Anche quest’anno, nel pieno rispetto della tradizione, l’inizio dell’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo ha coinciso con l’arrivo di un’estenuante calura estiva. A differenza del passato, però, a fine giugno i lavori della quasi totalità delle Commissioni erano arrivati a termine: proviamo pertanto ad abbozzare a caldo (è proprio il caso di dirlo…) una prima assai provvisoria riflessione.
I dati dell’esame di quest’anno
Ecco i sempre ragguardevoli numeri dell’esame di stato di quest’anno: 540.024 candidati, di cui 522.161 interni (96.908 degli Istituti Professionali, 169.354 degli Istituti Tecnici e 255.899 dei Licei), provenienti da 26.547 classi, e 17.863 esterni, esaminati da oltre 120.000 docenti distribuiti in 13.349 Commissioni d’esame.
A breve, poi, potremo leggere sul sito del Ministero il consueto report sulle votazioni riportate dagli studenti all’esame: secondo la calendarizzazione prevista dal Ministero (vedi nota 1751 del 4 giugno 2021), il 5 luglio le segreterie scolastiche hanno infatti trasmesso al SIDI i voti registrati dalle Commissioni
Non crediamo che ci sia tuttavia da aspettarsi grandi differenze rispetto alle percentuali complessive dei diplomati del passato.
L’evidente scarto che si nota tra l’unico dato già noto relativo agli esami 2021, i candidati interni non ammessi all’esame di Stato (3,8%) e il corrispondente dato di dodici mesi fa (0,7%), si spiega con l’ammissione d’ufficio all’esame per tutti gli iscritti a.s. 2019/2020 e si attesta sugli stessi valori che caratterizzavano il trend pre-pandemia: il 3,9% nel 2019, il 4,0% nel 2018, il 3,9% nel 2017.
Tutto fa supporre quindi che la totalità dei candidati ammessi si sia anche diplomata, fatte salve le poche inevitabili, isolate eccezioni (l’anno scorso lo 0,5% e due anni fa lo 0,3%).
Qualche indicazione interessante potrebbe però giungere dalla collocazione dei maturati nelle fasce di voto.
Gli esiti dell’esame di Stato dell’a.s. 2019/2020
Nel passato anno scolastico[1] (si è assistito ad un innalzamento complessivo e generalizzato dei voti finali rispetto all’anno precedente: i diplomati con 100 sono saliti dal 5,6% al 9,9%, quelli con punteggio 91-99 dal 9,7% al 15,9%; quelli con punteggio 81-90 dal 16% al 21,2%, mentre quelli con punteggio 60-80, sono scesi dal 67,1% al 50,4%.
Sulle valutazioni dei commissari hanno sicuramente inciso la formula semplificata dell’esame e la consapevolezza di vivere un momento storico eccezionale: si trattava di un esame inedito, di emergenza, privato delle prove scritte, protetto da mascherine, senza abbracci, segnato dalla distanza di almeno due metri tra studenti e professori/commissari, che tornavano ad incontrarsi in presenza dopo la drammatica frattura rappresentata dalla sospensione delle attività didattiche imposta dal DPCM del 4 marzo 2020 e poi puntualmente rinnovata senza soluzione di continuità fino alla fine dell’anno..
Le Commissioni hanno a loro modo cercato di risarcire gli incolpevoli studenti del danno psicologico e formativo creato dall’emergenza pandemica, premiando con magnanimità colloqui che, nonostante l’impegno individuale degli studenti, lasciavano spesso a desiderare.
Un secondo annus horribilis
Inutile tornare a dilungarsi in questa sede sulla gravità dei danni provocati nella preparazione e nello spirito degli studenti da un percorso scolastico che li ha visti alternare per quasi un anno e mezzo la didattica digitale integrata alla didattica a distanza a tempo pieno. In attesa di conoscere il rapporto delle rilevazioni sugli apprendimenti elaborato dall’INVALSI (il 14 luglio 2021 alle 10,30 si terrà la Presentazione dei Risultati delle Prove INVALSI 2021 presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche; l’evento sarà trasmesso in diretta streaming), l’esperienza diretta delle classi, reali e virtuali, ci dice che gli studenti più bravi, maggiormente dotati di autonomia di studio, e quelli con alle spalle famiglie dalle maggiori risorse economiche e culturali, hanno in genere subito meno gli scombussolamenti di questo secondo annus horribilis. Nonostante gli sforzi spesso titanici prodigati dai loro docenti, la maggioranza degli studenti ha perso il ritmo dello studio, si è arretrata nel possesso delle conoscenze disciplinari e ha finito con il perdere di vista i nodi concettuali delle singole materie; in alcuni casi ha visto regredire le proprie capacità di esporre e argomentare in pubblico su questioni di natura scolastica, e non solo.
