Negli ultimi anni sta montando tra i docenti una diffusa insofferenza per la presenza nella scuola dei genitori, visti sempre più come i sindacalisti dei propri figli. Parallelamente si può constatare una diffusa diffidenza e insoddisfazione di molti genitori nei confronti dei docenti accusati di non ascoltare le richieste delle famiglie e di non preoccuparsi fino in fondo del successo scolastico degli alunni, un malessere che si concretizza in una microconflittualità continua e sicuramente in un disinteresse per la partecipazione alla vita scolastica e agli organi collegiali come attestano inequivocabilmente i dati statistici, in particolare nella scuola secondaria.
Separati in casa
Genitori e docenti sembrano oggi separati in casa piuttosto che componenti di una stessa comunità educante come vorrebbe la normativa. Il punto è questo. La collaborazione da ambo le parti, passata l’epoca delle ideologie e delle appartenenze, è diventata negli anni sempre più un adempimento formale a cui adattarsi. Questa non è una bella situazione per chi crede ancora in un ruolo attivo dei genitori e che ha potuto sperimentarne il plus valore proprio nel migliorare la qualità della progettazione didattica e nel successo formativo degli studenti.
Recuperare il senso del rapporto scuola-famiglia
Se si crede che abbia oggi ancora un senso la partecipazione dei genitori, dobbiamo riformulare i termini di questo rapporto in modo che possa essere credibile agli occhi di entrambe le componenti scolastiche dopo il logoramento di questi anni.
Recuperare e condividere oggi uno scopo è la strada che può dare un senso ad una collaborazione autentica, in grado di andare oltre il rito delle assemblee deserte e dei routinari colloqui sull’andamento scolastico, dove si scaricano frustrazioni e impotenze reciproche.
Assumere una comunicazione empatica[1] e gestire in chiave assertiva il dialogo con le famiglie è sicuramente una buona cosa per lenire e prevenire la conflittualità, ma certo non per rimotivare entrambi ad una collaborazione effettiva. Poco ha potuto l’introduzione del “Patto di corresponsabilità” o la condivisione del PDP o del PEI, tutti atti finiti per essere archiviati come formalità burocratiche.
Cercare di capire di chi è la colpa di questa disaffezione, se dei genitori o dei docenti, è come stabilire se viene prima l’uovo o la gallina. Ciò che va fatto è ritrovare da ambo le parti le ragioni di una collaborazione. Come superare allora questa impasse?
Un modo forse c’è se proviamo a cambiare ottica con cui vedere il rapporto tra genitori e docenti. Ce ne offre l’occasione il recente varo delle “Linee pedagogiche per il sistema integrato 0-6 anni” che nella seconda parte, dal significativo titolo “Un ecosistema formativo”, riformula su nuove basi il motivo per il quale la scuola e la famiglia non possono non collaborare. Un testo che può costituire l’incipit pedagogico di quel rapporto con le famiglie che, partendo dalla scuola dell’infanzia, dovrebbe svilupparsi nei cicli successivi.
I genitori, da interlocutori incomodi a risorsa
Partiamo da come generalmente i docenti vedono i genitori. Lo scoglio su cui si incaglia il rapporto è l’affievolirsi di una concreta motivazione ad impegnare il proprio tempo nel gestire la relazione con le famiglie e nel formarsi a questo compito certamente non facile. È ormai diffusa la convinzione che il rapporto con i genitori sia un’inutile “servitù”, inserita a forza nello stato giuridico e nel contratto per scopi che nulla hanno a che fare con l’insegnamento.
C’è un altro modo di vedere i genitori? I genitori possono essere considerati dai docenti come una risorsa di cui hanno bisogno per il loro lavoro quotidiano?
Una risposta la troviamo nelle “Linee Pedagogiche” che affrontano la questione andando alla ricerca di una solida motivazione pedagogica con l’intento di ricostruire “una nuova partnership con i genitori […] che va ben al di là della semplice partecipazione agli organismi di rappresentanza”, come viene precisato nel testo.
Proprio questa affermazione può dare l’input ad un nuovo approccio al problema permettendo un vero e proprio cambio di paradigma.
Si può uscire finalmente dall’angusto ambito di quella generica visione di una cooperazione scuola-famiglia come valore in sé o come atto dovuto di democrazia diffusa o ancora come una scelta politica per dare una base legale alla partecipazione dei genitori alle scelte educative.
