Perché protestate contro la decisione del Governo di riformare per legge il reclutamento dei docenti? Non ci sembra che questa sia una materia contrattuale.
Intanto una precisazione, che non è di poco conto: qui siamo di fronte a una riforma fatta con un decreto legge, strumento che per sua natura andrebbe adottato solo in caso di necessità e urgenza e che consegna al Parlamento, come spazio di discussione, solo i canonici sessanta giorni entro cui deve avvenire la conversione in legge. Tant’è che la stessa maggioranza di governo sembra essere stata colta di sorpresa da un provvedimento di cui ignorava i contenuti, stando a quanto dichiarato da diversi esponenti politici. Sulla necessità di dare al reclutamento un assetto stabile non si discute, noi stessi lo chiediamo da anni: che questo sia il modo migliore per disciplinare un tema così delicato e complesso, con soluzioni di cui si fa fatica persino a conoscere l’autore, ce lo devono dimostrare.
Non crede che forse bisogna anche considerare la necessità di avviare riforme con una certa urgenza, data l’attuala situazione di emergenza?
A chi sostiene che l’urgenza derivi dalle regole imposte per l’attuazione del PNRR, faccio notare che l’indicazione del tema reclutamento tra quelli su cui intervenire è di un anno fa: c’era quindi tutto il tempo per preparare una riforma così importante con un ampio coinvolgimento e non nelle segrete stanze di qualche – e mi chiedo quale – Ministero.
Il sindacato non è stato sentito? Nel Patto per la scuola la parola d’ordine era “condivisione”.
A maggio dell’anno scorso abbiamo sottoscritto col Ministro Bianchi, a Palazzo Chigi e su carta intestata della Presidenza del Consiglio, un Patto nel quale il reclutamento e la formazione del personale, tra tante altre, sono materie per le quali si indica come metodo da seguire quello di una “politica improntata al dialogo e al confronto”, volta a sostenere “processi di innovazione partecipata”. Proprio “a partire dal reclutamento” il Ministero si impegnava a costituire “tavoli tecnici dedicati allo studio, all’analisi e alla definizione di soluzioni condivise”. Siamo ancora in attesa di quei tavoli, nel frattempo è arrivato il decreto legge. Non contestiamo al Legislatore le sue prerogative: contestiamo al Ministro e al Governo la grave incoerenza che li ha portati a disattendere totalmente un impegno sottoscritto.
Ma quali sono le vostre obiezioni nel merito? Non è che sotto sotto rifiutate ogni forma di concorso e preferite ricorrere a sanatorie per i precari?
Quelle che in modo spregiativo vengono chiamate sanatorie, per quanto ci riguarda sono invece procedure trasparenti, oggettive e rispettose della Costituzione con le quali si può e si deve riconoscere e valorizzare le consistenti esperienze di lavoro grazie alle quali ogni anno il nostro sistema scolastico è messo in condizione di funzionare regolarmente. Con esiti non disprezzabili, aggiungo, se in aree dove più alta è la percentuale di personale precario si hanno spesso anche le rilevazioni migliori sui livelli di apprendimento. Faccio questa considerazione in modo volutamente provocatorio, ma quanta astrattezza, quanta ideologia, quante banalizzazioni caratterizzano la discussione su questi temi! Su tutte, l’idea che le graduatorie dei precari siano la fonte di tutti i mali del sistema e i concorsi per esami ne possano rappresentare la panacea.
Sì, appunto. Ci sono molti a pensare che bisogna uscire dalla logica delle graduatorie per ritornare con regolarità ai concorsi. Ma forse ritornare all’“antico”, cioè al doppio canale potrebbe essere una soluzione concreta.
Mai ci sono stati così tanti precari da quando si è annunciata trionfalmente la fine della supplentite. Come CISL Scuola abbiamo, infatti, da tempo avanzato la proposta di un sistema di reclutamento a due canali, che con le opportune rivisitazioni rispetto all’esistente e soprattutto garantendone una corretta gestione ci sembra essere la soluzione più equilibrata e aderente alla realtà.
Ma come siamo messi oggi, di fatto, con il precariato?
