Il confinamento che bambini, adolescenti e giovani hanno conosciuto in questi ultimi due anni, a causa delle restrizioni dovute al coronavirus, ha evidenziato quanto sia centrale, nella vita dei più giovani, la funzione della scuolanon solo come luogo di studio, ma anche di socializzazione. La mancanza di uno spazio di incontro e di scambi quotidiani ha causato un evidente stato di malessere nella vita di molti bambini e adolescenti. Inoltre, il prolungato ritiro forzato ha indebolito il senso di responsabilità, in assenza del quale la conquista dell’autonomia e la costruzione dell’identità personale diventano più difficili.
Il valore sociale della scuola
E così tutti hanno scoperto, ammesso che ce ne fosse bisogno, un’oggettiva evidenza: in Italia la tanto vituperata scuola è l’unico spazio pubblico nel quale tutti, ragazze e ragazzi, si incontrano, allacciano rapporti di amicizia, formano gruppi, si innamorano… Escono, di fatto, dal cerchio ristretto degli affetti familiari per tuffarsi nel mondo con tutte le sue contraddizioni.
La scuola, dunque, è espressione di una comunità che rappresenta l’unico esempio di vita societaria e amicale dei giovani italiani.
In effetti fino a quattordici anni, cioè sino al termine del primo ciclo di istruzione, il modello educativo italiano assicura un sistema di inclusione che permette alle bambine e ai bambini, senza alcuna distinzione sociale, culturale e religiosa, di vivere pienamente la vita extrafamiliare. Lo stesso avviene anche nel ciclo successivo, nell’istruzione superiore, con una significativa differenza: la canalizzazione dei percorsi.
Infatti, nel primo anno della scuola secondaria di II grado lo studente che frequenta un liceo avrà meno occasioni per stabilire relazioni con un coetaneo che si è iscritto ad un istituto professionale, anche se fino a pochi mesi prima erano insieme in “terza media” e condividevano esperienze comuni. Non esiste ovviamente un rapporto di causa-effetto di tale sistema “duale”, ma in realtà è ciò che più frequentemente avviene.
Prima e dopo la pandemia
La deriva pandemica ha interrotto bruscamente la ricchezza della vita sociale che la scuola da sempre assicura. Di contro, nella solitudine dei tempi trascorsi tra le mura domestiche è aumentata a dismisura la fruizione individuale di Internet e dei social. Questo fenomeno non è figlio dell’emergenza sanitaria. Esisteva anche prima: il Covid l’ha solo accelerato. Tale consumo, spesso non controllato dai genitori, porta anche i giovanissimi a immedesimarsi in programmi “limite”, compresi video violenti e prodotti pornografici. Tali comportamenti sono favoriti dal fatto che gli adolescenti non hanno paura del castigo degli adulti né a casa, né a scuola, né in piazza.
Come ha ricordato recentemente Gustavo Pietropolli Charmet (2 febbraio 2022), nella precocità con cui si naviga sempre più in Internet, “amore, affetto, interesse, desiderio, erotismo vengono mischiati”. E così l’esistenza dei bambini è prigioniera di una situazione che Gregory Bateson ha definito del “doppio legame”, consistente nel fenomeno per cui una relazione è caratterizzata da messaggi che si contraddicono tra loro: i genitori dicono una cosa, la rete esattamente l’opposto. Questa incoerenza crea disorientamento e l’illusione che ciò che si vede si possa fare.
Molti orientamenti della psicologia sociale hanno evidenziato che, quando poi i ragazzi si ritrovano a vivere nel gruppo dei pari, il concetto di responsabilità subisce un indebolimento, in quanto il rispetto delle regole del gruppo viene prima di qualsiasi altra scelta.
Il long covid educativo
Il facile accesso alla pornografia via Internet rappresenta un rischio pericolosissimo. L’aumento di comportamenti devianti tra minori, di cui le cronache si infittiscono, è dovuto anche a questo consumo autoerotico incontrollato. Gli eccessi, compresi atti di violenza sessuale, commessi da minorenni a danno di altri coetanei, sono l’esempio di condotte che dal mondo virtuale vengono trasferite alla vita reale. Fa impressione che la giustificazione addotta da minori che si sono resi colpevoli di reati così gravi sia la medesima di quella di adulti deviati: “era consenziente!”. Il gruppo si trasforma in un acceleratore di questi comportamenti depravati, perché il singolo deve piegarsi all’onore del gruppo di cui fa parte.