Famiglie del terzo millennio
Si può invece cominciare a considerare la collaborazione come una necessità funzionale all’azione educativa prendendo atto che i genitori sono per la scuola l’interfaccia di quell’ “ecosistema formativo”, interconnesso e complesso così come descritto nelle “Linee pedagogiche”, in cui sono immersi il bambino e lo studente del terzo millennio. Un “ecosistema” fatto di “molteplici influenze culturali” non tanto e non solo relative all’origine dei genitori, come verrebbe subito da pensare, ma anche a “culture educative, scelte familiari che riguardano i valori, i regimi di vita dei bambini, la salute, l’alimentazione, le regole e lo stile delle relazioni, i linguaggi e i rapporti con i diversi media”, tutti ingredienti presenti in una società fluida come quella di oggi.
Gli alunni, individualmente o per gruppi affini, sono portatori del loro “ecosistema” di provenienza che si materializza indirettamente in classe tramite il loro modo di agire, questo sia nell’infanzia, sia nella secondaria di secondo grado, anche se con modalità diverse.
La “classe nascosta” dei genitori
Se si vuole fare una didattica inclusiva e creare una relazione educativa autentica con la classe, diventa rilevante per i docenti entrare in relazione con questo insieme di “ecosistemi” nella loro molteplicità. Non basta quindi coltivare il rapporto individuale con le singole famiglie. I genitori di una classe sono di fatto un gruppo che forma una sorta di “classe nascosta”, con una propria fisionomia che si rispecchia poi nella classe degli studenti con cui fare i conti in aula.
La presenza dei genitori come gruppo in momenti strutturati e programmati, distinti e ben diversi dalle riunioni degli organi collegiali, può diventare un vero e proprio dispositivo per far emergere e condividere tra le diverse componenti quell’“ecosistema culturale” sotteso di cui sono portatori e “da cui partire per costruire una base comune di convivenza per il gruppo dei bambini e degli adulti”. Una base che diventa il contesto di apprendimento “profondo” su cui impostare la progettazione didattica ed educativa.
L’imprinting parte nella scuola dell’infanzia
Si può obiettare che un rapporto di collaborazione così organico ha senso nella fascia 0-6 proprio perché si tratta di bambini piccoli e che non ha più senso con il crescere dell’età. Le “Linee pedagogiche” in verità danno una motivazione più profonda che travalica il problema pratico dell’accudimento per proiettarsi negli anni come modello di relazione.
Se questo accadrà nella scuola dell’infanzia, tale modello diventerà di fatto l’imprinting del rapporto scuola-famiglia nel percorso formativo prima del bambino e poi dello studente fino alla maturità.
I docenti da controparte a partner educativi
Veniamo ora a come i genitori vedono la scuola. Una nuova partnership fondata “sulla fiducia e sul rispetto reciproco”, come ricordano le “Linee pedagogiche” citando la Raccomandazione nell’Unione europea, si costruisce con la consapevolezza che non solo la scuola ha bisogno dei genitori, ma che i genitori di oggi hanno bisogno della scuola sia come “sostegno alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro”, sia soprattutto come partner educativo a fronte di una epocale trasformazione del nucleo familiare.
Le “Linee pedagogiche” forniscono una chiave di lettura sintetica di cosa siano diventate le famiglie oggi, racchiuse in “nuclei ristretti” senza zii e nonni conviventi, spesso “diversamente configurati” e dispersi in alloggi differenti in cui l’alunno, come un nomade con il suo zaino, si sposta ogni settimana; famiglie felicemente allargate o in perenne conflittualità, con genitori che hanno tempi di lavoro, turnazioni o situazioni contrattuali precarie che mal si conciliano con l’esigenza dei figli di essere seguiti.
Una debolezza sociale e affettiva del ruolo genitoriale che rende il singolo genitore ansioso per l’esito scolastico del proprio figlio di cui si sente responsabile nella propria solitudine e precarietà e il cui insuccesso avverte con senso di colpa. Da qui una difesa ad oltranza dell’operato del proprio figlio, un ricorso alle certificazioni non appena possibile e un atteggiamento spesso inquisitorio nei confronti dell’agito dei docenti visti come controparte anche quando non ce n’è motivo. Un atteggiamento spesso erroneamente attribuito alla perdita dello status sociale dell’insegnante.
Rifondare le basi della collaborazione
È possibile per i genitori vedere i docenti in un modo diverso? Probabilmente sì, a patto che il rapporto con loro non si riduca unicamente ad una fiscale rendicontazione sull’operato dello studente, ad una firma, ad uno scambio asettico di informazioni o alla sola ratifica burocratica negli organi collegiali di decisioni prese dai docenti a cui adeguarsi.
La scuola può offrire “occasioni di incontro e di conoscenza” di “condivisione di vissuti” e anche di formazione per le famiglie, basti pensare alle tecnologie digitali salite alla ribalta in questo periodo di emergenza, di cui si possono sperimentare insieme le possibilità ad esempio nell’aiuto allo studio in tempo di DaD[2].