Quali gli esiti attesi quest’anno?
I docenti, diventati commissari d’esame, hanno tuttavia saputo comprendere e giustificare le eventuali défaillance dei propri studenti; e i voti non dovrebbero essere molto diversi da quelli del passato anno scolastico. Del resto, anche quest’anno si sono moltiplicati gli inviti ai commissari a tenere presenti le difficoltà affrontate dai ragazzi nel corso dell’ultimo anno, a metterli a loro agio, a incoraggiarli, supportarli per tirare fuori il meglio, apprezzando quanto di positivo sarebbero riusciti ad esprimere. Lo stesso ministro Bianchi, e prima di lui la ministra Azzolina, ha più volte sottolineato le estenuanti vicissitudini di un anno scolastico di eccezionale complicatezza.
Piuttosto, forse, c’è da temere, al contrario, un’impennata dei contenziosi, a causa di votazioni ritenute da candidati e genitori troppo basse rispetto alle proprie aspettative; probabilmente gli stessi studenti e genitori che fino al giorno prima avevano fatto letteralmente carte false per evitare il rientro in presenza.
Anche questo fa parte dell’indotto provocato dal passaggio del CoronaVIrus Disease 19. Del resto l’esame di Stato continua a godere nell’immaginario collettivo di un significato che trascende le ristrette mura di un edificio scolastico per assurgere alla dignità di un gigantesco evento mediatico che si rinnova con cadenza annuale.
Riti di passaggio
Nel 1909, con la sua opera Riti di passaggio, l’antropologo francese Arnold van Gennep segnalò all’attenzione della comunità scientifica quel complesso di cerimonie pubbliche che celebrano il passaggio di una persona da una condizione sociale a un’altra, oppure da una fase del ciclo di vita a quello successivo. Tra queste un posto d’onore spetta sicuramente ai cosiddetti riti di iniziazione all’età adulta, in cui giovani, raggruppati in ‘classi’ d’età, vengono condotti in luoghi appartati, sottoposti a prove e insegnamenti, per poi essere riaggregati alla comunità definitivamente trasformati in uomini adulti.
Per quanto nella nostra società il confine tra fanciullezza e età adulta sia spesso assai mobile e di difficile individuazione, non dobbiamo cedere alla tentazione di collocare i riti di iniziazione in una dimensione temporale e geografica da noi lontana.
L’esame di Stato come rito di iniziazione
Se il rito di passaggio rappresenta una pratica sociale basata sulla ripetizione e il forte simbolismo, non possiamo non riconoscere tale dignità all’esame di Stato. Grazie alla scolarizzazione di massa, esso è ormai divenuto per la quasi totalità degli adolescenti italiani una tappa obbligata del proprio percorso di vita, una prova cui tutti si devono assoggettare nello stesso momento e con le stesse modalità.
Lo stesso ministro Bianchi in una lunga intervista apparsa il 5 giugno sulle pagine di Fanpage[2] non ha potuto non definire l’esame di Stato con questi termini: “L’esame di Maturità è da sempre un momento fondamentale nella vita delle persone perché è quel rito che segna il passaggio dall’adolescenza alla giovinezza, un momento che va vissuto con una certa intensità”. E fa nulla che l’esame di Stato dal 1999 non si chiami più “esame di Maturità”!
Prospettive future
Nella medesima intervista a Fanpage, il ministro Bianchi, interrogato sull’eventualità che anche nei prossimi anni il colloquio orale possa costituire l’unica prova d’esame, si è soffermato ad evidenziare i pregi dell’elaborato cui gli studenti hanno cominciato a lavorare dal mese di maggio, ragionando, scrivendo e anche definendo un loro pensiero, che potesse andare al di fuori dell’esame. Ed ha chiosato: «Noi riteniamo che questo sia un elemento importante per un esame che deve essere di maturità, cioè che deve verificare l’intero percorso educativo dei ragazzi. Vedremo come va, su questo ragioneremo con gli insegnanti, con i presidenti delle commissioni e sentiremo i ragazzi. Poi l’anno prossimo vedremo».
L’apertura del ministro all’ipotesi di un futuro esame conclusivo del secondo ciclo di studi privato in via definitiva delle prove scritte non ha potuto non sollevare perplessità e timori.
