In poche righe non si affronta una questione ad alta complessità. Si può, tuttavia, passare al crivello del dubbio la vulgata corrente. Soprattutto se controversa. Per l’ex-preside Maria Pia Veladiano, l’“ascensore sociale” è una “bruttissima espressione” perché, spiega la scrittrice, “non si tratta di salire o scendere, dove salire vuol dire, nel sottotesto del nostro parlare, essere più ricchi e potenti”: ognuno “deve poter diventare quello che desidera” e la scuola dà “cultura e consapevolezza”[1].
Una metafora diffusa, controversa e ambigua
Al contrario Lucia Azzolina, ministra all’Istruzione per 13 mesi dal 10 gennaio 2020 al 13 febbraio 2021, scrive che fin dagli anni della scuola “l’idea dell’ascensore sociale non mi ha più abbandonato”[2]: dà significato e valorizza l’impegno e la determinazione personale. Nonostante, quindi, le difficoltà continua “voglio ancora credere all’ascensore sociale”[3].
Nella sua analisi del rapporto tra scuola progressista e disuguaglianze Luca Ricolfi considera l’ascensore sociale “un termine più giornalistico che scientifico“[4]. Si direbbe, quasi, un’espressione fuori contesto fin dagli anni 1970 quando rallenta la mobilità ascendente in crescita nei decenni precedenti. Secondo l’ISTAT per la generazione 1972-1986 la probabilità di risalire la scala sociale è diminuita: più di un quarto (26,6%) è infatti mobile verso il basso, un valore che, oltre a essere più alto rispetto a tutte le generazioni precedenti (era 21,8% tra i nati prima del 1941) supera per la prima volta quello di chi è mobile in senso ascendente (24,9%).
Il Global Social Mobility Index colloca l’Italia al 34° posto su 82 Paesi seguita tra quelli dell’Unione solo dalla Romania (44°) e dalla Grecia (48°)[5]. Secondo l’OECD in Italia potrebbero essere necessarie almeno 5 generazioni per i bambini nati in famiglie a basso reddito per raggiungere il reddito medio, solo di poco al di sopra della media Ocse[6].
È possibile una società mobile ed equa?
La retorica corrente, inoltre, non è del tutto allineata alle evidenze della ricerca scientifica. Bukodi e Goldthorpe, esperti internazionalmente riconosciuti, hanno messo in evidenza la profonda dissonanza tra le evidenze scientifiche e le visioni politiche in tema di mobilità sociale nel Regno Unito[7].
La prospettiva di scalare la piramide sociale ha un tratto ideologico. Si aggancia all’idea di società democratica, chiama in causa il merito (“Il merito, per noi del Sud, è stato sempre uno dei più efficaci ascensori sociali, soprattutto tra le famiglie meno abbienti“[8]) e il riconoscimento dei talenti. Rivela la sua ambiguità nel momento in cui non distingue tra i processi di transizione in valori assoluti e la mobilità ascendente non determinata dai livelli di partenza. Nel primo caso si può avere una società mobile, nel secondo una società mobile ed equa.
Le banche dati e le nuove indagini
Per approfondire il tema è bene partire dalla mobilità sociale, un capitolo portante della sociologia fin dalle origini. Dopo la fase iniziale di analisi qualitativa la ricerca in questo campo, sia di sociologi che di economisti, ha sviluppato studi quantitativi, soprattutto longitudinali, che sono diventati patrimonio generale. Recentemente l’accresciuta disponibilità di banche dati ha creato le premesse per lo sviluppo di nuove indagini.
L’analisi della mobilità sociale fornisce una chiave di lettura della società. È un concetto sfaccettato nelle sue varianti (intergenerazionale, intra-generazionale) e nelle sue modalità (ascendente e discendente). Le misure, relative allo status economico sociale, al livello di istruzione e di reddito o, in modo più completo, alla classe sociale e alla qualità della vita, sono espresse in termini sia assoluti sia relativi.
