La clessidra è rovesciata, mancano poche settimane alla fine delle lezioni. Inutile dire che si è trattato di un anno impegnativo che, aggiunto al precedente, ha segnato un punto di svolta per la scuola italiana sul quale sarà necessaria una riflessione seria, capace di cogliere le criticità insieme agli elementi di sperimentazione e cambiamento.
Scuola al lavoro
Lasciamo da parte il “terribilismo” verbale di un dibattito pubblico incline al clamore piuttosto che alla proporzionata relazione tra le parole e le cose: non è una guerra, ma una pandemia. È qualcosa di sufficientemente grave, ma non occorre far ricorso al linguaggio bellico. E chi si occupa di educazione ne deve tenerne conto. Anche per queste ragioni l’idea di un “ponte” verso il prossimo anno scolastico è corretta, tenendo presenti la Nota ministeriale 643 del 27 aprile e il contestuale Avviso pubblico 9707 dello stesso giorno, per tessere ulteriormente il filo della relazione e della socialità, in un contesto di volontarietà e condivisione.
Intanto è bene ribadire che la scuola non ha mai realmente “chiuso”, come invece si continua a ripetere. Una delle conseguenze della pandemia è di aver mostrato che un servizio può essere erogato non solo in presenza ma anche a distanza. La scuola è rimasta aperta e ha potuto farlo grazie ad una didattica che – per l’impegno dei docenti, del personale ATA, dei dirigenti scolastici, dei DSGA – dovendo rinunciare dalla presenza ha saputo riorganizzarsi da remoto e, sulla base delle Linee guida del Ministero dell’Istruzione allegate al DM 89 del 7 agosto 2020, in tutti i modi possibili ha perseguito l’integrazione tra didattica in presenza e didattica a distanza.
Luci e ombre
Cosa sarebbe stato del diritto all’apprendimento di oltre 8 milioni di alunni e studenti se non vi fosse stata a disposizione la risorsa della didattica a distanza e della competenza digitale? Certo, tra tanti limiti, ma non senza qualche risultato, con il rischio di nuove sperequazioni, tra chi è dotato di un p.c. e chi no, tra chi ha la connessione e chi no, tra una famiglia nelle condizioni di essere partecipe e un’altra troppo presa da altri comprensibili affanni. Questioni che non vanno ignorate, che meritano risposte oltre a quelle date sin qui, durante l’emergenza, se vogliamo che la forbice delle diseguaglianze non si allarghi e si aggravi in un Paese già pesantemente esposto, non da oggi e non solo a seguito della pandemia. Nel mare in tempesta dell’emergenza epidemiologica, la DaD è stata come una scialuppa e, oltre un certo limite, parlar male della scialuppa non è molto ragionevole.
Il valore dell’integrazione
L’integrazione è un acquisto destinato a rimanere perché favorisce la personalizzazione degli apprendimenti. Vi sono studenti con bisogni educativi speciali (BES) che preferiscono la DaD, come ha intuito la Nota ministeriale 662 del 12 marzo 2021. Non mancano interessanti esperienze di Peer Education con piccoli gruppi solidali che condividono la didattica in presenza. Vi sono insegnamenti che possono essere organizzati a distanza, anche in forma laboratoriale, come nel campo dell’Informatica (anche se i DPCM all’unisono hanno prescritto laboratori esclusivamente in presenza). Vi sono altri laboratori per i quali la presenza è indispensabile. Senza indossare gli occhiali dell’integrazione si rischia semplicemente di non vedere gli aspetti innovativi dell’esperienza didattica in atto durante la pandemia, destinata a segnare la vicenda scolastica dopo la pandemia.
Verso gli scrutini
Piccolo passo indietro. Quasi un secolo fa l’art. 41 del Regio Decreto 965 del 1924 ha istituito l’obbligo del registro. Questo l’incipit: “Ogni professore deve tenere diligentemente il giornale di classe, sul quale egli registra progressivamente, senza segni crittografici, i voti di profitto, la materia spiegata, gli esercizi assegnati e corretti, le assenze e le mancanze degli alunni”. Sino a pochi anni fa, cartaceo. Poi, con il Decreto-Legge 95 del 6 luglio 2012 – coordinato con la legge di conversione 135 del 7 agosto 2012, art. 7, comma 31 – si è passati al registro elettronico. Secondo dati del Ministero, già due anni più tardi, nell’a.s. 2014/2015, il 73,6% dei docenti italiani lo utilizzava. Sono passati altri sei anni e da allora questa modalità si è capillarmente diffusa. Presto diventando un’abitudine, un indispensabile strumento di lavoro, al punto che sarebbe inimmaginabile tornare a prima.
