Ottobre, mese della consapevolezza

ADHD: Disturbi da deficit dell’attenzione e iperattività

Ottobre è il mese della consapevolezza del Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (DDAI), conosciuto soprattutto con l’acronimo inglese ADHD da Attention Deficit Hyperactivity Disorder.

L’ADHD rientra nei Disturbi del Neurosviluppo, può causare una compromissione nel funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo ed è molto diffuso nell’età evolutiva.

In questo contributo, dopo aver analizzato le principali caratteristiche del disturbo, rifletteremo su come aiutare i bambini e gli adolescenti con ADHD ad apprendere in modo efficace e senza eccessivi sforzi, accendendo i riflettori su alcune strategie pedagogico-didattiche che possono contribuire a coinvolgerli e motivarli.

Caratteristiche del disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività

La più recente descrizione del Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività è contenuta nel DSM-V [1](APA, 2013). Si tratta di una sindrome caratterizzata da due gruppi di sintomi o dimensioni psicopatologiche definibili come inattenzione e impulsività/iperattività. Disattenzione, iperattività e impulsività costituiscono, infatti, proprio la triade dell’ADHD o DDAI.

La disattenzione si rende manifesta quando il bambino è coinvolto in compiti che richiedono concentrazione, tempi di reazione rapidi, capacità di attenzione selettiva visiva e percettiva, di ascolto complessivo e selettivo per un tempo prolungato. L’impulsività si riferisce ad azioni affrettate che hanno il potenziale per un esito negativo. L’iperattività comporta un’eccessiva attività motoria.

I principali segni della disattenzione sono:

  • attenzione ridotta e facile distraibilità
  • smemoratezza e attitudine a smarrire gli oggetti
  • incapacità di svolgere compiti noiosi o che richiedano molto tempo
  • incapacità di ascoltare o eseguire le istruzioni
  • cambiare continuamente attività
  • difficoltà nell’organizzazione dei compiti.

I principali segni dell’iperattività e dell’impulsività sono:

  • non riuscire a star fermi, soprattutto in ambiente tranquillo e silenzioso
  • agitarsi continuamente
  • parlare troppo
  • non rispettare il proprio turno
  • agire impulsivamente
  • interrompere le conversazioni degli altri
  • alterato senso del pericolo.

Insorgenza

L’esordio dei sintomi avviene spesso nei primi 4 anni di età e comunque sempre prima dei 12 anni. L’età in cui viene fatta generalmente la diagnosi è tra gli 8 e 10 anni. Nella maggior parte dei casi, si assiste ad un miglioramento dei sintomi con il progredire dell’età, tuttavia, circa un terzo degli adulti colpiti in età giovanile continua a manifestare la sintomatologia.

Le persone con ADHD possono avere anche altri problemi di salute come, ad esempio, disturbi del sonno e disturbi d’ansia.

Passi da compiere

Se il comportamento del bambino è molto diverso da quello dei coetanei, bisogna compiere alcuni passi con urgenza.

La maggior parte dei bambini salta, corre, si arrampica, non aspetta il proprio turno, si distrae ma nei soggetti con ADHD/DDAI questi comportamenti sono talmente significativi che compromettono l’efficace funzionamento apprenditivo e relazionale.

Qualora il genitore sospetti che il comportamento del bambino sia diverso da quello dei coetanei, è opportuno far presente il problema al pediatra e ai docenti della classe o della sezione.

Se il pediatra sospetta che un bambino possa avere un disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, può prudenzialmente, suggerire un periodo di “attesa vigile” di circa dieci settimane per verificare se i sintomi migliorano, rimangono invariati o peggiorano. In questo caso è anche opportuno che i genitori inizino un intervento di formazione, parent training, con l’obiettivo di apprendere le modalità idonee per aiutare il bambino. Se il comportamento non migliora e compromette gravemente la vita quotidiana, il pediatra dovrebbe richiedere una valutazione da parte di uno specialista.

Valutazione specialistica

La diagnosi di deficit di attenzione/iperattività è clinica e si basa su valutazioni mediche, dello sviluppo, educative e psicologiche complete. Gli specialisti di riferimento sono:

  • neurospichiatra infantile
  • psicologo clinico.

