Sono poche le riforme scolastiche che, nel dopoguerra, hanno realmente cambiato il nostro sistema d’istruzione. La più importante tra le poche è stata sicuramente l’istituzione della scuola media unica. Dopo vari tentativi esperiti nell’arco di un decennio, tutti miseramente falliti, il Parlamento riuscì ad approvare, il 31 dicembre del 1962, una legge “di struttura” del sistema educativo italiano, che ha contribuito a cambiare radicalmente la storia del Paese.
La grande svolta
A 15 anni dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (primo gennaio 1948), veniva attuato quanto affermava l’art. 34 della Carta costituzionale: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”.
La legge 1859 del 31 dicembre 1962 avviò di fatto la stagione dei governi di centro-sinistra, nei quali, per la prima volta, la democrazia cristiana ampliò il suo raggio d’azione coinvolgendo il partito socialista nel governo del Paese.
Contro questo provvedimento votarono le destre (movimento sociale e partito liberale) e, chi l’avrebbe mai detto, anche il partito comunista! Il voto contrario di quest’ultimo fu (in parte) determinato dall’abolizione del latino ma, più in generale, per l’avversione del PCI ad avallare la nascita del centro-sinistra.
Latino sì, latino no
Oggi questa contrapposizione può fare sorridere. In realtà il problema, su un piano diverso, si pone anche ora. Nelle file del partito comunista, aveva militato fino al 1957 (anno della sua morte), uno dei maggiori esponenti della nostra cultura classica, il deputato siciliano Concetto Marchesi, considerato il più raffinato latinista della tradizione letteraria italiana.
L’autorevole esponente del PCI, e con lui l’intero partito, aveva strenuamente difeso le posizioni del pensiero comunista, a cominciare dalle riflessioni di Antonio Gramsci, grande intellettuale sardo e fondatore del PCI, elaborate nelle galere fasciste.
Gramsci sosteneva le ragioni del latino nella scuola media, in quanto in questa fase dell’età evolutiva “lo studio deve essere disinteressato, formativo e intellettivo”.
Dunque, l’innalzamento a 14 anni dell’obbligo scolastico, secondo l’orientamento difeso dai comunisti, doveva coincidere con la “formazione della mente”, non con l’introduzione di insegnamenti utilitaristici e di immediata spendibilità, come quelli tecnico-scientifici.
Poi, come già sottolineato, nello scontro politico di quegli anni, va messa in conto l’opposizione del PCI all’entrata nel governo del partito socialista di Pietro Nenni. Di fatto, la scuola media unica e la statalizzazione dell’energia elettrica furono i capisaldi delle condizioni poste dal PSI per rompere l’alleanza frontista con i comunisti che durava dal Dopoguerra.
La scuola media unica ha cambiato la storia del Paese
Dal primo ottobre 1963, alla vecchia scuola media subentrò il nuovo ordinamento. Ai docenti veniva affidata la grande opera educativa che, per la prima volta, dall’Unità, metteva tutti, “nell’età dagli 11 ai 14 anni, in egual posizioni di partenza di fronte alla vita”. La scuola media unica si poneva, nelle scelte del legislatore, come strumento principale per la formazione delle nuove generazioni e per il “loro inserimento nella vita spirituale, sociale ed economica della comunità italiana”.
Nel giro di un decennio l’auspicio formulato dai sostenitori del nuovo corso si realizzò quasi completamente. Infatti nel periodo 1963-1973, il tasso dei quattordicenni in possesso del diploma di licenza media passò dal 46% ad oltre l’82%. Si gettarono in tal modo le fondamenta per allargare la base sociale del nostro modello educativo, che ha visto fino agli anni Sessanta del Novecento intere generazioni andare a lavorare a 11-12 anni di età (in qualche caso, anche prima).
Ma l’effetto dell’istituzione della scuola media fu dirompente per l’ampliamento dell’istruzione superiore, riservata storicamente solo ad una minoranza di adolescenti. Grazie a questa riforma, negli anni Settanta e Ottanta, la scuola secondaria di secondo grado si avviò a diventare una scuola di massa. E, per la prima volta nella storia del Paese, anche le ragazze cominciarono ad affollare un segmento scolastico a loro precluso.
