Il diritto all’istruzione a tutte le età

Dall’alfabetizzazione allo sviluppo personale

Il 15 luglio scorso il MIUR ha emanato la circolare n. 18250 avente ad oggetto le indicazioni sui percorsi di istruzione per gli adulti relative all’anno scolastico 2022/2023.

Il riferimento va, sia alle disposizioni impartite con la nota prot. n. 7755 del 3 Maggio 2019[1], sia alla nota prot. n. 29452 del 30 novembre 2021 con cui il MIUR – al paragrafo 11 intitolato “Percorsi di istruzione degli adulti” – fornisce ulteriori istruzioni relative all’oggetto.

Le indicazioni per il prossimo anno

In sintesi, gli adulti che intendono iscriversi per l’anno scolastico 2022/2023 ai percorsi d’istruzione di primo livello o di alfabetizzazione della lingua italiana, possono produrre domanda d’iscrizione da remoto o in presenza, inviandola o consegnandola direttamente presso le sedi dei Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA) principali o associate, mentre coloro che desiderano iscriversi ai percorsi d’istruzione di secondo livello possono presentare le domande direttamente alle istituzioni scolastiche presso le quali sono incardinati tali itinerari di studio. Successivamente gli Uffici Scolastici Regionali potranno, a fronte di documentate necessità, autorizzare l’attivazione di Aule Agorà (aule in cui vengono svolte attività a distanza in modalità sincrona condotte dal docente in sede CPIA) in numero superiore[2] a quello indicato nella citata nota prot. 7755/2019.

Le prime campagne di alfabetizzazione

L’idea di un’educazione degli adulti si è affermata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quando l’ascesa della società industriale e della concezione progressista di democrazia aveva sollecitato nuove richieste di istruzione e riqualificazione professionale in età adulta. Tali esigenze divennero ancora più pressanti nel secondo dopoguerra con la sconcertante scoperta, tra la popolazione mondiale, di larghe sacche di analfabetismo.

Fu allora che nel corso della prima conferenza di Elsinor (Danimarca) del 1949 – ma, ancor più, nella conferenza di Montreal (Canada) del 1960 – l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) si impegnò ad avviare una massiccia campagna di alfabetizzazione rivolta agli adulti, la cui finalità, di tipo prevalentemente funzionale, consentiva loro l’acquisizione di quelle competenze di base, quali il leggere, lo scrivere e il far di conto, motivate dalle nuove richieste di ricostruzione economica e sociale imposte dal mondo del lavoro e dalla società in mutamento. Volendo, quindi, estendere lo sguardo alle circostanze storiche salienti dell’Educazione Degli Adulti (EDA), dal momento della sua embrionale prospettiva fino al suo esordio concettuale come pratica formale, l’attenzione si sofferma su due appuntamenti storico-scientifici di innegabile rilevanza: la conferenza di Elsinor e la pubblicazione, nel 1950, del testo “Infanzia e società” di Erik H. Erikson.

Un passaggio obbligato per la crescita e lo sviluppo

Si deve, dunque, all’UNESCO il merito di aver collocato l’EDA tra le preoccupazioni mondiali sul piano dell’educazione. Sostenuta dalla tenace volontà di difendere gli interessi di quanti risultassero esclusi e sfavoriti, l’impegno per l’alfabetizzazione si rivelò il punto di forza di questa nuova politica formativa, tant’è che il progressivo affacciarsi sullo scenario mondiale dei Paesi del Terzo mondo, ripropose l’alfabetizzazione come il passaggio obbligato per la crescita e lo sviluppo. Da allora, educazione degli adulti e alfabetizzazione risultarono legate da un rapporto di interdipendenza, grazie anche alla ricchezza semantica che il concetto di alfabetizzazione era andato, man mano, guadagnandosi.

Il cambiamento semantico del concetto di alfabetizzazione

Essere analfabeta (1958) significava, infatti, non saper leggere, non saper scrivere semplici e brevi proposizioni legate a fatti del proprio quotidiano, e non saper fare di conto: il leggere, lo scrivere e il far di conto erano considerati in chiave strumentale, come fine in sé, senza alcuna implicazione sul piano sociale, economico e politico.

