Filosofia anche negli Istituti tecnici e professionali?

Un altro modo per garantire gli apprendimenti

La seconda edizione del Progetto di Filosofia “Orizzonti della convivenza. Percorsi didattici per l’insegnamento dell’Educazione civica”, promossadal Ministero dell’Istruzione e dall’Istituto Italiano di Studi Filosofici prende avvio, per l’anno scolastico 2021-2022[1], con un ciclo di Seminari a distanza rivolto agli insegnanti della scuola secondaria di secondo grado e dei Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA).

Gli obiettivi dei seminari di filosofia

Il ciclo di seminari si prefigge i seguenti obiettivi:

  • promuovere la diffusione dell’insegnamento/apprendimento della filosofia (licei, istituti tecnici e professionali, istruzione per gli adulti) per favorire un rapporto cosciente e attivo con le tematiche dell’Educazione civica, per la formazione di cittadini autonomi e responsabili, per la partecipazione piena e consapevole alla convivenza civile
  • valorizzare la professionalità docente attraverso la progettazione di unità di apprendimento di singoli docenti e sillabi interdisciplinari trasversali condivisi da più docenti
  • favorire il rinnovamento dell’insegnamento/apprendimento della filosofia, attraverso pratiche di didattica integrata, didattica per competenze.

Filosofia, educazione civica e competenze chiave di cittadinanza

Gli obiettivi ci dicono in sostanza due cose: l’insegnamento apprendimento della filosofia esteso in tutti gli ordini di scuola secondaria superiore è funzionale alla formazione delle competenze chiave di cittadinanza con particolare riferimento a quelle veicolate dai contenitori tematici dell’Educazione Civica; il rinnovamento necessario nell’insegnamento-apprendimento della filosofia (superamento dello studio della storia del pensiero filosofico) può partire da sperimentazioni di didattica integrata.

Altrettanto interessante il target dei destinatari: non solo gli insegnanti di filosofia, ma anche i coordinatori e i referenti per l’educazione civica delle scuole e anche i docenti dell’area umanistica, quelli dell’area giuridica e perché non anche quelli dell’area scientifica? Interessante l’estensione agli insegnanti dei CPIA.

Gli obiettivi e i destinatari legittimano un passaggio ulteriore: la filosofia può essere utilizzata per contaminare l’uso settoriale delle discipline a favore di una maggiore integrazione curricolare.  Insomma sembra legittimo pensare che anche questo progetto possa essere un modo per anticipare una possibile pista di applicazione della proposta (annuncio, anticipazione) del Ministro Bianchi relativa all’introduzione della filosofia nei curricula degli istituti tecnici (ma solo dei tecnici o anche dei professionali e anche dei CPIA?).

La sostenibilità dei curricoli

Chiunque in questa fase voglia dire la sua sulla proposta dovrebbe superare la forte tentazione del prendere posizione a prescindere, come avrebbe detto il grande Totò, dell’essere a favore o contro. Potrebbe essere utile fare un esercizio diverso: partire da quello che abbiamo a disposizione a livello programmatico e ragionare su ipotesi accreditabili del significato e del possibile utilizzo di questa disciplina all’interno del disegno riformatore complessivo e necessario del sistema scolastico.

Un primo punto fermo delle riforme scolastiche che hanno puntato sui curricoli e che, alla prova dei fatti, si sono dimostrate sostenibili, poggia sulla condivisione dell’obiettivo da raggiungere: assicurare l’acquisizione dei risultati di apprendimento fissati da ciascun corso di studi.  Proviamo a rileggere il filo rosso che collega le proposte in merito di alcuni ministri:

  • i saperi essenziali di base del ministro Berlinguer;
  • non uno di meno del ministro De Mauro, capace di interpretare e aggiornare continuamente il dettato costituzionale dell’articolo 3 comma 2;
  • la visione prospettica del ministro Profumo che indicava l’esigenza di definire un sistema nazionale per l’apprendimento permanente.

L’annuncio del ministro Bianchi è in sintonia con questa storia. Lo vediamo in particolare in alcuni passaggi del “Patto per la scuola al centro del Paese” e dell’“Atto di indirizzo politico-istituzionale per l’anno 2022”.

