A distanza di 60 anni dalla sua prima edizione, l’Associazione Gessetti Colorati di Ivrea ripubblica in questi giorni un testo pedagogico che fa ormai parte della storia della scuola italiana.
Il libro si intitola “I metodi nella pedagogia contemporanea” e venne scritto a cavallo fra gli anni ’50 e ’60 daFrancesco De Bartolomeis, all’epoca quarantenne ma già ordinario di pedagogia presso l’Università di Torino.
Adesso il volumetto viene riproposto in formato digitale nella collana “Scuola è comunità” e, stando ai primi riscontri, sta riscuotendo un certo interesse fra i docenti. L’ebook è una riedizione del volumetto uscito per la prima volta nel 1958 presso Gianasso editore e ripubblicato nel 1963 dalla casa editrice Loescher.
I metodi nella pedagogia contemporanea
Francesco De Bartolomeis, nato nel 1918 in provincia di Salerno, è uno dei maggiori pedagogisti italiani del Novecento; ha studiato a Firenze con il filosofo Ernesto Codignola che lo indusse ad approfondire il pensiero di John Dewey. Nella metà degli anni ’40 Benedetto Croce fece pubblicare il suo primo testo importante, Esistenzialismo e idealismo. A partire dal dopoguerra si è dedicato completamente allo studio dei grandi pedagogisti della scuola attiva che ha trdotto e ha fatto conoscere al pubblico italiano.
Nel 1956 iniziò ad insegnare presso la Facoltà di Magistero a Torino, dove rimase fino al 1988, quando concluse la sua carriera accademica.
Per capire la portata delle novità introdotte dall’autore nel dibattito culturale e pedagogico italiano 70 anni fa, basti ricordare che è a lui che si deve un testo importante che già nel titolo (La pedagogia come scienza) preannunciava una sorta di rivoluzione copernicana.
Proprio in quel lavoro del 1953 l’autore prendeva le distanze dalla pedagogia intesa come una branca della filosofia iniziando ad affrontare i problemi educativi con strumenti critici e sperimentali.
Le idee del grande pedagogista
Nei metodi della Pedagogia contemporanea De Bartolomeis riteneva fossero contenute molte intuizioni che egli svilupperà poi in tutti i suoi lavori. L’autore vi sostiene una tesi che può apparire banale: per fare scuola è necessario avere un metodo.
La conoscenza della materia non è dunque sufficiente. L’affermazione non è così ovvia, se è vero che ancor oggi, nell’opinione pubblica e tra gli intellettuali, c’è chi, contro la pedagogia, invoca un “salutare ritorno alle discipline”. In questo modo, però, non si rifiuta il metodo in quanto tale ma si adotta inconsapevolmente quello più consolidato nell’istituzione (insegnamento simultaneo e trasmissivo). Ebbene, già negli anni ’50 De Bartolomeis spiegava con chiarezza perché è necessaria una preparazione metodologica degli insegnanti all’insegna della ricerca. Il metodo così inteso non limita la libertà dell’allievo e dell’insegnante ma permette di liberare le loro energie cognitive e sociali.
Il tema è di grande rilevanza perché dobbiamo ormai constatare che la scuola della lezione fatta dalla cattedra non è adeguata a sostenere la motivazione ad apprendere degli alunni. Le argomentazioni critiche di De Bartolomeis nei confronti della bella lezione e le sue proposte metodologiche alternative (discussione, lavoro di gruppo, ricerca, documentazione) sono ancora più che mai attuali.
Le competenze che servono per insegnare bene
Fra gli altri affronta anche un tema che è tuttora cruciale, quello della formazione pedagogica dei docenti da estendere a tutti gli insegnanti, anche a quelli della secondaria di primo e secondo grado. Ancora oggi per gli insegnanti della secondaria si parla solo dei 24 CFU da conseguire dopo la laurea che però sono del tutto insufficienti e inadeguati. De Bartolomeis invece parla già allora della necessità di solide conoscenze e competenze di natura pedagogica, metodologica e didattica.
Nella sua prefazione, il pedagogista Enrico Bottero, che ha curato la pubblicazione, spiega bene questo aspetto: “L’università fa ancora difficoltà ad accettare il fare scuola, il fare educativo, come fenomeno articolato e complesso che va studiato e migliorato in costante collaborazione con chi lavora sul campo”.
Contro il metodo trasmissivo
Appaiono anche nuove forme di dogmatismo e di ortodossia che, dietro parole accattivanti, riproducono di fatto un metodo trasmissivo rinnovato. Se, infatti, all’esposizione di contenuti disciplinari si sostituiscono lezioni sulle unità didattiche, la sostanza non cambia di molto. È molto difficile superare il modello dell’insegnamento simultaneo e collettivo proprio perché ancor oggi è questo il modello che accompagna il futuro insegnante in quasi tutto il suo curricolo formativo”. “Ma – prosegue Bottero – come sappiamo, sono le pratiche, non le cose che si dicono, a formare le abitudini.
Formarsi attraverso i laboratori
Ecco dunque l’attualità di questo volumetto: in quegli anni ormai lontani De Bartolomeis aveva compreso l’importanza di una preparazione metodologica che permettesse all’insegnante di uscire dalla routine dell’insegnamento trasmissivo e dobbiamo a lui quell’esperienza unica di formazione iniziale degli insegnanti che fu il sistema dei laboratori, praticato nell’Università di Torino negli anni Settanta del Novecento.
Esperienza che lo stesso De Bartolomeis ricorda e che viene riportata proprio nella prefazione: “Forse non è male ricordare le caratteristiche del mio lavoro formativo all’Università. Voi le conoscete. Ma mi rivolgo ai giovani. All’Università lottai per la creazione, nel 1972, di un sistema di laboratori che, nelle forme elementari che le condizioni mi permettevano, avevo avviato a Firenze già alla fine degli anni Quaranta”.
Fare ricerca per insegnare con la ricerca
L’idea era tanto ovvia quanto rivoluzionaria: se il metodo migliore è quello della ricerca, allora ai futuri insegnanti non si devono proporre lezioni cattedratiche, ma attività laboratoriali e pratiche da utilizzare per riflettere in chiave pedagogica.
“Il principio – scrive ancora Bottero – è semplice: per insegnare qualcosa (ma più propriamente si tratta di mettere gli allievi in condizioni di apprendere e di produrre) bisogna averne fatto personale esperienza. Quindi l’insegnante per introdurre la ricerca deve avere egli stesso condotto delle ricerche adoperando gli strumenti necessari secondo modalità che ne garantiscono la validità”.
All’ebook spetta anche un piccolo record: è stato rivisto nelle ultime settimane dallo stesso autore che ha brillantemente compiuto 103 anni nel gennaio scorso e rappresenta un vero monumento della pedagogia italiana del Novecento.
Maggiori informazione si possono trovare nel sito della associazione www.gessetticolorati.it