Ci sono due approcci che si confrontano dopo la pandemia, discordi in parte, ma concordi nella speranza che essa possa dirsi definitivamente alle nostre spalle. Il primo si riassume nell’idea che occorra tornare (il più presto possibile) alla normalità, cioè quella precedente alla pandemia. La seconda che occorra, invece, approdare ad una normalità di nuovo conio. Per la verità, nella storia, i tentativi di piegare le lancette dell’orologio verso il passato sono risultati, per lo più, fallimentari. Non si torna mai “a prima”, ma “a dopo”. Per quanto la visione “lineare”, nel corso degli eventi, comporti riserve e disillusioni, è bene giovarsi dell’esperienza, ma per guardare avanti, non indietro.
Il refrain “si è sempre fatto così”
Se vogliamo trarre degli insegnamenti da quanto dolorosamente abbiamo vissuto negli ultimi tre anni, dobbiamo fare memoria, rivisitando, anche criticamente, abitudini e consuetudini, riflessi condizionati e stili di vita, valutando se possano esserci soluzioni ulteriori per dare senso a una vita sociale rinnovata, anche in ambito scolastico. C’è un’espressione nella scuola tanto rivelatrice quanto raggelante: “si è sempre fatto così”. Comporta inerzie, pigrizie, oscuramento di ogni speranza di cambiamento. Bisognerebbe rovesciarne il significato: proprio perché si è fatto sempre così, forse è giunto il momento di verificarne l’efficacia.
Dopo i DPCM
Prendiamo i viaggi di istruzione dopo il prolungato interdetto dei DPCM: “sono sospesi i viaggi d’istruzione, le iniziative di scambio o gemellaggio, le visite guidate e le uscite didattiche comunque denominate, programmate dalle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado…”. Da questo anno scolastico essi sono nuovamente possibili. Si tratta di un’esperienza indubbiamente importante, che può essere molto interessante, che mobilita aspettative di socialità e di relazione tra docenti e studenti, tra studenti e studenti, tra famiglie e scuole. Ma non è detto che debbano essere ripresi sic e et simpliciter come se nulla, nel frattempo, fosse accaduto. Sarebbe ingannevole. Si tratta, piuttosto, di avviare, con ponderazione, serenità, valutazione dei pro e dei contro, dei costi e dei benefici, un’impostazione rinnovata.
Non sono “gite”
Spesso si sente ripetere la parolina “gite”. Ciascuno si esprime come crede e come può. Ma il problema è di sostanza e non di forma. È chiaro che parlare di “gite” rivela un travisamento. La considerazione preliminare è che i viaggi di istruzione dovrebbero coerentemente far parte dell’offerta formativa, del curricolo di istituto, del Profilo educativo, culturale e professionale (PECUP) previsto nelle diverse opzioni del secondo ciclo. Non dovrebbero essere à la carte, ma qualcosa di inserito nella corretta programmazione scolastica, nella forma di una proposta di cui la scuola si fa carico e che rivolge, in modo trasparente, alle famiglie e agli studenti. Questo “onere della proposta” è indispensabile. Non può trattarsi di una mera individuazione di mete, ma dell’elaborazione di progetti educativi, culturali, didattici. Dobbiamo ripartire dopo tre anni di pandemia, non senza contenziosi (tra Uffici legali, Avvocatura dello Stato, Agenzie di viaggio) che si trascinano, in taluni casi, ancora irrisolti dall’anno scolastico 2019/2020. E dobbiamo tener conto che casi di “positività”, indotti dal Covid, per quanto mitigati mitigati, circoscritti e limitati della campagna vaccinale, purtroppo, sono ancora in atto. Di realmente obbligatorio, quindi, c’è solo la cautela.
Evitare il déjà vu
Non vogliamo sfuggire al compito di porci qualche domanda scomoda, o basica, o, se si preferisce, radicale. Per esempio: a cosa servono i viaggi di istruzione? Perché organizzarli? Davvero basta assecondare pigramente il déjà vu e quel che si è fatto sinora? Oppure è bene ripensarli, reinventarli, rimotivarli, per meglio orientarli? Sarebbe utile considerare l’attuale anno scolastico ancora segnato da una transizione. I viaggi di istruzione, come altre attività, non vanno esclusi, ma ripresi con un certo margine di ragionevole gradualità. Quindi, in primo luogo, partire da una proposta della scuola, sulla base dell’attività didattica, come suo proseguimento con altri mezzi, alla quale faccia seguito un’ordinata programmazione affidata agli organi collegiali, segnatamente ai Consigli di classe, alla moral suasion tra corpo docente, famiglie e studenti.