La scuola può proporsi come contesto organizzato di aggregazione delle famiglie e di arricchimento del rapporto tra genitori e figli promuovendo attività culturali che permettano una migliore conoscenza reciproca e parallelamente la riscoperta da parte dei genitori dei propri figli nella loro dimensione di studenti e al contempo da parte degli studenti la riscoperta dei propri genitori nel ruolo di adulti membri della comunità sociale.
I docenti, senza dover fare gli assistenti sociali, nell’ambito del proprio ruolo di formatori possono diventare un interlocutore speciale e una preziosa risorsa per le famiglie per contribuire al superamento di quell’isolamento in cui vivono e per poter seguire il percorso di apprendimento dei propri figli.
La corresponsabilità per facilitare l’inclusione
Non può sfuggire che tutto questo diventa particolarmente importante per le famiglie provenienti da altri Paesi che possono così contare sulla scuola come un “importante fattore di inclusione e coesione sociale e di promozione di cittadinanza democratica” rompendo l’isolamento in quelle pericolose “banlieue” etniche che si sono costituite di fatto nelle grandi città. “Le relazioni di aiuto, la solidarietà, le amicizie spesso durature favoriscono anche il senso di appartenenza ad una comune cittadinanza, promuovendo dinamiche di coesione sociale.”
Non solo la scuola dell’infanzia dove è più facile la collaborazione, ma tutte le scuole di ogni ordine e grado possono diventare per i genitori “punti diriferimento per sentirsi meno soli.” con una ricaduta positiva per il lavoro dei docenti, per un abbattimento della conflittualità e per il benessere dell’intera società.
Una scuola comunità oltre la retorica
Le “Linee pedagogiche” possono aiutarci a ricollocare anche il concetto di “scuola comunità” su un piano pedagogico e sociale piuttosto che amministrativo.
La “crescita di un bambino – è scritto – non è solo una questione privata, della famiglia, ma deve essere considerata al contempo anche una sfida che impegna tutta la società, in un intreccio che coniuga le responsabilità dei genitori con le responsabilità della comunità, affinché ciascun bambino, a prescindere dal contesto sociale e culturale di origine e dalle proprie caratteristiche, possa beneficiare delle migliori condizioni di vita”.
In altri termini far parte della comunità scolastica di un istituto vuol dire per i genitori e per i docenti condividere tra loro questa responsabilità formativa in modo solidale nei riguardi di tutte le studentesse e gli studenti della propria classe e dell’istituto facendo della scuola stessa un contesto di apprendimento anche in questo caso “largo”, costituito “dalla qualità delle relazioni” che si sperimentano tra le varie componenti.
La presenza dei genitori in una scuola che voglia essere una comunità che educa, al di là della retorica e degli slogan, si sostanzia quindi non solo nei colloqui del singolo genitore con i docenti della propria classe o nella partecipazione agli organi collegiali, ma attraverso vere e proprie attività e iniziative culturali di vario genere inserite nella progettazione del PTOF in cui le diverse componenti sono protagoniste.
Una collaborazione con i genitori così impostata raggiunge un triplice scopo in tutti i cicli:
a) permette ai docenti di avere accesso alle chiavi culturali che possono farli entrare in empatia con lo studente che si trova nell’aula, facilitando la relazione educativa e la motivazione;
b) permette una comunicazione autentica tra le varie componenti avendo condiviso attraverso il confronto un modello educativo comune in cui riconoscersi;
c) permette al singolo istituto di essere parte attiva di quell’ampio “ecosistema formativo” in cui è immerso insieme alle famiglie e, conseguentemente, permette di poter progettare nel territorio con la consulenza degli stessi genitori e le associazioni del Terzo settore gli interventi più adatti a combattere la povertà educativa che spesso si annida nell’isolamento dei nuclei familiari.
Alcune buone pratiche
Una delle avanguardie della scuola che può nascere partendo dalla prospettiva delle “Linee pedagogiche” è l’Istituto sperimentale Rinascita-A. Livi di Milano insieme a Scuola Città Pestalozzi di Firenze e alla Don Milani di Genova.
Il Progetto didattico-strutturale[3] affonda le sue radici dello Statuto dei Convitti Scuola della Rinascita sorti nel dopoguerra con un’attenzione particolare alle modalità di comunicazione e di relazione[4] tra le componenti scolastiche come prerequisito per imparare l’esercizio di una democrazia appena conquistata.
