Certo che noi adulti siamo davvero strani! Scoppia una guerra vicino all’Occidente, quella che sta devastando l’Ucraina, e le nostre emozioni risorgono, il rifiuto della violenza, le manifestazioni, le raccolte di firme, una bellissima solidarietà verso donne e uomini che difendono il loro passato ed il loro futuro.
Nell’era che va verso il 2.100 bambini e ragazzi europei sono esposti ad un futuro incertissimo e denso di nuove inaspettate preoccupazioni.
Cosa abbiamo fatto per costruire una pedagogia della Pace?
Si chiamava Rosario
Veniva da Napoli ad Amalfi centro, con la mamma e il fratellino piccolo, il papà funzionario della Banca d’Italia.
Rosario in un mese riuscì ad inimicarsi compagni di scuola, picchiò bambini e ragazzi più piccoli e più grandi di lui (perfino Alfonsone, un ragazzo di 13 anni e già alto un metro e 85 centimetri).
Un giorno Rosario nella sua scorribanda fuori dalla scuola vedendo la mia tranquillità e, soprattutto umiliato dal mio sguardo, già allora severo, mi rincorse puntandomi addosso il suo ombrello…
Lasciate che i bambini vengano a me
Il Maestro, sì, proprio lui, il grande Maestro (in un noto episodio presente sul Vangelo di Gesù) richiamò il capo dei suoi “bidelli” e, rivolgendosi a Pietro disse: «Lasciate che i bambini vengano a me».
Non è l’unico caso in cui la nonviolenza ed il sentimento di Pace vengono espressi in un testo sacro. Così spesso ritornano i più piccoli come nel caso della stessa natività (la buona notizia), quella che tradizionalmente ricorre il 25 dicembre in cui il cambiamento è determinato dalla nascita di un bambino.
Quando scoppia un conflitto bellico il nostro pensiero corre ai bambini e alle donne prima che ancora a tutta la popolazione aggredita.
Le immagini moltiplicano la nostra apprensione e i fatti più scellerati (il bombardamento di un ospedale pediatrico), oltre ad intimorirci, ci fanno tornare a quelle immagini dei bambini colpiti che danno allo spettatore medio l’idea dell’assurdità della guerra come mostruosità prodotta dall’Uomo.
Bandierine e nastri giallo-azzurro [i bambini e la pace]
Camminando intorno ai cancelli delle scuole italiane troviamo una nuova bandiera, quella ucraina. Due colori contrastanti (giallo e azzurro) che hanno assunto un senso di leggerezza e di dolcezza al solo pensiero delle bambine e dei bambini dell’Ucraina vittime del tutto innocenti, come quasi tutta la popolazione, di una guerra stupida, cinica, legata a interessi contrapposti di blocchi che esistono ancora dopo il superamento della guerra fredda.
Le scuole italiane, quelle vicine alle nostre case, soprattutto quelle del primo ciclo, hanno riaffermato in tanti modi colorati il valore civico e formativo dello stare a scuola. È stata, intenzionalmente, una grande risposta di maestre e maestri innanzitutto, alle critiche spietate che da un po’, anche con qualche libro fuori luogo, erano lanciate contro la scuola, gli insegnanti, il sistema formativo italiano.
Questa volta non c’è stato divieto di utilizzare la bandiera della pace né quellA dell’Ucraina. A differenza del 2003 dove un Governo e parte del Ministero dell’Istruzione vietarono prese di posizione e, soprattutto, esposizione di simboli, questa volta la maturazione della scuola ha fatto sentire la sua opinione in modalità leggera e sincera, forte e chiara.
“Le bambine ed i bambini italiani” stanno dalla parte delle bambine e dei bambini di tutto il Mondo!
Piccolo è bello [il senso di comunità gestibile]
L’educazione alla Pace si fonda sul senso di comunità.
Ciò che i bambini colgono facilmente non si ripete anche per i ragazzi più grandi e per gli adulti. La scuola è per la Pace, senza se e senza ma….
Le scuole oggi sono meno di ottomila; se fossero state trentamila il clamore sarebbe stato perfino più forte.
