La legge sull’autonomia scolastica, a partire dagli anni ’90, ha conferito alle scuole responsabilità di natura didattica, organizzativa e di ricerca e potenziato la consapevolezza che la formazione in servizio rappresenta un fattore strategico per la qualità dei sistemi educativi, nella direzione dell’innovazione delle prassi didattico-metodologiche. In considerazione del ritmo sempre più elevato con cui le conoscenze divengono obsolete, i docenti hanno necessità di acquisire, analizzare e validare, attraverso la pratica, saperi professionali trasversali e riflettere su di essi.
Con l’autonomia cambiano i bisogni formativi
A partire da questi anni si è accentuata, pertanto, la necessità di una formazione basata sulla soluzione di problemi e sulla condivisione/riflessione che vede la scuola come ambiente di apprendimento collettivo. È legittimo, quindi, alla luce di quanto premesso, partire da alcune riflessioni sui risultati prodotti e sui cambiamenti avvenuti in fatto di formazione.
- Quale tipo di cultura della formazione si è sviluppata in questi anni nelle scuole autonome?
- Di quali strumenti si sono dotate le scuole per sostenere il processo dell’autonomia da un punto di vista formativo?
- Quali modelli formativi sono stati prevalentemente sperimentati?
L’autonomia, dal punto di vista dei bisogni professionali e delle conseguenti azioni formative, è stata sviluppata in questi anni attraverso diversi modelli di formazione: socio-organizzativo, metodologico-didattico generalista, ricerca-azione a dimensione collaborativa e supervisionata, autoformazione a carattere attivo e interattivo. L’introduzione delle Funzioni Obiettivo (art. 28 CCNL 1998-2001) e poi Strumentali (Art. 30 CCNL 2002-2005) con le quali si intendeva valorizzare il patrimonio professionale dei docenti, per la realizzazione delle finalità istituzionali della scuola, ha offerto l’opportunità di individuare e istituzionalizzare la figura dei facilitatori della formazione, coordinatori e costruttori di gruppo a sostegno del lavoro dei docenti.
Piani a supporto della formazione
È illuminante e dirimente fare riferimento ad alcuni modelli che, in questi anni, hanno popolato il palcoscenico formativo. Se ne propone una ragionevole sintesi.
- Il modello formazione PON/INDIRE sugli apprendimenti di base[1], a partire dallo studio e dall’analisi di pratiche innovative testate e validate, propone al docente di progettare un intervento didattico e sperimentarlo nella classe, attraverso l’autoanalisi dei propri bisogni formativi e di contesto, il confronto tra pari, la restituzione e la riflessione finale.
- Il Piano nazionale per la scuola digitale (PNSD)[2] è uno strumento di programmazione, introdotto dalla legge 107/2015, pensato per accompagnare il processo di trasformazione digitale della scuola italiana con azioni in tre ambiti di intervento: Connettività, Ambienti e Strumenti, Competenze e Contenuti. Il Piano, con l’introduzione dell’animatore digitale in ogni scuola, ha inteso promuovere una formazione/accompagnamento per valorizzare, in chiave sistemica, l’attività di sperimentazione dei singoli e delle reti.
- Il PNFD, recepito con DM 797/2016[3] è una forma evoluta di organizzazione territoriale della formazione che, attraverso le Reti di Ambito, ha realizzato un modello di governance tra priorità nazionali e bisogni specifici delle singole scuole. Dalla priorità assoluta assegnata alle tematiche nazionali nel primo triennio (2016-2019), il modello si è evoluto, nel secondo triennio, (2019-2022) destinando soltanto il 40% delle risorse alle tematiche nazionali e affidando, con la rimanente quota del 60% all’autonomia delle singole scuole la progettazione della formazione.
- Il Piano di formazione dei docenti neoassunti D.M. 850/2015 rappresenta una vera svolta nella formazione iniziale. Introduce un modello dinamico e partecipato.