La realtà del precariato ha oggi dimensioni abnormi, ma di questo precariato il sistema scolastico, anche se in misura più contenuta, non può comunque fare a meno. Come avverrebbe in qualunque settore lavorativo, persone che maturano un’esperienza professionale dovrebbero essere considerate una risorsa, non una zavorra. Sostenere il loro lavoro con un supporto formativo, valutandolo sul campo, prevedendo percorsi abilitanti dedicati, è l’approccio che riteniamo più rispettoso per le persone e più utile per il sistema: in questi termini andrebbe pensato, secondo noi, uno dei due canali di reclutamento.
Perché i concorsi per esami non vanno bene?
Nessuna obiezione ideologica ai concorsi per esami, dei quali peraltro l’esperienza fin qui condotta ha fatto emergere più i difetti che i pregi: dalla disomogeneità nella valutazione da parte delle diverse commissioni, tale da inficiare la doverosa oggettività delle prove, siamo passati alla livella dei quiz, dove però accanto ai numerosi errori riscontrati emerge spesso l’astrusità di quesiti che è proprio difficile ritenere una garanzia di qualità della selezione. Il modello prefigurato dal decreto rivela forse la consapevolezza di questi limiti, ma si traduce in una procedura che appare nello stesso tempo farraginosa e lacunosa. A volte si ha l’impressione di una certa lontananza dalla realtà, come se la si conoscesse molto poco. Ecco perché confrontarsi con chi rappresenta chi vive quotidianamente e concretamente i problemi della scuola (parlo dei sindacati, ma anche delle associazioni professionali) sarebbe quanto mai utile e opportuno quando si definiscono progetti che molto spesso, l’esperienza ce lo insegna, finiscono per fallire.
Il decreto affronta anche il tema della formazione in servizio e degli incentivi al merito. Come sindacato non pensate sia giusto premiare chi si impegna per accrescere le sue competenze e assicurare una migliore qualità dell’insegnamento?
Noi pensiamo anzitutto che la formazione in servizio e l’aggiornamento rispondano a un’esigenza generale del sistema e devono riguardare tutto il personale, non solo una parte. Un diritto dovere che è insito nel profilo stesso di ogni docente; dal punto di vista sindacale, una componente del rapporto di lavoro che in quanto tale deve trovare nel contratto la sua fonte di regolazione, così come competono al contratto le eventuali ricadute di natura retributiva. Su questo il decreto compie un’evidente invasione di campo, ma fa anche qualcosa di più, sottraendo da quelle destinate al rinnovo contrattuale le risorse da utilizzare per una “premialità” proposta in forme che sono per noi del tutto inaccettabili.
È una questione di risorse non adeguate, quindi.
Le risorse faticosamente recuperate, in aggiunta a quelle – insufficienti – previste in legge di bilancio, bastano a malapena per assicurare il minimo della decenza a un rinnovo contrattuale nel quale, oltre a rivalutare nel loro complesso le retribuzioni del personale, recuperando almeno in parte lo svantaggio che patiscono nel confronto interno e internazionale, occorre proteggerle dal brusco riaccendersi delle dinamiche inflattive. Se si vuole incentivare la frequenza di attività formative, lo si faccia investendo risorse aggiuntive, e si discuta del “come” nella sede appropriata, che è quella contrattuale.
Ma voi siete disposti a ragionare su come meglio riconoscere e valorizzare le professionalità?
Da anni siamo pronti e disponibili a ragionare su come riconoscere la specificità di impegni che la complessità del lavoro nella scuola richiede anche in forme diversificate, con le ricadute che ciò comporta anche sugli sviluppi di carriera; di carriere delle quali vorremmo oltre tutto accorciare i percorsi, in linea con quanto accade in Europa. Non ci si chieda di accettare che su questo si decida per decreto, tagliando risorse che sono di tutti per darle a una quota ridotta di personale. Così come ha ben poco senso coinvolgere le persone in percorsi di formazione molto impegnativi e poi “premiarne” solo una parte. Un modello che ci sembra del tutto privo di logica. Se poi, come sembra, altre economie si pensa di ottenerle tagliando gli organici, vuol dire che ci si prepara a infliggere un duro colpo al sistema, anziché aiutarlo a funzionare meglio e a intervenire con più efficacia là dove emergono le maggiori criticità. Anche su questo, è stridente il contrasto con gli impegni solennemente assunti e sottoscritti nel patto per la scuola. Vorrei su questo prendere a prestito le parole con cui Mario Draghi si presentò alle Camere come Presidente del Consiglio, e riportate nel Patto: abbiamo “un’occasione storica di ridare priorità alla scuola, non sprechiamola”.