Non esiste un test semplice per stabilire se una persona sia affetta da ADHD, ma lo specialista può fare una diagnosi accurata, dopo una valutazione dettagliata che includa:

  • esame fisico, per escludere che la causa dei disturbi possano essere altre malattie
  • interviste con il bambino
  • interviste o resoconti da parte di altre persone significative: genitori e insegnanti.

Criteri per la diagnosi di disturbo da deficit di attenzione/iperattività

I criteri diagnostici di DSM-5[2] comprendono 9 sintomi e segni di disattenzione e 9 di iperattività e impulsività. La diagnosi con questi criteri richiede ≥ 6 sintomi e segni da uno o ciascun gruppo. Inoltre, i sintomi devono:

  • essere presenti spesso per ≥ 6 mesi
  • essere molto più evidenti rispetto a quanto atteso per un bambino di pari sviluppo
  • verificarsi in almeno 2 situazioni
  • essere presenti prima dei 12 anni (almeno alcuni sintomi)
  • interferire con le funzionalità a casa, a scuola o al lavoro.

Secondo DSM-5 vi sono 3 sottotipi di ADHD/DDAI:

  • variante con disattenzione predominante
  • variante con iperattività/impulsività predominante
  • combinato.

La diagnosi del tipo disattento predominante richiede ≥ 6 sintomi di disattenzione. La diagnosi del tipo iperattivo/impulsivo richiede ≥ 6 sintomi e segni d’iperattività e di impulsività. La diagnosi del tipo combinato richiede ≥ 6 sintomi tra quelli di disattenzione e di iperattività/impulsività.

Eziologia

Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività è un disordine multifattoriale in cui entrano in gioco elementi sia genetici sia ambientali, solo in parte individuati. Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività non riconosce, infatti, una causa singola specifica e può derivare da componenti genetiche, biochimiche, di sviluppo sensitivo-motorie, fisiche oltre che ambientali-comportamentali. 

Fattori genetici

La causa esatta dell’ADHD non è ancora ben nota. Tende a presentarsi nello stesso “ramo” familiare e, nella maggior parte dei casi, si pensa che i geni ereditati dai genitori svolgano un ruolo significativo nel suo sviluppo.

Gli studi scientifici mostrano che entrambi i genitori e i fratelli di un bambino con ADHD hanno una probabilità di presentare il disturbo da quattro a cinque volte maggiore rispetto alle altre persone. Tuttavia, il modo in cui l’ADHD si trasmette potrebbe essere più complesso e non legato a un singolo difetto genetico.

Funzione e struttura del cervello

La ricerca ha, inoltre, individuato alcune probabili differenze nel cervello delle persone con ADHD/DDAI rispetto a quelle che non presentano questo disturbo, ma il loro significato non è ancora completamente spiegato. Gli studi di TAC (tomografia assiale computerizzata) cerebrali hanno evidenziato, ad esempio, che alcune aree del cervello possono essere più piccole nelle persone con ADHD/DDAI, mentre altre aree possono essere più grandi. Le immagini del cervello ottenute con TAC e/o risonanza magnetica nucleare (RMN) mostrano anche che il cervello dei bambini con ADHD può impiegare due o tre anni in più per maturare, rispetto ai bambini senza il disturbo.

Altri studi, infine, hanno evidenziato che le persone con ADHD possano avere uno squilibrio nel livello di neurotrasmettitori cerebrali (dopamina, noradrenalina) o che queste sostanze chimiche possano non funzionare correttamente.

Altri possibili fattori

Altri fattori che potrebbero avere un ruolo significativo nell’eziologia dell’ADHD/DDAI sono:

  • nascita prematura (prima della 37a settimana di gravidanza)
  • basso peso alla nascita
  • fumo, alcol o abuso di sostanze stupefacenti durante la gravidanza
  • esposizione ad alti livelli di piombo in giovane età.