Ascensore sociale e mobilità sociale
La diffusa espressione ‘ascensore sociale‘ aggiunge ai fattori che determinano il processo di transizione da una classe ad un’altra, quelli che vanno dal merito individuale alla mobilità geografica, dal reddito e dalla cultura familiare all’educazione. Di ascensori sociali si parla a proposito di scuola e di Università. In un saggio del 2020 Patrizio Bianchi, ad esempio, sottolinea “la difficoltà dl mercato del lavoro a riconoscere il diploma o la laurea come quell’ascensore sociale che a maggiori studi garantisca un migliore posizionamento lavorativo“[9]. Andrea Gavosto, parlando dei benefici degli studi, annota che “i paesi che investono di più in istruzione (…) sperimentano una maggior mobilità sociale“[10]. E alla scuola si guarda per invertire la rotta del blocco dell’ascensore sociale.
In un rapporto dell’OECD viene indicato come il primo obiettivo per le politiche di promozione della mobilità sociale il “Migliorare l’accesso all’istruzione di qualità per i bambini e i giovani svantaggiati, a partire dagli asili nido sino all’istruzione terziaria“[11].
Perché la scuola non è il problema?
La scuola è stata considerata molto spesso come uno dei fattori più rilevante per la mobilità sociale. Ora è frequente invece l’annotazione che “la scuola non funziona più da ascensore sociale” per via del degrado che l’ha impoverita. L’inflazione dei diplomi, il fenomeno della over-education, il limitato investimento in istruzione sono parte dell’argomentazione sulle cause del fermo dell’ascensore sociale. L’istruzione non sarebbe più in grado di assicurare, come in passato, l’accesso ai livelli superiori. Il percorso scolastico ha perso il valore del passato di investimento per un futuro migliore.
È tema presente nel dibattito politico, entra nelle argomentazioni correnti sul declino della scuola, diventa priorità di azione (rilanciare l’ascensore sociale) e si arricchisce ogni giorno di aneddoti di carriere di successo di studenti brillanti.
La vulgata della scuola come ascensore sociale bloccato, corretta dall’aneddotica di carriere di successo di studenti brillanti, traduce la versione accettata delle dinamiche di mobilità sociale[12]. La scuola è veramente il problema di base del rallentamento della mobilità sociale? La scuola come ascensore sociale è un luogo comune o discende da generalizzazioni ed evidenze? La risposta può essere cercata anzitutto esplorando gli spazi di indipendenza della mobilità sociale dall’educazione. Quattro ordini di considerazioni, tra di loro connesse, possono essere sviluppate.
- L’origine sociale ha un effetto diretto, non mediato dall’educazione, sul destino sociale delle persone.
- La fluidità della società determina la mobilità in termini relativi”. La mobilità sociale ha due facce.
- Barriere invisibili frenano la mobilità sociale discendente e ascendente.
- Il mercato del lavoro può marginalizzare il percorso scolastico.
L’effetto dell’origine sociale non è sempre mediato dall’educazione
La prima considerazione: “L’origine sociale ha un effetto diretto, non mediato dall’educazione, sul destino sociale delle persone”.
Il rapporto tra origine sociale e destinazione sociale non mediato dall’educazione è tuttora rilevante, in contrasto con le teorie della meritocrazia basata sull’educazione. In uno studio comparativo pubblicato nel 2016 gli autori analizzano la mobilità intergenerazionale in termini relativi considerando lo status socio-economico, il reddito e la classe sociale quando appropriato. Riscontrano nei 14 Paesi presi in esame un sensibile effetto diretto della provenienza sociale sulla collocazione nella scala sociale a prescindere dal livello di istruzione. In particolare evidenziano la contrazione nel tempo dell’impatto in Olanda e Svezia, la crescita in Francia e in Israele e pure fluttuazioni negli altri Paesi[13].
La fluidità sociale determina la mobilità relativa
La seconda considerazione: “La fluidità della società determina la mobilità in termini relativi”. La mobilità sociale ha due facce[14]: la transizione tra le classi e il livello di fluidità di una società. La fluidità sociale si riflette, anzitutto, negli spazi da occupare soprattutto ai livelli più elevati della scala sociale. Le condizioni per progredire socialmente dipendono dall’esistenza di aree di approdo. Storicamente nelle fasi di crescita economica e sociale degli anni 1950 e 1960 le opportunità sono aumentate favorendo una transizione in verticale tra le classi sociali. Così quote significative di giovani hanno potuto scalare la piramide sociale. Venendo meno, nei decenni successivi, la spinta allo sviluppo di crescita, l’ascensore sociale ha rallentato fino a bloccarsi. Peraltro in un Paese fatto di piccole e medie imprese, di rigidità del mercato del lavoro, di livello intermedio di avanzamento tecnologico, di sotto-investimento nei settori della ricerca e dell’innovazione le posizioni elevate sono tendenzialmente più limitate.