L’idea di ridurre il numero di scuole innalzando il numero massimo a dismisura ha inevitabilmente peggiorato il funzionamento. Forse per frettolosità dei governanti, fu sottovalutato il rischio di maggiori difficoltà di gestione e di un aumento progressivo delle distanze umani e sociali. Le Istituzioni scolastiche hanno un numero di almeno 140 dipendenti e, molto spesso, più di mille alunni: migliaia di stakeholder di primo e secondo livello.
Così, tra le tante ed urgenti priorità di funzionamento, le finalità educative, formative, di coesione sociale spesso rischiano di saltare o di diventare secondarie.
1958… “Ma è stato prima lui!”
Crescere in un paese è più facile sotto il profilo delle relazioni e della costruzione di senso. Ricordo che, da piccolo, quando c’era un conflitto, gli adulti erano inflessibili e ci chiedevano di riconciliarci subito e non volevano sentire ragioni ed anche chi gridava: “Ma è stato prima lui!”, era destinatario del rimprovero e quasi sempre di una punizione pubblica come sottrazione di stima. Non era raro lo scappellotto.
Questo semplice atteggiamento adulto si è rivelato col tempo sano ed aveva effetti immediati: la riconciliazione tra i due “contendenti” spesso era agevolata dai coetanei che avevano assistito al parere adulto degli adulti e tutti insieme, magari sporchi e sudati. si tornava a casa. Eppure quella scuola era una scuola selettiva ed in moltissime classi la metodologia didattica si avvaleva della divisione e del distanziamento tra gli alunni.
2020… Mio figlio non è un violento, anzi…
Tanti fattori sociali e soprattutto comunicativi hanno esposto un po’ tutti ad una marginale attenzione all’altro da sé. Un isolamento creato anche dalla moltiplicazione dei media fino ai dispositivi individuali. Centinaia di milioni di bambini e ragazzi crescono, in ogni nazione, riferendosi più a un modello di moda massivo anziché ad un percorso di confronto di micro e mesosistema: la comunità diventa sempre più una parola vuota.
Nei conflitti tra bambini e ragazzi i genitori si schierano, in famiglia o nel sociale: mamme che rimproverano i papà e viceversa: “la colpa è tua!”
L’alleanza genitoriale dei due semi-adulti insicuri si ritrova quando il figlio/la figlia viene rimproverato di un atteggiamento gravoso o violento o addirittura espresso con atteggiamenti di bullismo.
Chi lavora nella scuola spesso si è sentito dire “mio figlio è stato educato benissimo, è la scuola che non lo capisce ed i compagni si alleano contro di lui, non è mai stata violento!”
La stessa frase: “Sembrava una brava persona” è applicata ad autori di crimini familiari, uxoricidi e violenze verso donne e bambini.
Il paradosso è che questo avviene in una società che facilita l’accesso alla conoscenza anche tramite periferiche digitali e in una scuola fortemente inclusiva.
Maestri di pace
Gandhi, Capitini, Milani, Montessori, Zavalloni, Dolci…Tanti i maestri della Storia e della Pedagogia, testimoni di pace, persone che si sono collocate sempre al di sopra del conflitto anche con dimostrazioni forti. “Chi litiga, chi fa una guerra è di solito un nevrotico; la persona sana cerca di capire quale sia il problema. Quando si fanno guerre vuol dire che non si conosce la situazione da affrontare: per questo motivo la pace viene a essere il riflesso dei problemi risolti”. È questa una delle frasi tra le più note di Danilo Dolci.
Quelle idee, quelle testimonianze, le storie di riflessione e di operatività ci inducono a ben considerare l’importanza del fare a scuola sempre esperienze di condivisione, peraltro, coerentemente con quanto è raccomandato nelle Indicazioni nazionali per il curricolo (2012): fare esperienze significative, costruire ambienti stimolanti per l’apprendimento, insegnare la coesione sociale, mettere le persone al centro di ogni scelta, stare insieme per apprendere meglio (apprendimento cooperativo).
Dialogo sempre e ad ogni costo [il valore dell’altro da sé]
Nei libri di Storia e di Letteratura, come in alcuni libri di Filosofia e Pedagogia, è possibile trovare le tracce di percorsi collegati al satyagraha, cioè alla resistenza passiva o anche all’insistenza per la verità. È il metodo non violento di contrasto alla violenza ed ai soprusi. Lo ripeteva spesso il Mahatma Gandhi ma lo possiamo leggere anche in tante pagine di Aldo Capitini o di Maria Montessori: occorrono pazienza, resilienza e tenacia nel portare avanti le proprie idee. Bisogna ribadirle, sottolinearle fino al convincimento dialogico della controparte.