Equipaggiarsi
Non c’è impresa che non comporti un equipaggiamento adeguato. Dopo il triennio da cui speriamo di esserci congedati definitivamente, è indispensabile ricostituire le condizioni organizzative favorevoli. Tre anni comportano un oggettivo turn over, nelle scuole, tra pensionamenti e new entry. Una soluzione di continuità che va superata. Bisogna prevedere un presidio nel funzionigramma, responsabili d’Istituto, referenti e accompagnatori, classe per classe; quindi l’azione dei Consigli di classe, precoce, tra ottobre e novembre, messa a verbale, immaginando che ciò che si imposta allora possa essere confermato poi, sei mesi più tardi, nell’incastro tra le ipotesi formulate e le soluzioni definitive. La questione dei viaggi di istruzione è di grande impegno e delicatezza. Altamente sconsigliabile ogni disinvoltura, leggerezza, superficialità, per quanto non voluta.
Adempimenti o risultati?
Raramente le scuole sono state caricate da così tanti adempimenti, che vanno progressivamente accentuandosi, come in questi anni, e questo è anche l’anno d’avvio del PNRR, questione tutt’altro che banale. Governare significa saper compiere delle scelte, possibilmente le migliori tra quelle legittime rispetto al nuovo Codice dei contratti pubblici. Senza una struttura organizzativa adeguata non c’è prodotto educativo conforme alle attese. I viaggi di istruzione, la cui peculiarità è costituita dal soggiorno e dal pernottamento, implicano indifferibili procedure non prive di una certa complessità, con un’attività negoziale, determine a contrarre, bandi, comparazioni a evidenza pubblica, aggiudicazioni, contratti, ecc. Uno strumento di maggiore praticità, non meno utile sul piano didattico ed educativo, sono le uscite didattiche, anch’esse “viaggi di istruzione”, ma che si svolgono nell’arco della giornata. Ogni angolo del nostro Paese ha mete prossime di grande valore raggiungibili nell’arco della giornata anche con il trasporto pubblico.
Un punctum dolens
L’idea della “decrescita felice” non è da tutti condivisa. Più persuasivo è il concetto proposto in sede europea: una crescita inclusiva e sostenibile. È pienamente legittima l’iniziativa privata. Solo che l’art. 41 della Costituzione andrebbe letto tutto: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale (…). La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
“Iniziativa privata” e “utilità sociale” dovrebbero essere complementari, specie quando si riferiscono al mondo della scuola, per definizione non profit. Ora, è fuori discussione il massimo rispetto per il mondo delle agenzie di viaggio e del correlato indotto di trasporti, ricettività alberghiera e ristorazione, un settore economico e commerciale che giustamente cerca di fare la sua parte. Forse è al contempo il caso di evidenziare:
- che si tratta di un comparto che viene da tre anni oggettivamente terribili;
- che ha subito un’autentica decimazione indotta dalla crisi provocata dal Covid;
- che quest’anno, con la ripresa dei viaggi di istruzione, come in un “rimbalzo” indotto dalla paralisi precedente, si registrano, relativamente ai viaggi di istruzione, aumenti non privi di un certo rilievo;
- che si parla molto di inflazione in altri ambiti, da quello energetico a quello alimentare, che è strano come passi sotto silenzio la lievitazione dei prezzi in atto in questa specifica filiera che pure tocca così da vicino i bilanci delle famiglie.
Si tratta di un punctum dolens che deve indurre riflessioni attente.
E se dopo aver ordinatamente e faticosamente programmato i viaggi di istruzione, facendosi carico di un lavoro accurato, si finisce per scoprire che certi viaggi di istruzione non sono più possibili, in quanto non compatibili con le disponibilità reali delle famiglie? Insomma, se la cautela non è stata preventivata, deve necessariamente essere recuperata nelle decisioni finali. Torna alla mente un adagio di Marcel Proust, non privo di contenuti educativi, secondo il quale “L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi”. Ed è di questo che la scuola – non quella del “si è sempre fatto così”, ma quella del “come si può far meglio?” – deve, in primo luogo, farsi interprete.