Uno sguardo speciale alla formazione dei neo assunti
Il piano di formazione proposto prima dal DM 850/2015, e più recentemente dal DM 226/2022, va oltre l’azione routinaria e trasmissiva e rilegge i processi formativi con azioni integrate di progettazione, osservazione, riflessione tra pari, approfondimento/studio su piattaforma dedicata e formazione laboratoriale. Il percorso istituzionale supera l’idea stantia della formazione inziale come adempimento burocratico e, partendo dall’accoglienza nella comunità professionale, punta al coinvolgimento completo del docente nella comunità in cui opera. C’è una particolare attenzione alla cura professionale che valorizza la dimensione simmetrica tutor/docente, favorisce l’arricchimento reciproco, stimola l’atteggiamento di ricerca e la co-costruzione dei processi (debriefing). Gli strumenti che si mettono a disposizione sono: il bilancio iniziale e finale, il patto formativo e di sviluppo professionale, il Portfolio/dossier. Tale percorso virtuoso è stato recentemente rilanciato dal citato DM 226/2022 il quale incentiva la cooperazione, il dialogo professionale, la riproducibilità delle prassi. Sottolinea la funzione strategica del Dirigente nel promuovere lo sviluppo professionale dei docenti, e lo richiama ad una maggiore vicinanza e presenza alla vita d’aula, presidiando i processi didattico-formativi e i rapporti relazionali: Entrambi costituiscono una risorsa decisiva per il miglioramento della scuola.
Verso modelli di formazione cooperativa
La forte discontinuità, l’incertezza, fragilità e, sopraggiunte, le attuali emergenze impongono un ripensamento della formazione in servizio e la ricerca di un modello che possa rinsaldare i legami professionali. Si tratta di ristabilire un patto educativo di fiducia, di trovare, nella comunità educante, le direttrici giuste affinché sia possibile un cambiamento consapevole: dalla condivisione delle pratiche all’etica della responsabilità.
È da ritenersi necessario per rilanciare modelli cooperativi di formazione, partire da alcuni paradigmi che si possono rintracciare, per esempio, all’interno di diversi documenti particolarmente significativi. Si ricorda “il documento del lavoro” della Direzione generale per il personale scolastico del 2018, dal titolo “Sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio”[4].
Una formazione in grado di dare risposte concrete
Volendo delineare una formazione adeguata e funzionale all’attuale scenario educativo bisogna evitare di ricadere nel modello “mordi e fuggi”, nella formazione episodica e decontestualizzata. Bisogna puntare, invece, su modalità in grado di dare risposte concrete alle esigenze dei docenti e delle singole scuole, e che rafforzino l’intesa e il dialogo professionale. Un modello, quindi, di tipo esperienziale, personalizzante, coinvolgente, contestuale, dinamico-riflessivo, collaborativo e condiviso. La scuola per migliorare ha bisogno di una formazione generativa che, partendo dalle esperienze, incida sulle stesse pratiche migliorandole e rendendole riproducibili nei processi, trasferibili nei contesti e flessibili nei tempi. Pensiamo ad una formazione guidata, affiancata e osservata, che assuma la riflessività come postura professionale permanente in grado di:
- promuovere il desiderio di apprendere dall’esperienza e capitalizzarla;
- costruire un sapere che possa essere re-investito nelle situazioni successive;
- creare occasioni di scambio, osservazione e dialogo;
- superare la mera acquisizione di tecniche per divenire ricerca ricorsiva tra teoria e pratica;
- utilizzare la narrazione come strumento di documentazione dei vissuti professionali;
- mettere in discussione le proprie strategie, metodologie e approcci teorici, oltre che i pregiudizi professionali, le convinzioni e i punti di vista, attuando un circolo virtuoso di controllo, valutazione e sviluppo della propria esperienza.
Ci sono domande da cui partire
Per avviare un ragionamento di messa a sistema di proposte formative che si muovono nelle direzioni sopra indicate risulta necessario porsi alcune domande:
- Quali modelli formativi sono maggiormente idonei ad assumere le prassi didattico-educative a oggetto di indagine?
- E quali sono in grado di rispondere ai consequenziali bisogni di affiancamento, condivisione, riflessione metaprofessionale, documentazione e capitalizzazione di saperi e vissuti professionali?