Aprile “crudele”, maggio faticoso
Con la fine delle lezioni, gli scrutini, già da tempo calendarizzati nel Piano annuale delle attività, quest’anno assumeranno un profilo particolare, in quanto dovranno farsi carico delle “ammissioni”, pur in presenza di valutazioni non sufficienti, dello scorso anno. L’esercizio responsabile della professione docente si dà sia in presenza sia a distanza. Ciascun docente sarà chiamato ad avanzare delle proposte valutative, da inserire nel registro elettronico, perché possano comparire nel tabellone che sarà sottoposto all’attenzione del Consiglio di classe. Thomas Stearns Eliot, nella Terra desolata, ha scritto che “aprile è il mese più crudele”. Per la scuola si potrebbe dire: “maggio è il mese più faticoso”. Lo è sempre stato. Anche nella didattica in presenza. Forse perché in questo mese si concentrano le attese dell’intero anno scolastico
Trasparenza e tempestività
Parte rilevante della verifica degli apprendimenti sono la trasparenza e la tempestività. Lo ha spiegato bene il DPR 122 del 22 giugno 2009, art. 1, comma 2: “La valutazione è espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale sia collegiale, nonché dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Ogni alunno ha diritto ad una valutazione trasparente e tempestiva”. E ciò secondo quanto, in precedenza, ha indicato il DPR 249 del 24 giugno 1998, all’art. 2, Diritti, relativo allo Statuto delle studentesse e degli studenti, integrato dal DPI 235 del 21 novembre 2007, relativo al Patto educativo di corresponsabilità.
Atto collegiale su proposta dei singoli docenti
Le valutazioni vanno comunicate per tempo e, per tempo, inserite nel registro elettronico. Ma occorre fare qualche passo in avanti anche dal punto di vista della collegialità. Quando si entra in un Consiglio di classe, lo si fa per confrontarsi e contribuire al formarsi di un ponderato punto di vista, lasciando da parte le visioni unilaterali, settoriali, esclusivamente disciplinari. Dall’art. 79 del Regio Decreto 653 del 4 maggio 1925, il voto è un atto collegiale su proposta dei singoli docenti. Precisamente col linguaggio di un secolo fa: “I voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni”. Libertà di insegnamento e collegialità sono i binari lungo i quali scorrono, insieme, un’attività didattica e un esercizio valutativo bene impostati.
Rendimento e persona
Valutare significa dare valore. Si valuta il rendimento o il comportamento: non la persona. Un voto negativo non indica altro che la misura del margine di miglioramento. Distinguere sempre – come suggeriva il Pontefice del Concilio – l’errore dall’errante. Nella seconda parte del libro L’ora di lezione Massimo Recalcati ha raccontato di essere stato bocciato due volte. Prima “agli esami di seconda elementare” (esistevano ancora), in quanto “giudicato incapace di apprendere”. Poi, una seconda volta, frequentando un Istituto secondario superiore. Quindi l’incontro con la professoressa Giulia, alla quale Recalcati ha dedicato pagine intense di affetto e gratitudine. Con la voglia di un riscatto che lo ha portato a impegnarsi per il recupero di un anno come privatista, riuscendo “a riprendere in mano la mia vita” lungo “un viale di tigli di una scuola diroccata di Lodi, in una luce di luglio ancora forte verso sera”.
Numero congruo
Oltre ai criteri della trasparenza e della tempestività, è fondamentale la congruità. Come si è visto nel Regio Decreto 653/1925, ogni proposta di voto deve scaturire da un numero “congruo” di verifiche, scritte e/o orali. Dotarsi della necessaria provvista di valutazioni comporta una programmazione adeguata. Chi fa esperienza dell’insegnamento soffre della mancanza di tempo, specie nel secondo periodo e la preoccupazione si accentua nell’ultimo mese, nelle ultime settimane, non senza qualche ansietà che sarebbe meglio evitare. Soprattutto in un contesto come quello attuale, gravato dalla pandemia e dalle sue conseguenze sul piano didattico. A tutti può capitare di sentir dire: “sono indietro col programma”, “non riesco a finire il programma”. Solo che il programma non esiste più.
Da tempo è stato sostituito dalle Indicazioni Nazionali nel primo ciclo (2007 e 2012) e dalle Indicazioni Nazionali e Nuovi Scenari del 22 febbraio 2018, che integrano il testo trasmesso con il DM n. 254 del 16 novembre 2012, elaborato dal Comitato scientifico nazionale di cui Giancarlo Cerini è stato uno dei principali artefici.
Nei Licei i programmi sono stati sostituiti dalle Indicazioni Nazionali, in coerenza con il nuovo assetto ordinamentale, organizzativo e didattico descritto dal DPR 15 marzo 2010, n. 89. Negli Istituti Tecnici e Professionali dalle Linee guida (DPR 87 2 88 del 15 marzo 2010). Vale a dire da una proposta didattica orientata a cogliere una domanda formativa in divenire che si interseca con il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) sino a trovare una definizione nella programmazione di ciascun Consiglio di classe e di ciascun docente.
Il come oltre al cosa
Nella scuola dell’autonomia conta ciò che concretamente si fa, specie in riferimento al “documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale”, legge 107 del 13 luglio 2015, art. 1, comma 14, che modifica, integra e rilancia l’art. 3 del DPR 275 dell’8 marzo 1999. Conta, a consuntivo, a fine anno scolastico la rendicontazione trasparente che si produce in considerazione dei temi realmente trattati e approfonditi. Quel che si è fatto e, ancor più, come lo si è fatto.