Il logos e il dia-logos rappresentano la fase sociale evoluta della specie umana, quella che aiuta a trovare soluzioni agli inevitabili conflitti della vita tra esseri umani: gli argomenti come strumenti, l’attesa come metodo, l’incontro come tentativo di riannodare quello che è andato in crisi. È un cambio di prospettiva quello di porsi dall’altro lato, di pensare che non c’è una verità mia ma c’è una verità oltre me.
E allora diventa importante imparare a inchinarsi davanti all’altro, accettarne l’esistenza in vita, ma anche discutere e contestare le argomentazioni, imparare anche a presentare una visione non propria, non forte, non altra, ma alta e suprema.
In Italia persiste il movimento nonviolento che può aiutare a crescere. Esiste all’Università di Firenze un corso di Laurea in Pedagogia della Pace. C’è spazio per il rilancio di una Cultura del Dialogo capace di passare per un saper gestire e curvare le umane situazioni di conflitto.
Maria Montessori e la Pace
Dobbiamo continuare ad “Educare senza sosta…”. Quella di Maria Montessori fu una voce importante di educatrice ad ergersi contro il clima e lo spirito di violenza instaurati dal fascismo e dalle classi sociali reazionarie che imperversavano in Italia, in Europa e in Africa (basta ricordare la guerra italiana d’aggressione in Etiopia).
Maria Montessori pose una ferma e appassionata difesa della cultura democratica, della pace, dell’atteggiamento solidaristico: potenti motori dello sviluppo della persona, dell’umanesimo, di quella cultura che conduce le società all’apertura a condividere idee, spazi e tutto ciò che serve per la vita.
L’Utopia della Pace vs la follia della Guerra
Se affrontiamo la realtà della storia come ci viene raccontata e come si sta realizzando attraverso filtri giornalistici orientati inevitabilmente ad evidenziare danni e contrasti, siamo tutti presi dallo sconforto e dal pessimismo.
Sembrano fallire tutti i tentativi (metodi, programmi, formule) portati avanti per creare una pedagogia della pace.
Dimentichiamo che i media svolgono a volte una funzione antieducativa, giocando anche negli spettacoli televisivi sui contrasti tra gruppi o singoli.
La cultura della Pace richiede un atteggiamento più ottimista ma non ingenuo. Basta osservare tanti comportamenti delle bambine e dei bambini che, con semplicità ed immediatezza, ci insegnano le mille possibilità di trasformazione nonviolenta dei conflitti…
Occorre perciò pensare che l’educazione è importante e che la formazione va verso la direzione giusta se, accanto ai contenuti, badiamo alla forma del fare scuola che vale almeno quanto i contenuti stessi.
Discipline come narrazione per la Pace…
Partiamo allora da alcune constatazioni.
La comprensione della gravità di una guerra e l’emotiva reazione di sdegno costituiscono il primo passo, ma non è tutto. La scuola non può agire solo sulla base delle numerose note ministeriali, sulle direttive o ordinanzr relative all’educazione alla Pace. Non ci sarebbero speranze per un reale progresso della Cultura Democratica.
Potrebbe essere di grande utilità un approccio ecosistemico (Bronfenbrenner) stimolando in ogni bambino, in ogni adolescente la voglia di autorealizzarsi (piramide di Maslow).
C’è una rivoluzione gentile e al tempo stesso potente nei patti educativi di comunità. Dopo due anni di pandemia – per la prima volta – i ragazzi si stanno riappropriando più facilmente degli spazi delle loro città e sono al centro delle decisioni per le attività che li riguardano. Così centinaia di ragazzi in sette regioni (Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lazio, Sardegna, Puglia, Sicilia) sono riusciti a farsi ascoltare attivamente dagli adulti. È un bel segno!
A partire dalla Scuola Primaria, specialmente nelle ultime classi, si può fare tantissimo: costruire coscienze, atteggiamenti, comportamenti dialogici capaci di abbattere tutti i muri spessi. Forse non si fermeranno gli eserciti ma potremmo aiutare le coscienze.
E non è poco …