- Attraverso quali protocolli di progettazione/intervento? Quali strumenti di lavoro e quali soggetti coinvolti? Quali modelli di cooperazione e governance?
Osservazione, strumento privilegiato per migliorare la didattica
È necessario recuperare, come elemento qualificante dai modelli formativi finora descritti, l’osservazione strutturata quale elemento fondante per una formazione attiva, costruttiva, cooperativa e resiliente. I docenti capaci di osservare le proprie strategie di insegnamento sono in grado di attivare conoscenza e mettere in atto migliori pratiche didattiche.
L’osservazione che serve a notiziarela pratica didattica, descrivendone aspetti distintivi e passaggi chiave, permette di ragionare criticamente a partire dal proprio agito e di acquisire una postura riflessivapermanente e condivisa.
Per ringiovanire e rinvigorire i processi di formazione e dare rilievo a pratiche di osservazione e riflessione, bisogna mettere a sistema modelli già presenti nel “Documento di lavoro” del 2018, già citato[5] e ad alcune note ministeriali relative al PNFD[6] quali la formazione tra pari e il Visiting, integrandole con forme più o meno reticolari di Job shadowing. Si tratta di modelli di formazione definibili emergenti, soltanto perché ancora poco sperimentati.
Come mettere a sistema un protocollo
Mettere a sistema un protocollo di formazione basato sull’osservazione rappresenta un atto di responsabilità collettiva della comunità professionale che, parte dall’individuazione di situazioni problematiche (problem posing), aree d’interesse, punti di debolezza nelle sedi collegiali e nei gruppi preposti e prosegue con la costituzione di gruppi di studio/affiancamento, scelta di attività da osservare, strumenti e protocolli da utilizzare (progettazione), modalità di debriefing, processi di revisione, riadattamento e restituzione attraverso la narrazione e la documentazione. In definitiva, si tratta di un processo di formazione condiviso in cui tutti gli attori sono parte attiva.
Questo modello può essere qualificato come evento formativo sociale e cooperativoperché basato sulla co-costruzione, sull’analisi, sulla negoziazione e sulla riflessione per tutte le fasi del processo. All’interno, il docente si configura comeunagente decisionale consapevole, èstimolato e guidato alla rilettura delle azioni professionali che permette la revisione partecipata delle sue pratiche didattiche. Una formazione così articolata, favorendo il confronto, mette in circolo competenze e buone pratiche
Visiting e Job shadowing
Dalla formazione tra pari e l’osservazione strutturata dentro la scuola è possibile pensare a forme allargate di formazione sul campo. Il tirocinio osservato, in assetto di Visiting e Job shadowing, consentono di progettare percorsi di dialogo formativo a carattere immersivo, fondati su relazioni di rete, rapporti di reciprocità professionale. Tali azioni aiutano le comunità desiderose di impegnarsi in un percorso di ricerca e miglioramento.
Il Visiting e lo Job shadowing vanno intesi come pratiche che aiutano a costruire relazioni tra pari in rete e ad incrementa la capacità di leggere il contesto educativo. Il percorso presuppone la costruzione di forme organizzative, relazioni e strumenti di lavoro facilitanti che passano sostanzialmente da tre fasi:
- ideare l’esperienza e individuare aree d’interesse da condividere con altre scuole (approcci formali e non);
- progettare l’evento e sottoscrivere un atto negoziale formativo tra scuole (Convenzione, Accordo…);
- realizzare l’evento formativo (logistica e documentazione: report, dossier, interviste, video).
Le azioni virtuose connesse ai nuovi modelli formativi
Inevitabilmente, forme cooperative di formazione come quelle descritte aprono ulteriori scenari organizzativi e generano opportunità di scambio e sviluppo professionale. Ciò accade nelle pratiche educative in generale; negli scambi e nei prestiti professionali o di gemellaggi didattici (specialmente nell’ottica della continuità e dell’orientamento); nei processi di capitalizzazione delle esperienze come nella costruzione di archivi di scritture delle buone pratiche; ma anche nelle possibili alleanze formative con Associazioni professionali e Università.