Diffusione

La percentuale di bambini colpita da disturbo da deficit di attenzione/iperattività si aggira tra il 5 e il 15% e tende a ripresentarsi all’interno della stessa famiglia. Nel complesso, tale disturbo è circa due volte più comune nei maschi, anche se i rapporti variano a seconda del tipo. La variante prevalentemente iperattiva/impulsiva si verifica, infatti, da 2 a 9 volte più frequentemente nei maschi; il tipo prevalentemente disattento, invece, si verifica con simile frequenza in entrambi i sessi.

Come intervenire

Il bambino con ADHD/DDAI di questo disturbo è il primo a soffrirne. È necessario un intervento tempestivo, ad ampio raggio e multimodale con le seguenti finalità:

  • migliorare le relazioni interpersonali con genitori, fratelli, insegnanti e coetanei.
  • diminuire i comportamenti dirompenti ed inadeguati.
  • migliorare le capacità di apprendimento scolastico (quantità di nozioni, accuratezza e completezza delle nozioni apprese, efficienza delle metodiche di studio).
  • aumentare le autonomie e l’autostima.

Si rende, pertanto, necessaria, una presa in carico che preveda, innanzitutto, interventi di Parent Training (istruzione e allenamento dei genitori) e di Teacher Training (istruzione ed allenamento degli insegnanti). Si tratta di interventi che consentono a genitori e docenti di comprendere esattamente le caratteristiche del disturbo, di conoscere le condizioni e le situazioni che peggiorano o migliorano i sintomi e di avere gli strumenti per rinforzare positivamente i comportamenti di questi bambini.

Interventi Psicoeducativi

Gli interventi sulla famiglia (Parent training) e sulla scuola (Teacher training) devono necessariamente essere affiancati da interventi sul bambino (Child Training).

Di fondamentale importanza è pertanto l’approccio psico-educativo costituito da un varietà di azioni. L’obiettivo prevalente è quello di variare l’ambiente fisico e sociale del bambino per modificarne il comportamento. Tali interventi sono focalizzati su interventi volti a garantire al soggetto un contesto che favorisca una maggiore attenzione e che elimini le cause di possibili distrazioni. Si possono ottenere buoni risultati istruendo genitori e docenti su alcune tecniche: di ricompensa per comportamenti desiderati (rinforzo positivo); di punizione o di perdita di privilegi per il mancato raggiungimento degli obiettivi desiderati (costo della risposta). La combinazione di rinforzi positivi e costo della risposta risulta in genere particolarmente efficace e può modificare progressivamente il comportamento.

Molto funzionali risultano per questo scopo:

  • il problem solving: riconoscere il problema, generare soluzioni alternative, pianificare la procedura per risolvere il problema, ecc.
  • le autoistruzioni verbali al fine di acquisire un dialogo interno che guidi alla soluzione delle situazioni problematiche
  • lo stress inoculation training: indurre, cioè, il bambino/adolescente ad auto-osservare le proprie esperienze e le proprie emozioni, soprattutto in coincidenza di eventi stressanti e, successivamente, aiutarlo ad esprimere una serie di risposte alternative adeguate al contesto. La acquisizione di queste risposte alternative dovrà sostituire gli atteggiamenti impulsivi e aggressivi.

Strutturare l’ambiente e migliorare l’autostima 

I bambini con ADHD possono essere aiutati strutturando ed organizzando l’ambiente in cui vivono. Genitori e insegnanti possono anticipare gli eventi al posto loro, scomponendo i compiti futuri in azioni semplici ed offrendo piccoli premi ed incentivi. In tal modo si consente ai bambini con ADHD/DDAI di ampliare il proprio repertorio interno di informazioni, regole e motivazioni.

Per aiutare un bambino con ADHD genitori ed insegnanti dovrebbero acquisire le seguenti abilità:

  • potenziare il numero di interazioni positive col bambino
  • dispensare rinforzi sociali o materiali in risposta a comportamenti positivi del bambino
  • ignorare i comportamenti lievemente negativi
  • aumentare la collaborazione dei figli usando comandi più diretti, precisi e semplici
  • prendere provvedimenti coerenti e costanti per i comportamenti inappropriati del bambino.

La frequente comunicazione scritta con i genitori riguardo agli obiettivi ed ai risultati dell’allievo, permette ai genitori di confermare premi e punizioni anche a casa. 