La tormentata evoluzione dell’esame di Stato
A partire dal 1999, tutti i pur numerosi ministri dell’Istruzione hanno esercitato i loro intenti riformatori mettendo mano all’esame di Stato, in alcuni casi apportando più o meno piccoli e limitati ritocchi, in altri proponendo profonde novità come nel caso della riforma avviata dalla Legge 107 del 13 luglio 2015, realizzata dal D.lgs. 62 del 13 aprile 2017 e infine applicata dal DM 769 del 26 novembre 2018, dal DM 37 del 18 gennaio 2019 e dall’OM 205 dell’11 marzo 2019. Quest’ultima riforma, che ha avuto il suo battesimo nell’anno scolastico 2018/2019, è stata bloccata nel suo percorso di crescita dall’arrivo improvviso e inaspettato della pandemia.
La riforma avviata dalla Legge 107/2015
Con essa si è riparametrato il sistema dei crediti scolastici; sono state ripensate le tipologie di scrittura della prima prova e le caratteristiche della seconda prova; entrambe le prove scritte sono state ancorate a “Quadri di riferimento nazionali” e sottoposte a griglie per la correzione e l’attribuzione dei punteggi; è stata abolita la terza prova; sono stati introdotti come prerequisiti per l’ammissione all’esame la partecipazione ai percorsi ASL/PCTO e alle prove INVALSI.
E sono stati apportati significativi cambiamenti al colloquio multidisciplinare, cui è affidata la finalità di accertare il conseguimento del profilo culturale, educativo e professionale dello studente: prende l’avvio dall’analisi dei “materiali” proposta dalla commissione (testi, documenti, esperienze, progetti e problemi) per verificare il possesso da parte del candidato dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline e la sua capacità di argomentare in maniera critica e personale utilizzando e collegando le conoscenze acquisite.
Per quanto rimanga sempre sullo sfondo la consapevolezza della difficoltà di individuare il punto di equilibrio tra trasversalità dei saperi e opinionismo, con l’introduzione dei “materiali” si era posta la parola fine alle ormai declinanti sorti delle “tesine” e delle “mappe concettuali”, che i candidati trovavano ormai ready to use nei vastissimi repertori di materiali scolastico disponibili gratuitamente sul web.
Lo spettro del ritorno delle tesine
Per quanto il ministro Bianchi abbia cercato di rimarcarne le differenze, la distanza tra le vecchie tesine e l’elaborato richiesto quest’anno ai candidati (per il quale il ministro ha usato addirittura il termine “tesi”) pare assai breve. Inoltre, se è pur vero che le scelte di cui si sostanzia l’esame di Stato finiscono per veicolare presso gli studenti una certa idea di scuola e di istruzione, determinandone l’approccio allo studio, è altrettanto vero che non si può sottoporre il candidato ad un tipo di prova cui la scuola non lo ha preparato.
Un lavoro serio di elaborazione personale e originale richiede da parte dei candidati un’abitudine alla ricerca e il possesso di strumenti di cui difficilmente possono disporre se non sono stati a ciò preparati nel corso degli anni con uno specifico approccio formativo. In caso contrario il plagio di materiale disponibile su internet risulta quasi inevitabile.
L’esame depauperato
Come facilmente immaginabile, l’ipotesi di un’eliminazione definitiva degli scritti dall’esame ha provocato l’immediata preoccupata protesta di molti docenti, alcuni dei quali hanno proposto finanche una petizione per scongiurare il rischio di un esame snaturato dalla mancanza di prove scritte[3].
La domanda sorge infatti spontanea: se «nell’arco del quinquennio, agli insegnanti si chiede di valutare gli studenti tramite prove sia scritte sia orali proprio perché diverse modalità di verifica valorizzano e misurano capacità e competenze diverse», perché l’esame non dovrebbe verificare l’acquisizione delle capacità espressive, delle competenze argomentative e delle competenze disciplinari proprie di uno specifico corso di studi con gli stessi strumenti di cui mai è stata messa in dubbio validità ed efficacia?
Qualsiasi sia lo scopo e il senso che vogliamo attribuire all’esame di Stato, il momento della verifica non può essere una variabile indipendente rispetto a quanto è avvenuto nel processo di apprendimento.
Ha da passa’ ‘a nuttata
L’eventuale ennesima riforma dell’esame di Stato richiede tuttavia che si sia rispristinata una situazione di completa normalità. Prima di avventurarsi in qualsiasi più approfondita discussione, occorre dunque aspettare che le metaforiche ombre in cui ci ha immerso il SARS-CoV-2 tornino a scemare, ripetendoci l’incoraggiamento con cui nell’ultima scena della commedia Napoli milionaria di Eduardo De Filippo, Gennaro Jovine risponde all’angosciosa domanda che scorge negli occhi interrogativi della moglie Amalia: «S’ha da aspetta’, Ama’. Ha da passa’ ‘a nuttata».