Sappiamo bene che il ritorno alla normalità dopo l’emergenza pandemica (la data pare non troppo lontana) avrà inevitabili strascichi sul piano della tenuta psicologica di molti ragazzi. In questo senso, la famiglia e la scuola dovranno affrontare un long covid educativo, a cui è bene prepararsi sin da ora.
Angela Gadducci sul numero 260 di Scuola 7 del 21 novembre 2021 ha esaminato con convincenti argomentazioni le problematiche che oggi ragazze e ragazzi attraversano, evidenziando il crescente disagio che connota la condizione giovanile. Concludeva il suo contributo con un richiamo alla scuola come luogo di promozione all’etica della responsabilità.
Nella dimensione sociale in cui ci oggi ci troviamo a vivere, sottolinea Angela Gadducci, la complessità, nella logica del possibile, può essere affrontata solo con lo spirito di solidarietà. Nell’attuale condizione umana globale siamo tutti accomunati dalle medesime asimmetrie dell’esistente, dalla stessa diffidenza nei confronti del futuro, dagli identici problemi di vita e di morte. Ne discende la necessità di costruire, di volta in volta, in un costante e irriducibile incontrarsi e separarsi, il senso dell’esistenza e dello stare insieme.
Responsabilità come estetica dell’educazione
Oggi più che mai la scuola avverte il bisogno di mettere al centro del proprio compito alcune parole chiave su cui fondare unanuova paideia. La pandemia ha evidenziato la fragilità dell’uomo “possessore” del mondo; una nuova concezione dell’educazione deve uscire da questo antropocentrismo assoluto e perseguire due finalità indifferibili: il senso del limite e l’educazione alla responsabilità.
Si tratta di idee guida sostenute con particolare forza nelle Indicazioni nazionali per il curricolo-2012, in cui si evidenzia “un’attenuazione della capacità adulta di presidio delle regole e del senso del limite”. In assenza di comportamenti che facciano leva sul criterio della misura, diventa estremamente difficile promuovere nei bambini e nei giovani il senso di responsabilità. Ma anche raggiungere la felicità. Come dice l’oracolo di Delfi, per essere felici bisogna conoscere sé stessi onde individuare il proprio demone e realizzarlo secondo misura “perché se oltrepassi la tua misura prepari la tua rovina” (Galimberti, 2022).
L’insegnamento dell’educazione civica, ad esempio, non dovrebbe prescindere da questi due principi che, una volta acquisiti, possono portare gli studenti ad apprezzare le molteplici forme di un’intelligenza estetica intesa come capacità di riconoscere la bellezza, di individuarne la presenza anche ove è meno evidente e meno conosciuta, di leggerne la trama e il significato, di coglierne le sfumature e il senso, specialmente nelle apparizioni impreviste, nelle epifanie che la casualità del vivere può offrirci alla vista… (Baldriga, 2020)
Il rapporto tra bellezza e senso civico è molto stretto ed è oggetto di ricerca non solo di urbanisti, architetti, ecologisti, ma anche di persone “comuni”, appartenenti al mondo del volontariato e di movimenti associativi che prestano gratuitamente la loro opera per rendere più accettabile la vita di persone sole e più decorosi e gradevoli fiumi, boschi, luoghi pubblici deturpati quasi sempre da comportamenti incivili.
Il rischio della medicalizzazione
L’emergenza sanitaria ci ha costretti a vivere in gabbia, “vestiti soltanto delle nostre solitudini. Così il disagio e la sofferenza psichica sono cresciuti verticalmente” (Cominelli, 2022). Ma se il malessere nasce dall’assenza di spazi di incontro e di relazioni siamo sicuri che l’iniezione di una dose massiccia di specialisti potrà colmare tale assenza?