Molte o poche che siano le posizioni elevate, a fare la differenza è la loro distribuzione. Si ha una società veramente fluida, aperta ed equa, quando chi proviene dai ceti medio-bassi ha la stessa probabilità (o superiore) di raggiungere posizioni elevate, di chi parte da una condizione medio-alta. Entrano in gioco i fattori che regolano o condizionano le modalità di accesso. La riuscita di studenti italiani all’estero con posizioni di prestigio professionale e scientifico conferma il peso delle opportunità esistenti e della connessa flessibilità di accesso. Si tratta di processi che sono indipendenti dalla scuola.
Barriere invisibili nella mobilità sociale
La terza considerazione: “Barriere invisibili frenano la mobilità sociale discendente e ascendente”.
Ci sono fattori non meritocratici e indipendenti dall’educazione che influiscono sul destino di classe. Dalle ricerche sembra apparire difficile e improbabile la mobilità discendente per chi si trova nelle posizioni alte della scala sociale. La mobilità sociale è limitata da un glass floor: per chi proviene da livelli elevati si attivano strategie di protezione, e anti meritocratiche, per frenare o annullare il rischio di una discesa sulla scala sociale[15]. Di segno opposto è il glass ceiling (metafora per barriera invisibile) che rende più difficile, a parità di condizioni, la scalata verso l’alto di chi parte da posizioni di svantaggio. Una persona che vuole progredire nella gerarchia è fermata ad un livello basso per via di pratiche sottilmente discriminatorie, spesso basate, ad esempio, sul sessismo o sul razzismo.
Tra i fattori di contesto si trovano la cultura familiare, l’appartenenza a gruppi privilegiati, la ricca rete di contatti, la quantità di informazioni disponibili in grado di incidere sul destino sociale limitando l’impatto dell’educazione. Può così avvenire che a parità di competenze il destino professionale sia diverso tra i provenienti da ceti diversi.
Il percorso scolastico e il mercato del lavoro
Quarta considerazione: “Il mercato del lavoro può marginalizzare il percorso scolastico”. Quando i comportamenti informali, propri e impropri, sono dominanti nella ricerca del lavoro, la mobilità può penalizzare i livelli di istruzione. Secondo una recente ricerca il ricorso ai canali informali è prevalente (negli ultimi dieci anni sono stati scelti dal 56%, pari a 10 milioni di lavoratori) con la conseguente diminuzione della capacità di selezione del mercato[16].
I compiti propri della scuola
Se la scuola non è il primo problema, non è certo estranea ai processi di mobilità. Anzi ha alcuni ruoli cruciali, insostituibili: sostanzialmente tre.
1. Contenere il peso dell’origine sociale sui risultati scolastici
In primo luogo la scuola può, e deve, contribuire in modo decisivo a contrarre il peso dell’origine sociale sul livello di apprendimento degli studenti. Il paradosso del nostro Paese è che la scuola italiana è meno disuguale rispetto a quelle di altri Paesi, ma è una equità al ribasso[17]. Di qui la necessità di ritornare a riflettere ed agire sull’efficacia della scuola. La tradizione inclusiva, di ispirazione donmilaniana, può oggi misurarsi con gli esiti degli studenti provenienti da contesti disagiati. Il discrimine diventa l’efficacia della scuola nel ridurre il condizionamento dell’origine sociale, ampliando l’accesso ai livelli elevati di istruzione agli studenti provenienti da background disagiati. Può così contribuire ad aumentare la mobilità in valori relativi in presenza di una dinamica sociale positiva nei processi di stratificazione sociale.
2. Assicurare il rapporto con il mondo del lavoro e delle professioni
In secondo luogo l’azione della scuola ha a che vedere con il passaggio alle professioni e al lavoro. Il bagaglio di conoscenze, di competenze (high order skills, non cognitive, rivolte al futuro…) con cui gli studenti si affacciano sul mercato del lavoro entra in gioco in misura tanto maggior quanto più elevato è il livello di fluidità e di equità della società. Ma anche in relazione alla coerenza con le conoscenze, le competenze e la cultura attese oggi e prospettiche per il domani. Naturalmente questo non significa aziendalizzare la scuola, bensì potenziare una formazione robusta, autentica, lungimirante degli studenti.