Negli anni ’70 si convenne, invece, che l’alfabetizzazione, oltre ad essere un elemento essenziale per lo sviluppo e la crescita della persona, doveva indurre anche ad un cambiamento sociale. Da qui, il concetto di alfabetizzazione funzionale, che recava in sé la tavola delle competenze culturali, sociali, economiche e politiche necessarie affinché una persona potesse pienamente realizzare sé stessa in relazione con gli altri e con la comunità di appartenenza. Essere analfabeta funzionale (1978)significava allora non saper compiere tutte quelle operazioni che contribuivano al buon funzionamento della vita comunitaria. Considerato sotto questo rispetto, l’apprendimento del leggere, dello scrivere e del far di conto, implicando il superamento della dimensione pratico-razionale, veniva considerato come uno strumento indispensabile allo sviluppo generale e armonico della persona[3].

L’educazione permanente

Consentendo all’adulto un’integrazione culturale e umana, economicamente e socialmente attiva e duratura nella comunità di appartenenza, ecco che l’EDA si inserisce nell’ottica dell’educazione permanente: il nuovo ideale di educazione si estende per tutto l’arco della vita e viene reclamato non solo dagli adulti senza occupazione o da coloro che necessitano di una formazione professionale aggiornata alle richieste del nuovo mondo produttivo, ma anche come bisogno esistenziale della persona. Ben presto l’educazione degli adulti guadagna nuovo terreno. L’irruzione delle tecnologie nel mondo della produzione sollecita ogni persona a rivedere le proprie conoscenze, sia per combattere l’analfabetismo di ritorno che per poter padroneggiare i mondi di relazione entro i quali vive e si realizza. Ne discende la convinzione che, di fronte alle necessità emergenti e alla variegata ricchezza delle nuove competenze richieste dal momento storico, la monoliticità dell’impianto formativo offerta agli adulti agli inizi degli anni ’50 non può più essere considerata adeguata. Con l’urgenza della ridefinizione di un progetto educativo capace di interessare ogni persona per tutta la vita, il taglio semantico dell’originaria EDA diviene sempre più ampio, perché a supportare ed integrare l’intervento educativo della scuola partecipano altre componenti formative del territorio, della cultura e della politica: media, enti locali, organismi sindacali, forze imprenditoriali, organizzazioni comunitarie e governative.

L’educazione formale, non formale e informale

Il concetto di educazione permanente, travalicando gli steccati sinora frapposti tra l’educazione formale, non formale e informale è in grado di raccordare tra loro le diverse agenzie educative assicurando a tutti la possibilità di proseguire la loro formazione oltre l’educazione scolastica iniziale. L’educazione permanente è quella che coniuga e fa interagire ciò che si svolge negli istituti di istruzione e di formazione (e che conduce solitamente all’acquisizione di diplomi e qualifiche riconosciute) con ciò si svolge al di fuori delle principali strutture di istruzione e di formazione (che solitamente si dispensa sul luogo di lavoro, nell’associazionismo, nella società civile, e che non è corredata da certificati ufficiali), con  ciò che si svolge naturalmente nella vita quotidiana e che non è necessariamente intenzionale e tantomeno riconosciuta.

L’apprendimento (e quello degli adulti, in particolare) si realizza, infatti, in una pluralità di situazioni e di contesti – in famiglia, sul posto di lavoro, nella vita sociale – e quindi anche al di fuori delle sedi formali finalizzate all’istruzione.

Si perviene così ad una definizione, comunitariamente riconosciuta, di educazione permanente come ogni “istruzione generale, istruzione e formazione professionali, istruzione non formale e apprendimento informali intrapresi nelle varie fasi della vita, che diano luogo a un miglioramento delle conoscenze, delle capacità e delle competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e/o occupazionale”[4], vengono fornite univoche definizioni di apprendimento formale, non formale e informale condivise a livello europeo[5], fino ad approdare alla considerazione che lo studio, il lavoro, l’occupabilità e la cittadinanza attiva sono un “diritto delle persone”[6].

Dimensione strumentale e dimensione esistenziale

È per questo che l’educazione degli adulti, configurandosi come un’istanza esistenziale che si snoda, diversificandosi, lungo l’intero arco della vita, ha determinato un cambiamento di prospettiva: si è passati da una sola circoscritta e imprescindibile visione compensativa (alfabetizzazione primaria) delle iniziative tese al recupero scolastico ad un’idea di formazione orientata allo sviluppo personale e finalizzata all’acquisizione di competenze e di repertori culturali utili a fronteggiare i cambiamenti organizzativi dei processi di innovazione e la progressiva complessità dei sistemi sociali. L’attuale “società della conoscenza”[7], in seno alla quale l’educazione permanente si è andata imponendo come il nuovo ideale educativo, richiede ad ogni individuo di incrementare, aggiornare, specializzare le proprie conoscenze, affinare le proprie capacità e perfezionare le proprie competenze (anche tecnologiche), indispensabili per esercitare le responsabilità connesse alla vita adulta e professionale. Pertanto, parlare oggi di educazione degli adulti significa far riferimento alla sua duplice funzione, strumentale ed esistenziale: la prima, finalizzata a compensare gap formativi; la seconda più legata alla dimensione culturale, etica, valoriale e autorealizzativa del processo di sviluppo del soggetto.