In buona sostanza la costruzione di modelli di formazione consapevole tra contesto, relazione supervisione e affiancamentopresuppongono la messa a fuoco di alcune azioni virtuose:
- ruolo fondamentale, attivo e strategico del Dirigente quale leader educativo per la governance e la tenuta dei processi;
- gruppi di lavoro che interagiscono e stanno in uno «stato di dialogo e ricerca» continuo;
- ruolo dell’esperto quale facilitatore, consulente teorico, che ragiona con il gruppo;
- analisi del contesto in cui si colloca il contenuto della formazione e il confronto tra realtà scolastiche diverse;
- adozione del concetto di “buona pratica” fondata sull’idea di esperienza trasferibile;
- sostegno, supporto, accompagnamento organizzativo di docenti interni con esperienze professionali mature e solide.
Una formazione autorigenerativa
Una formazione così intesa ha, dunque, bisogno di istituire setting educativi, spazi didattici, regole rigorose, processi ricorsivi, contatti sistematici tra i docenti. Ha bisogno, cioè, di istituirsi come processo presidiato, sostenuto e accompagnato nella sua globalità e continuità.
Centralità del contesto e del processo, concretezza, pragmaticità e dialogicità permettono di riformulare la governance della formazione come nuovo modello pedagogico che esplicita e valorizza i vissuti personali, i saperi di tutti e le esperienze già realizzate.
Si tratta di una formazione che parte da sé e si rigenera in sé, nutrita dall’osservazione e dal confronto nel gruppo di lavoro-studio: un modello di carattere riflessivo e autoriflessivo che enfatizza le relazioni e che attribuisce senso a ciò che sta avvenendo nella sua pratica quotidiana.
L’osservazione, come metodo di formazione, avvicina le competenze dell’educatore a quelle del ricercatore, dell’intellettuale in azione, del costruttore di relazioni professionali virtuose.
Verso l’avvio del nuovo PNFD
Nell’ottica dell’avvio del nuovo PNFD, anche in riferimento alla quota del 60% assegnata alle istituzioni scolastiche, sarebbe auspicabile incoraggiare modelli di formazione cooperativa, offrire ai docenti opportunità per confrontarsi e lavorare insieme, riflettere sul vissuto professionale ed imparare l’uno dall’altro migliorando le proprie competenze.
In buona sostanza, un approccio alla formazione di tipo interattivo incoraggia la circolazione delle buone idee e lo sviluppo dell’innovazione, migliora i comportamenti professionali, favorisce la capacità di riorientare le scelte in coerenza alle esigenze del contesto.
Nel questo scenario, il Dirigente scolastico gioca un ruolo strategico di primo piano nel sostenere i processi di miglioramento e nel promuovere una professionalità sempre più consapevole e capace di affrontare insieme le sfide di una società in continuo cambiamento.
[1] https://www.indire.it/progetto/formazione-disciplinare-docenti-pon/
[2] https://scuoladigitale.istruzione.it/pnsd/
[3] https://www.miur.gov.it/piano-per-la-formazione-dei-docenti.
[4] https://www.flcgil.it/files/pdf/20180417/dossier-miur-sviluppo-professionale-e-qualita-della-formazione-in-servizio-del-16-aprile-2018.pdf.
[5] Nel Documento di Lavoro MIUR 2018 «L’insegnante attiva all’interno e all’esterno della scuola collaborazioni, riflessioni e confronti con altri professionisti, partecipando a comunità di pratiche (informali) ad associazioni di disciplina e professionali, anche attraverso scambi, gemellaggi, visiting, in dimensione europea. L’insegnante svolge un’autoanalisi sull’innovazione e sulle modifiche apportate alla progettazione alla pratica didattica a seguito delle attività di formazione, attraverso appropriate forme di documentazione»
[6] Note Ministeriali PNFD “il Piano di formazione d’istituto potrà comprendere anche iniziative di autoformazione, di formazione tra pari, di ricerca ed innovazione didattica, di ricerca-azione, di attività laboratoriali, di gruppi di approfondimento e miglioramento. Nel Piano sarà comunque necessario precisare le caratteristiche delle attività di formazione, nelle diverse forme che queste potranno assumere definendo le relative modalità di documentazione e attestazione».