3. Accrescere la credibilità dell’apprendimento scolastico
Naturalmente la credibilità della scuola, la sua autorevolezza, la qualità dei risultati che ottengono i suoi studenti sono tutti fattori che possono contribuire ad una maggior considerazione del valore dell’istruzione. Il recupero di fiducia non è un’operazione di semplice marketing; richiede un profondo rinnovamento dei processi di insegnamento e della cultura della scuola. La fiducia delle famiglie informate e coinvolte e la percezione nell’opinione pubblica della qualità dell’istruzione sono ingredienti decisivi per una società fluida, aperta ed equa.
“Eppur si muove”
In poche righe si è appena sfiorata la discussione sulla scuola come ascensore sociale. Una discussione che oggi deve rispondere a nuove e inedite sollecitazioni. In un rapporto di ricerca sulla mobilità intergenerazionale nel nostro Paese, pubblicata nel 2019, si legge che “La mobilità intergenerazionale per reddito in Italia è superiore a quella degli Stati Uniti” con la precisazione che “Il livello di mobilità verso l’alto nel nord Italia supera quello dei paesi scandinavi”[18]. Probabilmente è tempo di ripartire a ragionare di scuola e di mobilità su nuove basi, ridimensionando il chiacchiericcio che purtroppo ci è familiare.
[1] Mariapia Veladiano, Oggi c’è scuola. Un pensiero per tornare, ricostruire, cambiare. I Solferini, Solferino, Milano 2021, p. 46.
[2] L. Azzolina, La vita insegna. Dalla Sicilia al Ministero. Il viaggio di una doma che alla scuola deve tutto, Baldini&Castoldi, Milano 2021, p. 36.
[3] Ibidem, p. 51.
[4] P. Mastrocola e L. Ricolfi, Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza. La nave di Teseo, Milano 2021, p.177.
[5] World Economic Forum, The Global Social Mobility Report 2020, 2020, p.7.
[6] OECD, Ascensore sociale rotto? Come promuovere la mobilità sociale, Come si posiziona l’Italia, 2021. OECD (2018), A Broken Social Elevator? How to Promote Social Mobility, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/9789264301085-en.
[7] E. Bukodi e J.H. Goldthorpe, Social Mobility and Education in Britain. Research, Politics and Policy, Cambridge University Press, Cambridge 2019.
[8] Paola Severino (Presidente della LUISS), Il Messaggero 25 aprile 2021.
[9] P. Bianchi, Nello specchio della scuola. Quale sviluppo per l’Italia, Il Mulino, Bologna 2021, p. 46.
[10] A. Gavosto, La scuola bloccata, Laterza, Bari Roma 2022, p. IX.
[11] OECD, op.cit. 2018; 2021.
[12] “Rapporto Istat, l’ascensore sociale va in discesa” HuffPost, 3 luglio 2020; R. Saporiti, “L’ascensore sociale si è rotto, in Italia ma anche in Europa. Ecco perché”, Il sole 24 ore, 23 dicembre 2021; E. Maraio, “Il Paese cresce se riparte l’ascensore sociale”, Il riformista, 9 agosto 2022.
[13] F. Bernardi e G. Ballarino G. (a cura di) (2016). Education, Occupation and Social Origin: A Comparative Analysis of the Transmission of Socio-Economic Inequalities, Cheltenham, UK; Northampton, MA: Edward Elgar Publishing Limited 2016.
[14] Cfr. P. Mastrocola e L. Ricolfi, 2021, p.177 ss.
[15] A. McKnight, Downward mobility, opportunity hoarding and the ‘glass floor’ Research report,Social Mobility and Child Poverty Commission London 2015.
[16] INAPP, Bergamante F., Mandrone E., Marocco E. I canali di ingresso nel mondo del lavoro, Inapp, Policy Brief, n. 29, Roma 2022 <https://oa.inapp.org/xmlui/handle/20.500.12916/3562>
[17] Gavosto, cit. p. 30.
[18] P. Acciari, A. Polo e G.L. Violante, “And Yet, It Moves”: Intergenerational Mobility in Italy, MEF DF WP n.4 July 2019. Pubblicato anche su “American Economic Journal: Applied Economics 14 (3) (2022), pp. 118-163.