Le classi differenziali
L’avvio della nuova scuola coincise con la mancanza degli insegnanti che spesso venivano reclutati tra gli studenti universitari. A loro era richiesto un duplice compito:
- vivere con passione e partecipazione la nuova “missione” politica, quella cioè di garantire una giustizia educativa nei confronti di fasce di preadolescenti storicamente esclusi dall’istruzione post-elementare;
- promuovere le condizioni favorevoli ad “un’alfabetizzazione di massa” rivolta a ragazzi che si stavano misurando, per la prima volta, con i problemi di una lunga scolarità.
Per favorire queste condizioni, nella legge si prevedevano le classi differenziali e le classi di aggiornamento. Oggi possono apparire scelte discriminanti (in parte lo furono). Allora però l’intento era diverso. Nelle classi differenziali venivano inseriti i cosiddetti “alunni disadattati” con ritardo cognitivo. Erano composte fino ad un massimo di 15 allievi e potevano contare su un organico “potenziato” rispetto a quelle ordinarie.
Le classi di aggiornamento riguardavano il primo e l’ultimo anno. Nelle prime classi venivano accolti gli alunni bisognosi di cure particolari per un avvio regolare del triennio; alle classi terze, invece, accedevano gli alunni ripetenti che non avevano conseguito la licenza media.
Sia le prime che le seconde furono soppresse dalla legge 517 del 1977 (altra riforma portante della scuola italiana), che avviò l’inserimento degli alunni con disabilità nelle classi ordinarie frequentate da tutti.
Tre importanti obiettivi
L’istituzione nel 1962 della scuola media unica ha perseguito tre importanti obiettivi:
- l’espansionedel nostro sistema di istruzione, assicurando l’obbligo scolastico fino al quattordicesimo anno di età;
- l’affermazione del principio di equità educativa, mitigando la dispersione di risorse intellettive dei ragazzi provenienti dalle classi meno abbienti;
- il rafforzamento dell’uguaglianza delle opportunità di accesso, assicurando a ragazze e ragazzi diritti fino a quel momento negati.
Sicuramente non tutto è andato come previsto. L’immagine della scuola media è passata da una rappresentazione del successo del riformismo democratico al fanalino di coda del sistema scolastico italiano. I due Rapporti della Fondazione Agnelli (2011 e 2021) hanno evidenziato significative criticità negli apprendimenti di base dei nostri preadolescenti imputabili anche all’organizzazione di questo segmento educativo, considerato l’anello debole della nostra scuola.
Una ricorrenza dal forte valore simbolico
Con questo contributo non si vuole entrare nel merito di una valutazione complessiva della scuola secondaria di primo grado. Si vuole semplicemente richiamare alla memoria una ricorrenza dal forte valore simbolico che ha cambiato la storia non solo della scuola ma anche dell’intera società italiana.
Si sarebbe potuto fare meglio? Certamente sì. Ad esempio, accompagnare la nuova stagione riformatrice con un piano di formazione obbligatorio per i docenti, come fu fatto successivamente, dal 1985 al 1990, per i maestri elementari.
Personalmente, pur riconoscendo gli errori commessi, non condivido le posizioni di coloro che attribuiscono all’istituzione della scuola media unica le cause del decadimento del nostro sistema di istruzione. A questi critici vorrei ricordare le storie delle migliaia di bambini che, prima del 1962, per continuare gli studi, dovevano lasciare a 10-11 anni la famiglia per disperdersi in un’infinità di istituti religiosi, in quanto non esistevano altre possibilità.
Va ricordato, a questo proposito, che la “vecchia” scuola media, alla quale si accedeva previo esame di ammissione dopo aver conseguito il diploma di scuola elementare, era presente solo nelle città e nei centri maggiori. Per i bambini dei piccoli paesi di montagna, delle aree periferiche e per i figli delle classi più svantaggiate (contadini, braccianti, operai…), terminata la scuola elementare, si aprivano esclusivamente le porte del lavoro nei campi o nelle officine. Per non parlare delle bambine che a 12-13 anni lasciavano i genitori per andare a servizio nelle famiglie benestanti delle città! Mai come nei primi decenni del Dopoguerra valeva la massima che “uno era dove nasceva”. La scuola media del 1962, finalmente, ruppe questo circolo perverso.