La chiave di accesso alla cittadinanza attiva

Educazione degli adulti, quindi, come qualcosa in più di un diritto: una chiave di accesso, non solo per assumere un’identità e dare un senso alla propria vita, ma anche per poter godere di una cittadinanza attiva tale da promuovere democrazia, giustizia, parità, sviluppo sociale in un mondo in cui il conflitto sia sostituito dal dialogo e da una cultura della pace. Ne discende che l’educazione permanente, come elemento centrale nel processo di formazione integrale e nelle strategie di sviluppo del capitale umano e sociale, si configura come un vero e proprio strumento di regolazione esistenziale, un piano di interazione, condivisione e inclusione sociale che implica una visione formativa di carattere sistemico.

L’immagine di una scuola che si apre al territorio si è rivelata, man mano, sempre più presente nelle intenzioni dei decisori politici del nostro Paese, perché scuola e territorio rivestono un ruolo complementare nel funzionamento del sistema educativo, all’interno del quale ciascun ente è coinvolto in maniera sistemica e corresponsabile nell’azione educativa dei soggetti in apprendimento.

Da qui, l’idea del processo educativo come sistema complesso nel quale la scuola si configura come sistema tra sistemi[8]: un sistema vitale, autonomo, al centro di una rete di sistemi autonomi che interagiscono tra loro. La scuola diventa un’impresa collettiva intenzionalmente aperta a sollecitazioni e iniziative, perché avendo come suo compito precipuo quello di facilitare il processo di apprendimento, è chiamata ad entrare in contatto con modelli di apprendimento diversi cooperando con agenzie formative esterne, in modo tale da superare quell’isolamento e quell’autoreferenzialità in cui inizialmente si trovava ingessata.


[1] Nota MIUR prot.n. 7755 del 3maggio2019 “Iscrizioni ai percorsi di istruzione per gli adulti 2019-2020”.

[2] Ordinariamente ciascun CPIA può attivare non più di un’Aula Agorà; tuttavia, in considerazione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, il MIUR, con nota 7769/2020, ha rimesso al “prudente apprezzamento degli UU.SS.RR.” l’opportunità di autorizzare l’attivazione di un numero eventualmente superiore di aule AGORÀ, promosse a seguito dell’emanazione di Linee-guida adottate con il Decreto Interministeriale del 12 marzo 2015.

[3] ONU, Manuale delle indagini sulle famiglie, New York, 1984 (Edizione rivisitata).

[4] Decisione n. 1672/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 2006 che istituisce un programma comunitario per l’occupazione e la solidarietà sociale.

[5] Art. 4, commi 52,53,54 della Legge n. 92 del 28 giugno 2012 avente ad oggetto “Disposizioni in materia di riforma del lavoro in una prospettiva di crescita”. In particolare, c. 52 “Per apprendimento formale si intende quello che si attua nel sistema di istruzione e formazione e nelle università e istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, e che si conclude con il conseguimento di un titolo di studio o di una qualifica o diploma professionale, conseguiti anche in apprendistato a norma del testo unico di cui al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167, o di una certificazione riconosciuta”; c. 53 “Per apprendimento non formale si intende quello caratterizzato da una scelta intenzionale della persona, che si realizza al di fuori dei sistemi indicati al comma 52, in ogni organismo che persegua scopi educativi e formativi, anche del volontariato, del servizio civile nazionale e del privato sociale e nelle imprese”; c. 54 “Per apprendimento informale si intende quello che, anche a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello svolgimento, da parte di ogni persona, di attività nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo, nell’ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero”.

[6] NelD.lgs n. 13 del 16 gennaio 2013 avente ad oggetto “Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze” si afferma per la prima volta che “la Repubblica, nell’ambito delle politiche pubbliche di istruzione, formazione, lavoro, competitività, cittadinanza attiva e del welfare, promuove l’apprendimento permanente quale diritto delle persone”.

[7] Nella 33ma Conferenza Generale UNESCO dell’11-13 ottobre 2005 viene introdotta la definizione e il contenuto della società della conoscenza. Già l’economista Peter Drucker aveva considerato la conoscenza come una risorsa-chiave e nel 1969 aveva coniato l’espressione “lavoratore della conoscenza”.

[8] Ludwig von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppi, applicazioni, 1968.