Il 23 dicembre 2022 l’onorevole Rampelli, insieme ad altri ventidue deputati, ha presentato alla Camera la Proposta di Legge n. 734 con l’obiettivo di creare un nuovo vettore culturale e identitario della Nazione. La proposta, infatti, intende dettare nuove “Disposizioni per la tutela e la promozione della lingua italiana” e prevede di istituire un Comitato ad hoc. Il 31 marzo 2023 il testo è stato assegnato alle Commissioni riunite Affari Costituzionali (I) e Cultura (VII) decretando l’avvio del suo iter parlamentare fino alla discussione in aula e alla votazione. Secondo i deputati, promotori dell’iniziativa, ci vuole una legge per evitare il rischio di estinzione della nostra lingua.
La proposta di legge
La proposta, suddivisa in 8 articoli, intende legittimare l’italiano come idioma ufficiale della Repubblica, in modo da conferirle un rilievo costituzionale.
Nel primo articolo del testo si dice che “La lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica, che ne promuove l’apprendimento, la diffusione e la valorizzazione”. Il presupposto di partenza è che la lingua italiana sia un patrimonio di tutti gli Italiani da dover difendere dall’ineludibile processo di affievolimento.
Il secondo articolo prevede che la lingua italiana sia obbligatoria per la promozione e la fruizione di beni e di servizi pubblici nel territorio nazionale, e che tutti gli enti pubblici e privati siano tenuti “a presentare in lingua italiana qualsiasi descrizione, informazione, avvertenza e documentazione relativa ai beni materiali e immateriali prodotti e distribuiti sul territorio nazionale”. Per i trasgressori sono previste sanzioni amministrative consistenti nel pagamento di una somma da 5.000 euro a 100.000 euro (art. 8). Il controllo è a cura di un Comitato, istituito presso il Ministero della cultura, e concepito come un organismo di ausilio al Governo. Quindi, anche le scuole devono stare bene attente ad utilizzare nei propri documenti sempre termini in lingua italiana.
Lingua ufficiale della Repubblica?
Per affermare che la lingua italiana sia quella ufficiale della Repubblica, è necessario che ci sia un fondamento costituzionale. I principi costituzionali non contengono, però, alcuna diretta affermazione a riguardo. Va ricordato, invece, che tale principio è contenuto negli Statuti speciali del Trentino Alto Adige e della Valle d’Aosta, e che è anche esplicitamente dichiarato dalla legge ordinaria n. 482/1999 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche) e da alcune Sentenze della Corte costituzionale (n. 28/1982 e n. 159/2009). Per tali ragioni i firmatari della proposta ritengono che sia indirettamente desumibile dallo stesso testo costituzionale, in modo particolare dall’articolo 6.
Ma la Costituzione non lo dice
In realtà, nell’articolo 6 della Costituzione si dice in maniera chiara che “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche“. Il riconoscimento delle diversità linguistiche si coniuga con il principio della centralità della persona umana garantito dall’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali”, e con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3, c. 1 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”.
Nella Carta costituzionale, quindi, non vi è una sola parola a proposito della lingua italiana come baluardo a tutela dell’identità dello Stato.
Le Sentenze della Corte costituzionale
Nel solco tracciato dalla nostra Costituzione si collocano due Sentenze della Corte Costituzionale: la n. 28/1982 e la n. 159/2009. La prima, “conferma per implicito che il nostro sistema riconosce l’italiano come unica lingua ufficiale, da usare obbligatoriamente, salvo le deroghe disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari, da parte dei pubblici uffici nell’esercizio delle loro attribuzioni”, pertanto qualifica l’italiano come espressione dell’appartenenza del suo popolo ad una sola comunità nazionale.
La Sentenza n. 159/2009, ponendosi come pietra miliare della giurisprudenza costituzionale in tema di tutela delle minoranze linguistiche storiche, mantiene fede all’orientamento della legislazione statale nella definizione dei limiti “di individuazione delle lingue minoritarie protette, delle modalità di determinazione degli elementi identificativi di una minoranza linguistica da tutelare…” e conclude confermando la “ineludibile tutela della lingua italiana”.
Tentativi del passato
Già in alcune precedenti legislature erano state presentate proposte di legge tendenti ad inserire, nella nostra Costituzione, una norma che sancisse solennemente la lingua italiana come fondamento culturale della Nazione e lingua ufficiale della Repubblica, ma gli esiti non risultarono, allora, quelli sperati.