Un percorso lungo ventitré anni che forse merita da parte di tutta la comunità professionale della scuola un approfondimento maggiore nel comprendere cosa cambia se il curricolo di scuola (e mettiamoci anche la leva dell’autonomia) dovrà essere pensato in funzione del costrutto delle competenze.

Il contesto della proposta del Ministro

Si legge nel Patto: “Il modello delle conoscenze e delle competenze deve guardare al futuro. Le future generazioni devono prepararsi per affrontare sfide inedite. Oggi la vita professionale è scandita da incessanti cambiamenti, dalla necessità di innalzare i livelli di istruzione e di prevedere una formazione continua. La nuova scuola per le studentesse e per gli studenti, per tutto il personale, deve disegnare competenze e abilità volte a interpretare realtà complesse e stimolare ad affrontare continui processi di cambiamento…”.

E si continua nell’Atto di Indirizzo: “… nel PNRR è stato previsto un intervento di riforma degli istituti tecnici e professionali, diretto ad allinearne i curricula alla domanda di nuove competenze promanante dal tessuto economico e produttivo del Paese, in particolare verso l’output di innovazione del piano nazionale Industria 4.0, anche al fine di orientarne i contenuti in funzione della transizione digitale in atto in tutti i settori del mercato del lavoro.”

Un ragionamento inferenziale

Da queste dichiarazioni possiamo provare a fare qualche ragionamento di natura inferenziale.

  • L’adeguatezza dei curricoli di studio alle domande della società della conoscenza non può essere misurata semplicemente sul fatto che essi contengano o non contengano alcune discipline di studio: un curricolo è forte se con quelle discipline di studio riesce o non riesce a formare le competenze chiave.
  • Poiché le competenze si strutturano necessariamente lungo tutto l’arco della vita, al curricolo formale di scuola dovremmo chiedere di svolgere una funzione specifica rispetto all’apprendimento permanente: curare la formazione della competenza personale dell’imparare ad imparare, perché è questa la bussola dell’auto orientamento dello studente.
  • Non a caso, a livello europeo, dopo l’adozione dell’EQF, l’attenzione si è concentrata sulla costruzione di framework che dichiarano i risultati di apprendimento di alcune competenze come quella digitale[2] e quella imprenditoriale[3] che più di altre implicano la mobilitazione di competenze trasversali e qualità personali.

I nodi da affrontare per arrivare alle competenze “vere”

Se è vero che le competenze “abilitano le persone a contribuire ad un futuro inclusivo e sostenibile, imparando a darsi obiettivi chiari e propositivi, a lavorare con gli altri con prospettive diverse, trovare opportunità non sfruttate e identificare più soluzioni a grandi problemi”[4] vanno affrontati alcuni nodi.

  • Nella formazione delle competenze spesso la scuola dei curricoli settoriali riscontra non poche difficoltà a tradurre in pratica didattica l’integrazione tra saperi e atteggiamenti o qualità personali. Non conosciamo ancora, ad esempio, gli esiti in questa direzione dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica in tutti gli ordini di scuola.
  • Allo stesso modo, il costrutto della competenza intesa come combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti avrebbe dovuto dare un impulso importante all’integrazione tra gli statuti epistemologici forti delle discipline scientifiche e quelli deboli delle discipline umanistiche alla luce dei più recenti paradigmi interpretativi delle stesse scienze (Kuhn e Popper insegnano). Ma è stato così?
  • I punti deboli della globalizzazione emersi con la crisi pandemica chiamano in causa soprattutto il sistema dei valori nelle culture e il senso etico della cittadinanza. Se è centrale la capacità di leggere e utilizzare un numero sempre più ipertrofico di informazioni, quale curricolo aiuta a passare dal mondo delle risposte precostituite al mondo delle domande giuste per interrogare la realtà? Servono competenze per governare la sostenibilità e il benessere.

Se questi sono i problemi emergenti, quale compito si può affidare alla filosofia?