Scrive Giovanni Cominelli che l’idea della medicalizzazione universale del disagio individuale e sociale proviene da Oltreoceano: per ogni disagio psichico c’è sempre almeno una pillola e, possibilmente, uno psicoterapeuta o uno psichiatra o, per chi ha soldi, uno psicanalista. È però arduo credere che una o più sedute con lo psicologo/psichiatra/psicoterapeuta (pubblico o privato, ndr) possano riconnettere i fili spezzati delle relazioni pubbliche (Cominelli, 2022).
La cura più efficace viene invece dalle energie relazionali e dalle risorse che genitori, insegnanti, educatori, individui responsabili sapranno immettere nelle comunità locali. Non ci sono pillole che sappiano guarire la solitudine. Psicologi, psichiatri, confessori possono risvegliare energie latenti, ma la “terapia” per curare il disagio e il male di vivere parte sempre dal cuore dell’uomo e, in quanto tale, è difficilmente importabile.
Educare la “città interiore”
Il Covid ha colpito l’essenza ultima dell’uomo, quella dell’essere “zoon politikon”, cioè animale pubblico, per il quale la relazione con gli altri è coessenziale alla sua stessa esistenza.
Andrea Porcarelli (2018) ci dice che già Platone, nella Repubblica, sosteneva la necessità di favorire, mediante l’educazione dei giovani, “il prender forma di una solida struttura interiore, che egli stesso paragona alla costituzione di una città”.
L’arcivescovo Giacomo Morandi (2009) ci ricorda che l’incontro con la bellezza, a partire dall’esperienza, fornisce dei criteri di giudizio e di conseguenza una capacità di discernimento e di corretta valutazione.
Anche lo psicologo americano James Hillman in Politica della bellezza stabilisce una stretta relazione tra la bellezza della città e la qualità della vita dei cittadini. Nell’uomo esiste un “indistinguibile desiderio di bellezza” che costituisce un motivo spontaneo e naturale al desiderio di vivere in armonia con sé stessi e con gli altri. Tale risposta estetica, se non ascoltata, induce, secondo Hillman, ad un’“an-estesia”, cioè ad uno stato di passività e di incapacità di sentire. Di qui l’urgenza di educare bambini e ragazzi al gusto estetico, come filo conduttore della loro formazione.
Autonomia e identità
L’autonomia e l’identità, richiamate in premessa, sono le strutture portanti della capacità di scegliere e di decidere, quindi dell’agire morale della persona. Bellezza di sé e bellezza della città presuppongono l’educazione della “città interiore” di cui parlava Platone nella Repubblica nel quarto secolo avanti Cristo.
Dobbiamo educare i giovani a gesti concreti, a maturare un’intelligenza “etica e rispettosa”, a inforcare occhiali a più lenti per le ancore in nuovi porti dai quali scrutare nuovi orizzonti. Possiamo ripensare al curricolo con le parole di Marcel Proust: “Il vero viaggio non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi”.
La solidità delle virtù del passato può essere un’ottima arma per costruire l’educazione del futuro!
Indicazioni di lettura
- Cominelli G. (2022), Il Covid del nostro scontento: servono psicologi? Settimanale on line della Diocesi di Bergamo, 22 gennaio 2022.
- Baldriga I. (2020), Estetica della cittadinanza. Per una nuova educazione civica, Le Monnir, Firenze.
- Galimberti U. (2022), Perché privilegiare la cultura greca?, Settimale D (inserto della Repubblica), 12 febbraio 2022.
- Hillman J. (1999), Politica della bellezza, Moretti&Vitali, Bergamo.
- Morandi G. (2009), Bellezza. Luogo teologico di evangelizzazione, Edizioni Paoline, Milano.
- Pietropolli Charmet G. (2022), Intervista “Insegnate ai figli cos’è l’amore”, in Il Resto del Carlino, 2 febbraio 2022.
- Porcarelli A. (2018), Generare la “città interiore”, sta in Rivista dell’Istruzione, Maggioli, Rimini, n. 6/2018.
- Rondanini L., (2021), Il curricolo dell’educazione civica, in Rivista dell’istruzione, Maggioli, Rimini, n. 1/2021.