Il progetto prevede la partecipazione dei genitori in attività programmate e previste nel piano dell’offerta formativa. I ruoli che i genitori si trovano ad assumere sono volutamente di tipo diverso: adulti in autoformazione in commissioni autogestite; animatori culturali per iniziative promosse dagli organi collegiali o da commissioni variamente composte; formatori di altri genitori; adulti che apprendono dagli studenti che presentano i loro prodotti e ricerche; esperti che espongono le conoscenze della propria professione ad altri genitori o agli studenti affiancando i docenti stessi in aula in lezioni di approfondimento e orientamento.
Si tratta di un progetto “insieme formativo e culturale” nell’ottica dell’educazione permanente e finalizzato ad un reale empowerment della componente genitoriale perché possa costituire un plus valore pedagogico per l’intera comunità e fare di ciascun istituto un’agenzia formativa nel territorio.
“Ci sembra – è scritto nel progetto – che la scuola possa diventare così una comunità che educa, dove la centralità del ragazzo viene ripensata e sviluppata dalla nuova centralità del gruppo-scuola. In questo senso, la scuola-comunità rappresenta per noi il luogo ideale per rompere i diversi e reciproci isolamenti che noi e i nostri ragazzi viviamo quotidianamente e per far sì che l’ascolto, il dialogo ed il confronto tra noi si combinino con una pedagogia laica, democratica ed aperta ai saperi innovativi.”
L’istituto scolastico come contesto di apprendimento
La presenza attiva dei genitori con un ruolo culturale anche se ben distinto da quello dei docenti, diventa anche un potente dispositivo didattico per gli studenti attraverso quelle che nel Progetto sono le “Attività sociali” programmate nell’orario scolastico per sviluppare negli studenti non solo competenze sociali ed emotive, ma cognitive e disciplinari in modo laboratoriale e attraverso compiti di realtà socialmente utili per la comunità.
Gli studenti in questi contesti possono imparare, guidati dai loro docenti, che si può apprendere anche in modo informale, che i propri genitori e quelli dei propri compagni sono adulti che possono essere portatori di saperi e non solo di raccomandazioni e divieti, possono imparare a lavorare con loro su compiti di realtà di natura sociale come ad esempio in attività di educazione alimentare o ambientale o civica, possono scoprire che le conoscenze e le abilità apprese a scuola possono essere utili per la vita familiare.
In altre parole vi è una forte valenza formativa nella presenza dei genitori perché permette agli studenti di incominciare a pensarsi come cittadini responsabili e attenti, nel proprio Istituto, a casa e nel proprio quartiere. Una presenza di questo tipo è ancor più importante nella secondaria di secondo grado, nel pieno dell’adolescenza, perché può permettere agli studenti di comprendere che i genitori possono avere ruoli diversi e che possono rapportarsi a loro in modo non oppositivo, ma costruttivo e che il naturale distacco dalla figura del genitore può avvenire in modo consensuale e meno conflittuale.
In una scuola in cui è possibile la “creazione di un lessico comune all’interno di un quadro culturale che non rinuncia a promuovere valori quali la parità di genere, l’accoglienza, la pace, la democrazia, il dialogo interreligioso, valori costituzionali non negoziabili”, la partecipazione di tutte le componenti agli organi collegiali può trasformarsi così da atto dovuto a conseguenza naturale di una modalità autentica di gestire quella che le “Linee pedagogiche” definiscono l’“ecologia delle relazioni” della propria comunità educante.
[1] Laura Bertocchi, “Il difficile rapporto tra scuola e famiglia. Verso la costruzione del colloquio empatico” in Scuola7, n. 230 del 12 aprile 2021.
[2] “Orientamenti pedagogici sui LEAD: legami educativi a distanza, un modo diverso per fare nido e scuola dell’infanzia”. Documento pubblicato dalla Commissione Infanzia Sistema integrato Zero-sei. Si tratta di un Interessante contributo su come gestire il rapporto con i genitori per affrontare insieme la DaD nella scuola dell’infanzia. Una proposta che può essere di aiuto anche nel ciclo secondario con gli opportuni e ovvi adattamenti: in https://www.miur.gov.it/documents/20182/2432359/Sistema+zero_sei+orientamenti+pedagogici.pdf/3b0ea542-a8bf-3965-61f0-453e85ae87d5?version=1.0&t=1589880921017
[3] “La Scuola Laboratorio. Proposta di sperimentazione ai sensi dell’art.11 del dpr n.275/99.” Progetto 2006 Capitolo 4 “Il piano della scuola comunità come percorso per una gestione integrata, democratica e cooperativa della scuola” (capitolo redatto dal collegio con la collaborazione dell’Assemblea dei genitori) si trova in http://www.rinascitalivi.it/didattica-e-sperimentazione/sperimentazione/decreti-e-progetti.html
[4] I riferimenti sono a C. Rogers, T. Gordon, G. Petter.