Il motivo della non approvazione di tale istanza può essere ragionevolmente ricondotto sia all’emanazione della legge generale di tutela delle minoranze linguistiche, la legge 482/1999, che ha dato attuazione, dopo oltre 50 anni, al disposto dell’art. 6 della Costituzione, sia alla riforma del Titolo V della Costituzione che consacrava lo Stato e le autonomie locali come parti egualmente costitutive della Repubblica.
Le motivazioni alla base della proposta di legge
Nella proposta di legge viene ricordata l’importanza del contributo della lingua italiana e della sua letteratura alla cultura mondiale (“occupano il quarto posto tra quelle più studiate al mondo”) e vengono menzionate le sfide e le minacce che la nostra lingua si trova oggi ad affrontare: la globalizzazione, il linguaggio digitale e il monolinguismo internazionale dell’inglese.
Il linguaggio è un fattore cruciale nella diffusione della globalizzazione culturale e l’inglese è lo strumento di comunicazione che consente alla popolazione mondiale di interagire e sentirsi protagonista sullo scenario della contemporaneità. Il dominio internazionale della lingua inglese ha fatto sì che chi parla solo l’italiano rischi di essere fuori dai processi. Il rischio dell’“inquinamento” da troppi anglicismi desta preoccupazione per lo “stato di salute” della nostra lingua e anche per le ripercussioni sull’intera comunità nazionale.
Non si può non prendere atto che l’italiano stia perdendo in media un centinaio di parole l’anno, sostituite da anglicismi anche là dove esistono perfetti equivalenti semantici. La Proposta di legge rappresenta una difesa identitaria anche contro l’intrusione indiscriminata di gerghi dialettali e di neologismi provenienti dal linguaggio universale del web.
L’Accademia della Crusca, pur bocciando l’intento della Proposta di legge di sanzionare l’uso delle parole straniere, ha, tuttavia, da tempo segnalato la necessità di una maggiore tutela dell’italiano e del suo utilizzo a partire dalla terminologia amministrativa da parte del Governo.
La tutela del multilinguismo
In realtà, l’italiano non è l’unico valore da preservare, ma anche il multilinguismo europeo, vettore essenziale della cittadinanza democratica, va tutelato.
L’Unione Europea e il Consiglio d’Europa hanno da sempre sostenuto che la molteplicità e la varietà linguistica, intesa come ricchezza, siano un bene da difendere e promuovere con politiche di protezione e valorizzazione. Ciò che rende l’Europa una vera famiglia è la scelta dell’unitarietà e la coesione nella diversità culturale e linguistica, nella peculiarità di dottrine e credenze, nella tipicità di usi e costumi. Una grande famiglia umana è quella che sa celebrare la diversità in quanto fonte inesauribile di ricchezza.
Le differenze come risorse
Negli ultimi decenni tali organismi europei si sono occupati della tutela delle lingue minoritarie e regionali, dei dialetti, delle comunità alloglotte all’interno dei Paesi membri, delle lingue nazionali poco diffuse e dell’aumento delle competenze in lingue straniere, non solo europee. In un’epoca caratterizzata da una sempre più rilevante mobilità internazionale, l’azione politica e culturale dell’Europa ha come obiettivo quello di affiancare e sostenere la crescita di un cittadino europeo titolare di prerogative linguistico-culturali, ma al tempo stesso aperto alla tolleranza e al dialogo con lingue e culture diverse dalla propria, senza considerare che le competenze linguistiche incrementano le opportunità di studio e di lavoro, stimolano la comunicazione interculturale, l’integrazione, la creatività, l’innovazione, la prosperità: e con essa il benessere comunitario.
E le lingue degli immigrati?
Nella politica di inclusione linguistico-culturale c’è, però, un lato oscuro che diventa ancora più visibile nelle società dei Paesi membri dell’UE: la presenza delle lingue materne ed etniche dei milioni di immigrati che sono divenuti cittadini europei, o per nascita, o per il fatto di essersi insediati stabilmente nel nostro continente da un certo numero di anni. Le lingue di origine con cui i migranti si esprimono al loro primo accesso nei nostri Paesi, non possono essere ignorate. Il rischio è che scompaiano per via di un progressivo processo di assimilazione. In genere le stesse comunità cercano di proteggerle organizzandosi autonomamente.
In contrapposizione alla visione dominante della mondializzazione tendente al monopolio di un’unica lingua di comunicazione, occorre difendere il multilinguismo sociale e affermare la superiorità di un plurilinguismo fondato su tanti patrimoni culturali. La lingua, accesso privilegiato ad ogni tipo di cultura, aiuta a comprendere modi di vivere diversi dai nostri e aiuta a capire ed accettare le differenze.