la luce del sole o quella della stella polare a riscaldare o aiutare l’orientamento.
Chi insegna e sa guidare è il regista dei processi educativi e di apprendimento: non spiega, organizza, stimola e poi lascia imparare provando e sbagliando e riprovando.
L’insegnante insicuro è una contraddizione in termini.
Chi sa stare con i bambini e con i ragazzi vive pezzi memorabili della propria storia di vita a scuola ma soprattutto di vita personale su un pianeta che è fatto di mare, di sole e di cieli.
Chi insegna si emoziona per gli errori e per i successi dei piccoli che orienta e guida. Ama il silenzio, adora ascoltare, osservare. Sistema scrupolosamente, nella memoria della propria storia professionale, l’ansia laboriosa di Valentina, il vorticoso procedere di Giuseppe, la gioia soddisfatta del piccolo Andrea, la confusione e voglia di cantare e ballare della piccola Imma, la genialità di quel bambino con disabilità che è un punto di forza in una classe di “normodotati” anche un po’ monotoni.
Lasciamo ad altri il titolo di prof… (brutta consonante per finire una parola). Meglio maestri… come Alberto Manzi, Mario Lodi, Gianni Rodari e, volendo e potendo, Leonardo da Vinci.
Alla prossima!