La filosofia come strumento di resilienza

Come lo studio della filosofia potrebbe aiutare a mantenere vivi, proprio a partire dall’istruzione a scuola, curiosità, stupore, senso etico, creatività, proattività e collaborazione? Come attraverso lo studio della filosofia è possibile contrastare le categorie di una razionalità che allontana dall’amore vero della conoscenza e che sembra aver instaurato irreversibilmente l’epoca di quelle passioni tristi, tanto odiose agli occhi di Spinoza e ancora più dannose oggi, perché schiacciano gli uomini tra paure e speranze, li fanno arrendere di fronte alle incertezze?  

Lo studio di questa disciplina può essere uno strumento potente contro quella ragione pigra, e continuiamo ad utilizzare Spinoza, che ci fa contrapporre libertà a necessità e ci impedisce di comprendere che la libertà può coincidere con la coscienza della necessità.

Lo studio della filosofia implementa il bisogno di approdare ad una visione olistica in modo critico: può rappresentare, cioè, una chiave di lettura etica del senso comune come dei saperi codificati; essere uno strumento organizzativo e selettivo delle risposte date all’interno di una cultura per poi approdare al dialogo interculturale o di una disciplina di studio per poi arrivare all’interdisciplinarità.

Ma il suo incipit è esattamente l’opposto: è dalla cura del particulare che si individua il bisogno, l’interesse specifico che muove la speculazione di ciascuno di noi, che spinge ad intelligere, leggere dentro la realtà. L’universale, la definizione, il testo sono un punto di arrivo di un lungo processo che non disdegna di vedere il pensiero muoversi alla cieca come la talpa di hegeliana memoria per poi farsi nottola sul far della sera e capire ciò che si è costruito durante il giorno.

La filosofia come narrazione bruneriana

Sulle finalità appena descritte si innesta con forza la metodologia connessa: la conoscenza risponde a domande e le domande hanno senso a partire dal complesso dei significati che ciascuno di noi è riuscito a consolidare con l’apprendimento nei vari campi del sapere e di cui ha fatto esperienza. Sono le domande, sempre le stesse dall’origine dell’umanità ad oggi, che interrogano il senso della vita, il rapporto con sé stessi, gli altri, i propri artefatti culturali, la natura, la divinità. Domande che oggi racchiudiamo nel concetto di sostenibilità. Sono le domande chenon trovano automaticamente risposta nelle discipline di studio e nei libri di testo, quelle domande urgenti che vanno colte e interpretate o stimolate dagli insegnanti perché, se ignorate, vanno a mortificare la motivazione ad apprendere.

J. Bruner ci ha insegnato che apprendere è sapersi raccontare i fatti a partire da come abbiamo tematizzato e problematizzato la storia in cui questi fatti sono narrati. Se non riusciamo a farlo, è come se quei fatti non fossero mai accaduti. Prendiamo una domanda su tutte come esempio: quale e quanto spazio occupa nella vita dell’uomo la tecnologia? Dalla cultura classica dell’antropomorfismo degli “Dei” siamo arrivati alla cultura contemporanea dell’antropomorfismo delle macchine. Che fare di fronte all’intelligenza artificiale? Già su questo tema ci sarebbe da imbastire un percorso per tutti gli ordini di scuola, ma in particolare per i futuri costruttori e utilizzatori di macchine robotiche. Lo sguardo antropologico di Levi Strauss ci ha insegnato a diffidare dalle interpretazioni “casuali” riferite alle prime grandi tecnologie umane. Nulla accade a caso nella storia evolutiva dell’uomo.

La filosofia per guardare la realtà

Potremmo anche modificare la domanda “perché la filosofia negli istituti tecnici?” nella domanda “quando un fisico, un matematico, un letterato, un artista, un economista danno vita nel loro agire ad un pensiero filosofico?”. 

Una prima considerazione immediata potrebbe essere questa: sono filosofi se la loro teoria risolutiva del problema, il modello, il paradigma, l’intuizione originale sono stati immaginati e costruiticome risposta ad una domanda inedita che quel problema davanti agli occhi di tutti ha saputo sollecitare in loro. La filosofia insegna a guardare la realtà, mantenendo la capacità di stupirsi, di ficcare il naso con curiosità dentro le cose, di mantenere intatta la gioia che dà il capire cosa c’è dentro e sotto il funzionamento di una cosa, sia essa un oggetto o un costrutto sociale.