La famiglia del bambino con ADHD/DDAI

Prendersi cura di un bambino con ADHD/DDAI è sicuramente molto impegnativo, ma è importante ricordare che questi soggetti non possono far nulla per controllare il loro comportamento e, quindi, non “disturbano” di proposito.

La vita quotidiana con un bambino con ADHD è costellata da una serie di difficoltà, quali, a titolo esemplificativo:

  • prepararsi per arrivare a scuola in tempo
  • ascoltare e eseguire delle istruzioni
  • svolgere i compiti assegnati dai docenti per casa
  • prendere parte ad eventi sociali
  • fare compere.

La famiglia di un bambino con ADHD è spesso una famiglia che vive una grande sofferenza e va, pertanto, accolta, ascoltata, compresa e supportata con particolare cura.

Non solo la coppia genitoriale è coinvolta e spesso stressata ma anche i fratelli e le sorelle del bambino a cui necessariamente sono sottratti tempo ed attenzioni che vengono dedicate al soggetto con disturbo da deficit di attenzione e iperattività.

Molto utile per la comprensione del vissuto soprattutto emotivo dei bambini con ADHD e dei loro familiari è un volume dal titolo: “Vorrei scappare in un deserto e gridare”. Si tratta di una guida pratica all’ADHD attraverso le storie di tutti i giorni di bambini con iperattività, impulsività e disattenzione[3].

La Mindfulness nel trattamento dell’ADHD/DDAI

Mindfulness[4] e meditazione si stanno rivelando efficaci nel regolare alcuni meccanismi, come per esempio, l’attenzione, che risultano deficitari nei soggetti con ADHD/DDAI.

La Meditazione orientata alla Mindfulness (MOM) facilita l’allenamento delle funzioni di focalizzazione, osservazione e consapevolezza della propria distrazione, influendo positivamente sulle abilità di riorientamento e disancoraggio dallo stimolo e sul funzionamento attentivo e cognitivo generale.

L’allenamento a riportare la concentrazione in modo gentile e non giudicante su stimoli neutri, come il respiro o i movimenti lenti, infatti, favorisce la consapevolezza di sé, il senso di efficacia e di padronanza della propria mente. L’esercizio costante di osservare quando la distrazione sopraggiunge è possibile riorientare l’attenzione su qualcosa di concreto come il respiro, aiuta il soggetto a prendere coscienza del funzionamento della propria mente.

Il mese della consapevolezza per una rinnovata speranza

L’intero mese di ottobre viene dedicato, quindi, a riflessioni sull’ADHD/DDAI per aumentarne la conoscenza. Uno sforzo doveroso e necessario per la diffusione di esperienze umane e scientifiche che possano aiutare scuola e famiglie ad affrontare ed accompagnare con maggiore consapevolezza e rinnovata speranza il diverso funzionamento di bambini “speciali” che, per motivi non dipendenti dalla propria volontà, fanno fatica a controllare l’attenzione, a stare fermi per il tempo necessario, a completare le attività assegnate apparendo come animati da un motorino perennemente in funzione…


[1] American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition, DSM-5. Arlington, VA. (Tr. it.: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014).

[2] Il termine DSM è l’acronimo di Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders («Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali») ed è uno degli strumenti diagnostici per disturbi mentali più utilizzati da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo. La prima versione risale al 1952 (DSM-I) e fu redatta dall’American Psychiatric Association (APA). L’attuale versione è il DSM-5.

[3] R. D’Errico – E. Aiello, “Vorrei scappare in un deserto e gridare…”, Edizioni A.I.F.A. Onlus – II edizione Novembre 2004.

[4] Mindfulness è un termine inglese che significa “consapevolezza” e rappresenta il fulcro della pratica meditativa: prestare attenzione momento dopo momento, a quello che accade. Il termine deriva anche da una lingua antica indiana, pāli, appartenente alla famiglia indoeuropea, ancora oggi usata come lingua liturgica del buddismo theravāda e significa, anche in questo caso, consapevolezza, attenzione, attenzione sollecita.