L’importanza del metodo

Sappiamo che lo studio della filosofia (non necessariamente lo studio della storia del pensiero filosofico) insegna a problematizzare la realtà e a tematizzare sia l’oggetto culturale di una qualsiasi disciplina sia a svilupparne i concetti. Quello che troppo spesso diamo per scontato rappresenta invece un passaggio fondamentale: la filosofia aiuta a rintracciare in ogni teoria, in ogni dottrina, la procedura d’indagine che ne convalida le conclusioni.

Perché è così importante dotarsi di saperi procedurali? In una realtà sempre più mutevole, la riflessività di cui parla U. Beck è prima di tutto capacità metacognitiva di ragionare sulle procedure utilizzate e soprattutto di valorizzare la funzione degli errori.

Scrive Popper “… Se mi chiedono cosa significa comprendere un problema, io rispondo che c’è solo un modo di imparare a comprendere un problema serio, sia esso un problema teorico o un problema pratico, cioè tentare di risolverlo e non riuscirci… Infatti un problema è una difficoltà: comprenderlo significa esperire queste difficoltà”[5]. Quindi, anche grazie ai fallimenti della ricerca possiamo avanzare nella conoscenza. La parola problema rappresenta la tensione tra due poli: conoscenza e ignoranza. Popper rafforza la funzione svolta dall’errore nella sua concezione del metodo scientifico che condensa in tre passaggi: inciampare in qualche problema; tentare di risolverlo con nuove teorie; imparare dagli errori fatti nei tentativi di soluzione.

L’importanza dei compiti di realtà

Volendo chiudere provvisoriamente il rapido excursus sulle ragioni a favore dell’introduzione dello studio della filosofia nell’istruzione tecnico professionale, potremmo fermarci ad esempio sull’utilizzo della filosofia nella formulazione dei compiti di realtà e dei Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento. Il compito di realtà è sempre pluri o interdisciplinare, parte da una tematizzazione, riguarda un problema reale, richiede la mobilitazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti, non ha un’unica strada risolutiva, può essere risolto individualmente ma ci sono passaggi in cui sarebbe meglio lavorare in coppia o in gruppo, lo studente farà emergere nella soluzione i domini e i linguaggi disciplinari che più padroneggia…

Nelle Linee Guida[6] per i PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) si ribadisce che gli atteggiamenti sono fondamentali nel costrutto della competenza, perché nell’ultimo EQF sono definiti disposizioni e mentalità utilizzate per agire e reagire a idee, persone e situazioni, tanto che il Sillabo allegato fa riferimento in toto al framework EntreComp sulla competenza imprenditoriale.  

Se le Indicazioni per i Licei affidavano a questa disciplina il compito cardine di accompagnare lo studente ad affinare le “strutture portanti dei procedimenti argomentativi”, possiamo sostenere che a questo obiettivo si può arrivare per strade diverse e non necessariamente solo astratte o solo dentro un percorso storico dello sviluppo del pensiero filosofico.

Insegnare filosofia è come dire: diamo centralità alle domande dello studente sui problemi che vive quotidianamente.


[1] https://www.miur.gov.it/web/guest/-/progetto-di-filosofia-orizzonti-della-convivenza-percorsi-didattici-per-insegnamento-educazione-civica-seconda-edizione-a-s-2021-2022-ciclo-di-seminar

[2] Cfr. DigComp 2.1 https://www.agid.gov.it/sites/default/files/repository_files/digcomp2-1_ita.pdf

[3] Cfr. EntreComp https://www.entrecompitalia.it/wp-content/uploads/2021/03/EntreComp_una-guida-pratica_IT.pdf

[4] Cfr. OECD Learning Framework 2030

[5] K.R. Popper, Scienza e filosofia, [1969] Einaudi, Torino 1980, pag. 144.

[6] Cfr. https://www.miur.gov.it/documents/20182/1306025/Linee+guida+PCTO+con+allegati.pdf